«La vita promessa», Luisa Ranieri: «Salpo per New York in cerca di fortuna»

«Parlando del passato si capisce l’attualità» spiega l’attrice protagonista della fiction, che interpreta un’italiana emigrata negli Anni 20. E del marito Zingaretti e di Celentano dice...

Luisa Ranieri nella fiction «La vita promessa». L’attrice ha girato diverse serie in costume, tra cui quella sul soprano Maria Callas e la stilista Luisa Spagnoli
13 Settembre 2018 alle 12:37

Una coraggiosa madre siciliana catapultata dalla Sicilia degli Anni 20 alla New York del proibizionismo. È l’ultima sfida di Luisa Ranieri, che con «La vita promessa», fiction in quattro puntate diretta da Ricky Tognazzi in onda su Raiuno dal 16 settembre, torna a calarsi in un grande affresco storico. «È una serie importante, con tante storie che s’intrecciano» ci spiega la protagonista. «Interpreto Carmela, che per salvare se stessa e i figli parte per l’America. Lì deve affrontare una città e una lingua nuova, ma anche un percorso di emancipazione femminile».

L’immigrazione è un tema d’attualità.
«Bene, così la gente sarà incuriosita e vedrà come eravamo. La storia si ripete, e anche parlando delle cose antiche si parla di attualità. Purtroppo anche noi non eravamo tutti “italiani brava gente”, ma il genere umano dimentica».

Com’è stata la sua «emigrazione» da Napoli a Roma per diventare attrice?
«Da figlia di papà, per fortuna avevo una famiglia alle spalle. Mi ero data al massimo un paio d’anni, ma ho avuto la fortuna d’iniziare subito a lavorare grazie alla pubblicità».

Il celebre spot di una bibita che recitava: «Anto’, fa caldo!».  
«Mica è stato il primo! Per tre anni ho vissuto di pubblicità: Tim, Vodafone con Fiorello, i computer Hp...».

Quella pubblicità però ha rappresentato la svolta.
«Mi ha dato popolarità, ma è stata una svolta che io non ho cavalcato. Ricordo che m’invitavano ovunque, ma per me era uno spot come un altro, tipo “prendi i soldi e scappa”. Ho sempre avuto chiaro il mio percorso».  

Ovvero?
«Sono 18 anni che lavoro, con alti e bassi come tutti gli attori, ma ho detto anche tanti no. Credo che le carriere si costruiscano più sui no che sui sì. Magari ci metti più tempo, è tutto più farraginoso, non hai quell’exploit immediato, però semini. Quando sfoglio un copione mi faccio sempre delle domande: “Questa cosa chi la guarda?”, “Mi ci identifico?”, “Le donne si rivedono nel personaggio?”. Leggo sempre con grande senso critico, pensando al mio pubblico».

C’è un film a cui ha rinunciato che è stato poi un grande successo?
«Eccome! Ho detto di no a tante proposte, ma non mi sono mai pentita, neanche quando sono stati grandi successi. Sono fatalista. E non amo le cose scontate, la napoletana bellona, il cliché».

Provo a insistere: fuori un titolo!
«“Benvenuti al Sud”. E dovevo girare un film con Kevin Costner che poi non si è più fatto. Però le ripeto che non ho rimpianti. Mi è solo dispiaciuto non rivedere Luca Miniero, il regista di “Benvenuti al Sud”, perché lo adoro».

Mi racconti della sua esperienza a «Rockpolitik» con Adriano Celentano.
«Faticosa. Adriano con me era molto carino, ma non provavamo mai, lui non leggeva il gobbo e faceva pause lunghissime. Avevo sempre addosso una tensione mostruosa. Un attore ha bisogno di prove, per noi la tv è proprio un altro mestiere. Lì, però, ho imparato che se hai presenza scenica e consapevolezza di te puoi stare un quarto d’ora in silenzio e la gente ti guarda».

Lei è sposata con un attore famoso, Luca Zingaretti. Come funziona tra voi riguardo al lavoro? Vi consultate sui copioni? Recitate le parti insieme?
«Prima non gli chiedevo mai pareri sui copioni, adesso quando ho dei dubbi può capitare, ma in generale il lavoro lo lasciamo fuori di casa. Fin dall’inizio abbiamo cercato di tenere separati pubblico e privato. Ognuno aveva la propria carriera e io ero molto gelosa della mia. Non volevo essere “la donna di Zingaretti”, anche se molte, al mio posto, probabilmente avrebbero sfruttato la sua popolarità».

A teatro in «The deep blue sea» sarà diretta proprio da suo marito.
«E ne sono felice. Luca è un bravissimo regista di teatro, avendolo fatto per 30 anni. L’avevo visto all’opera su altre produzioni ed ero rimasta affascinata per come sapeva lavorare con gli artisti. Molti registi spostano attori sulla scena, ma non si occupano di rifinire l’interpretazione e quasi sempre gli attori si “autodirigono”. Invece è bello essere diretti».

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