Il severo direttore d’orchestra della fiction di Raiuno è entusiasta del suo ruolo nel quale interpreta Luca Marioni, professore del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano
Nella fiction di Raiuno «La compagnia del cigno» Alessio Boni interpreta Luca Marioni, professore e direttore d’orchestra del conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Un insegnante che con i suoi sette allievi può sembrare severissimo e duro, ma che in realtà vuole semplicemente aiutarli ad affrontare e superare le difficoltà della vita.
• «La compagnia del cigno», i giovani protagonisti ascoltano e suonano musica classica
Alessio, il suo Luca Marioni è davvero tosto...
«Luca è un insegnante appassionatissimo, rigido, severo e non ammette sconti. Per lui non ci sono compromessi né raccomandati: è solo lui a scegliere, e se qualcuno ha da obiettare è subito fuori dal coro».
Insomma, non proprio un insegnante buono!
«È così intransigente perché è convinto che l’arte non ammetta mediocrità e la musica è l’arte per eccellenza. Vuole far capire a questi ragazzi la spietatezza che incontreranno fuori e cerca di prepararli. Magari ha un carattere troppo duro, a volte anche dispotico e di certo non morbido, ma è vero, autentico. Io ho sempre preferito sentirmi dire la verità piuttosto che qualche giustificazione con sorrisi finti».
E alla fine gli insegnanti severi spesso sono i più bravi.
«Solo che non ne riconosci il valore a 15 anni ma a 25. Marioni è molto drastico, però alla fine è umano. Non è un mostro, cerca di fare del bene a modo suo, con quel suo fare intransigente. È un atteggiamento che non ha più nessuno, perché ora per i propri figli tutti vogliono solo gli insegnanti più accomodanti. Ricordo che i miei nonni cercavano il maestro più severo per i loro figli perché sarebbe stato in grado di prepararli alla vita. Ora invece sentiamo addirittura di genitori che picchiano gli insegnanti. Io ho un grandissimo rispetto per i maestri e le maestre delle elementari e gli insegnanti delle medie: sono eroi in ombra»
Com’è stato lavorare con i ragazzi?
«Veramente fantastico. Sono un concentrato di genuinità ed energia pura. Sono abituati ad andare al liceo per poi tornare a casa ed esercitarsi sei, sette ore con i loro strumenti, quindi per loro studiare quattro battute è stata davvero una sciocchezza. Infatti non hanno mai sbagliato una volta! E alla fine sono loro il cuore della serie: sono come un quadro di cui noi adulti rappresentiamo solo la cornice. Possiamo solo sperare di essere all’altezza perché io ho amato il mio personaggio ma sono questi ragazzi la forza del progetto».
La fiction mostra degli adolescenti sotto una luce positiva, cosa che non succede spesso.
«Questo è l’altro lato della medaglia della gioventù, ed è davvero un bel messaggio. Perché non esistono solo i fannulloni o gli “sdraiati”. Basta un po’ di educazione e la giusta iniezione di fiducia e questi ragazzi si danno da fare, non mollano, anzi dimostrano una tenacia che fa paura».
E poi c’è la musica classica. Neanche questa si vede spesso in tv…
«La Rai ha avuto il coraggio di portare la terza sinfonia di Brahms in prima serata. E la musica classica non è una cosa vecchia, la sentiremo ancora per millenni. Io quando devo caricarmi prima di affrontare certe scene ascolto Mozart e Beethoven, perché è un tipo di musica davvero potente. E il conservatorio Giuseppe Verdi è famoso in tutto il mondo, mentre noi magari nemmeno sappiamo dove sia a Milano».
Quindi «La compagnia del cigno» dà anche risalto al patrimonio culturale italiano.
«Esatto, ed è giusto essere orgogliosi di ciò che portiamo in giro per il mondo. Non siamo conosciuti solo per mafia, pizza e mandolino: ci conoscono anche come i discendenti di Verdi, di Tintoretto, di Caravaggio… abbiamo tanto di cui andare orgogliosi ed è giusto mostrare la nostra cultura anche in tv».
Pensa che una fiction così possa avvicinare il grande pubblico e i giovani alla musica classica?
«Lo spero! La musica classica e l’opera sono bellissime e non c’è bisogno di essere colti e di capirle fino in fondo per apprezzarle. Le puoi amare anche se non sei un esperto. Perché l’arte arriva al cuore, non al cervello».