«Li portavo proprio come il mio personaggio Pietro. Ma a lui stanno meglio...». È protagonista con Aurora Ruffino di Noi, la nuova fiction di Raiuno tratta dal successo americano "This is us"

Che voce! Un mese fa, ospite sul palco del Festival di Sanremo, Lino Guanciale ha incantato tutti con una strepitosa interpretazione di un brano dei Beatles. E ora, mentre è impegnato a teatro, sta per tornare nuovamente protagonista della stagione delle fiction di Raiuno. Dapprima con “Noi”, subito dopo con “Sopravvissuti”.
Lino, ma lei non si ferma mai! Andiamo per ordine. Dal 6 marzo la vedremo in “Noi”, la trasposizione del successo americano “This is us”. Come mai è così speciale questa serie?
«L’originale ormai è un classico della serialità televisiva mondiale, ha una potenza universale. È un racconto con una scrittura che incrocia i piani temporali, le generazioni e tu rimani agganciato alla storia perché vuoi sapere ogni cosa: il passato, il presente e il futuro dei personaggi. Per questo è un meccanismo che parla a tutti. Nell’adattamento italiano c’è la storia delle famiglie del nostro Paese dagli Anni 80 ai giorni nostri».
In questa serie la si vede, giovane ventenne, con baffi e basettoni. Lei com’era a 20 anni?
«Avevo sia i basettoni sia i capelli lunghi. Non lo posso negare perché esistono delle foto imbarazzanti che mi inchiodano (ride). Diciamo che ho passato varie fasi, che poi sono quelle di cui un po’ ci si vergogna quando si cresce».
E il suo personaggio Pietro è lì a ricordarle che c’è passato pure lei...
«Sì, ma per sua fortuna i basettoni li porta molto meglio di come li portavo io! C’è questa bella cosa del nostro lavoro: alla fine tutto trova in qualche modo una sintesi estetica efficace».
E soprattutto, dopo le riprese ci si strucca e si torna magicamente al giorno d’oggi.
«Esatto. È una situazione facilmente reversibile, per fortuna».
Il suo Pietro nella serie è un bravissimo papà di tre gemelli. Nella realtà lei se la cava altrettanto bene con suo figlio?
«Beh, ci provo! Pietro è fantastico: è quello che qualunque papà desidererebbe essere con i propri figli».
Peraltro suo figlio si chiama Pietro, come il suo personaggio.
«Le due cose non sono legate, non è per questo che io e mia moglie abbiamo deciso di chiamarlo così (ride). Però senz’altro recitare sul set e sentirmi chiamare Pietro per molto tempo, a livello inconscio, ha rafforzato l’idea che questo sia un nome molto bello».
In “L’allieva” ha girato il suo matrimonio e poi si è sposato davvero. In “Noi” diventa papà e poi lo è diventato davvero. Fra 30 anni interpreterà un nonno e poi lo diventerà davvero?
«(Ride). Ho la finzione che anticipa la mia realtà, è vero!».
Quindi quando tre mesi fa, dopo la fine delle riprese, è nato suo figlio Pietro lei era già allenato nel cambio pannolini, nel cullare neonati, nel dare il biberon?
«Sì. Devo ammettere che sul set mi capitava di pensare: “Fai tesoro di questa cosa perché ti sarà utile...”».
Dopo “Noi” la vedremo in onda con un’altra serie su Raiuno, “Sopravvissuti”.
«Un progetto ambiziosissimo che vede la Rai capofila di una coproduzione con le altre tv pubbliche francese e tedesca».
Che storia racconta?
«Una barca a vela avveniristica è impegnata nella traversata dell’oceano Atlantico per uno scopo benefico: la raccolta fondi per la ricerca sulle malattie rare. I 12 membri dell’equipaggio incappano nella tempesta perfetta. C’è un naufragio drammatico, vengono dati per dispersi, non si hanno più notizie, ma in capo a un anno sette di loro tornano a casa. E lo fanno carichi di segreti su cosa sia davvero successo. Proprio come carichi di segreti sono coloro che a casa li aspettavano ancora, o avevano smesso di aspettarli. È un thriller raffinato nella costruzione, appassionante e psicologicamente tagliente».
E ora in cosa è impegnato?
«In teatro, con le prove di “Zoo”, un testo scritto e diretto da Sergio Blanco, uno dei giovani protagonisti del teatro contemporaneo mondiale. È un onore lavorare con lui. Debutteremo al Piccolo di Milano il 26 marzo e poi saremo in tournée fino ai primi di maggio».
Ha finito di girare “La porta rossa 3”. Il prossimo set per la tv?
«Dopo il teatro inizierò le riprese di “Il commissario Ricciardi 2”».
A Sanremo ha cantato (egregiamente) il brano “A hard day’s night”: ha una passione per i Beatles?
«Sì, è una passione antica che mi viene dai miei genitori. E anche dal fatto che sin da quando ero piccolo ho sempre riconosciuto nei Beatles tanta intelligenza, originalità e capacità di divertimento».
E lei sembra essersi divertito parecchio sul palco dell’Ariston.
«Ho pensato: già che sono qui... mi lancio!».
Quello è il suo cavallo di battaglia?
«In realtà ce ne sono altri. Quella era la canzone più divertente da suonare per l’orchestra. Ma tra i pezzi che amo di più ci sono anche “Get back”, “With a little help from my friends”, “Lucy in the sky with diamonds” e “A day in the life”, che forse è la mia preferita».
Lino, vediamo se anche lei ha “ceduto” come tutti i neogenitori: quante foto del piccolo Pietro ci sono nella gallery del suo telefonino?
«(Ride). Incalcolabili... sono diverse decine. Che poi non ne faccio neanche così tante, ma spesso mi viene istintivo immortalare l’attimo».
Sono una buona percentuale sul totale?
«Pietro è senz’altro il protagonista indiscusso della gallery... e ci mancherebbe altro».