è il vero medico che ha ispirato il personaggio di Luca Argentero

Se la serie “Doc - Nelle tue mani” esiste, il merito è di Pierdante Piccioni, dirigente medico dell’ospedale di Lodi a cui la vicenda di Andrea Fanti, interpretato da Luca Argentero, è ispirata: «Se sia un merito o una colpa dobbiamo ancora capirlo, ma la responsabilità è mia» ci dice ridendo il vero Doc. Anche lui era un primario spietatissimo che a causa di un incidente d’auto ha perso per sempre 12 anni di memoria. Ma da quell’incidente è nato un uomo nuovo, empatico, umano e vicino ai pazienti. La sua storia è diventato il libro “Meno dodici” (Mondadori), che ha ispirato la prima stagione. Ma anche nella seconda c’è il suo zampino: ha collaborato alla sceneggiatura ed è coautore del romanzo tratto dalle puntate che abbiamo visto su Rai1 e che possiamo continuare a vedere su RaiPlay.
Dottore, ci spiega cosa troveranno di inedito nel libro i fan della serie?
«Sviluppiamo aspetti che nella sceneggiatura non si sono potuti trattare, per esempio il passato di Fanti e il suo rapporto con la moglie e la virologa. Le loro vicende personali vengono approfondite e si spera possano essere fonte d’ispirazione per le stagioni future».
C’è qualcosa di autobiografico anche questa volta?
«Sì, c’è sempre. Anch’io ho fatto l’errore di pensare che rivivere certe situazioni facesse tornare i ricordi. Fanti vuole essere di nuovo primario. Le scuse che si racconta sono che il reparto verrebbe smantellato, che deve difendere i colleghi e che con il suo metodo riesce a risolvere i problemi del mondo. In realtà la sua speranza è che tornando a fare quello che faceva prima possa ritrovare quello che ha perso. Ma non è così».
A proposito, i suoi colleghi la chiamano davvero “Doc”?
«Sì, spesso. Anche perché nel 2000 sono diventato sommelier e il soprannome “Doc”, come i vini doc, unisce la mia passione per il vino e la professione».
Lei è “sceneggiatore per la parte medica”. Ci spiega meglio?
«Il mio ruolo è stato recuperare qualche caso clinico. Ci siamo dati una regola con gli sceneggiatori: partire sempre da fatti veri, poi si romanza. Ho la fortuna di avere legami stretti con i primari di mezza Italia e all’estero: tanti mi chiamano per propormi dei casi perfetti per la serie! Quelli di cui parliamo ci servono per fare capire l’importanza dell’empatia e dell’ascolto del paziente. Il mio ruolo è stato forzare questa empatia, dannosa quando si esagera. In più c’è il discorso umano: cosa c’è dietro a Fanti o alla freddezza della virologa? Queste sono le storie di tutti noi: amori, paure e incubi. “Doc” funziona perché la gente si immedesima».
Nella seconda stagione avete raccontato anche il Covid. Quello che abbiamo visto nella serie è quello che lei ha vissuto in ospedale?
«Assolutamente sì. Raccontarlo è stato un modo per rendere omaggio a chi è morto. Io stesso ho perso 11 persone. Ci siamo chiesti se la gente non ne avesse abbastanza. Ma era impossibile non parlarne e lo abbiamo fatto come è accaduto nella realtà: ci sono personaggi che muoiono, medici codardi che hanno avuto paura e altri che invece hanno fatto il proprio dovere».
Era anche tra i consulenti che insegnavano agli attori a muoversi come un medico?
«No, ho lavorato più da remoto. Ogni episodio lo svisceravamo con gli sceneggiatori, discutendo in termini pratici la sua realizzazione per essere inattaccabili dal punto di vista medico».
Quindi non è stato sul set?
«Solo quattro o cinque volte, anche per via del Covid, oltre a quando ho recitato per due piccole apparizioni. Era complicato lasciare il posto di lavoro: licenze-premio dalla prima linea potevo averne poche».
Con Argentero che rapporto ha?
«Ci sentiamo per le cose importanti, purtroppo il Covid ha impedito a lui di venire a Pavia da me e a me di andare a Città della Pieve o a Milano da lui. Abbiamo quasi 20 anni di differenza e faccio un po’ il fratello maggiore, non lo sento spesso ma quando ha bisogno sì. Anche per iniziative benefiche o per stupidaggini, come si fa tra amici».
Ha legato anche con altri attori?
«Con Matilde Gioli ho un ottimo rapporto, anche se le femmine di casa mia sono... gelose. Idem con Pierpaolo Spollon, con il quale a fine mese andrò ospite al Festival Seriés Mania, a Lille, in Francia, dove la prima stagione di “Doc” è andata benissimo. Sono certo che intensificheremo la nostra amicizia. Io e lui, il mio cocco nella vita, passeremo tre giorni a ridere. Anche lui mi sa che è prefrontale...».
Significa che lei come Fanti parla istintivamente senza filtri?
«È lui a essere come me, ho io il copyright! Una cosa che dico sempre è: “Fate attenzione, la mia caratteristica è che dico quello che penso e non sempre penso a quello che dico!”».
Con tutto quello che fa, come trova il tempo per scrivere?
«Dormo poco, solo quattro ore. Di notte leggo e scrivo, che per me è un’attività terapeutica, ma scrivo anche di questioni mediche, non solo romanzi o sceneggiature».
A proposito, l’hanno già allertata per la terza stagione di “Doc”?
«Sì, ci stiamo ragionando. Credo che verrò ancora impiegato dal punto di vista medico».
Ha già in mente cosa raccontare?
«Sarà sempre un mix tra casi veri e aspetti privati. Ci saranno nuove storie. Certi rapporti continueranno e altri s’interromperanno. Storie vere e metodo empatico. Questo è il patto tra due entità alla pari, quali sono medico e paziente».
E il produttore dice: «Abbiamo già fatto la prima riunione»
La seconda stagione di “Doc - Nelle tue mani” si è da poco conclusa ma la società di produzione Lux Vide è già al lavoro per mettere in cantiere la terza. Ad anticiparlo a Sorrisi è l’amministratore delegato Luca Bernabei: «Nei giorni scorsi abbiamo avuto la prima riunione con gli sceneggiatori. Stiamo facendo quella che negli Stati Uniti si chiama “post mortem analysis”. Cerchiamo, cioè, di capire cosa ha funzionato e cosa no nella stagione appena terminata, sia dal punto di vista tecnico sia da quello della sceneggiatura. E da qui partiamo per lavorare ai nuovi episodi».
Difficile immaginare che qualcosa non abbia funzionato in “Doc 2” visti gli ascolti straordinari, ma Bernabei puntualizza: «Noi dobbiamo lavorare per fare sempre meglio, non dobbiamo adagiarci sul successo né dare mai niente per scontato. Con “Doc” ci siamo riusciti mettendo in gioco nella prima stagione un uomo e, nella seconda, tutto il reparto con l’introduzione di una figura femminile che portava scompiglio persino nel modo di fare medicina dell’ospedale».
Il produttore non ha dubbi: «La modalità italiana di una serialità molto semplice a livello narrativo ha fatto il suo tempo. Ormai la gente ha a disposizione tantissime serie e noi dobbiamo proporre prodotti con idee molto forti. Non farlo vorrebbe dire negare che negli ultimi cinque anni il mondo della serialità sia cambiato completamente».
Oltre a “Doc 3”, la Lux Vide ha già in cantiere altri sequel di titoli di successo come “Buongiorno, mamma!”, “Blanca” e “Che Dio ci aiuti” («Sarà la stagione dell’uscita di Elena Sofia Ricci» conferma Bernabei). Senza dimenticare la seconda stagione di “Diavoli”, in arrivo su Sky. Tiziana Lupi