Lino Guanciale in “Ricciardi 2”: «Vedrete, stavolta le donne mi cambieranno la vita…»

È protagonista di quattro nuove puntate della serie ambientata nella Napoli degli Anni 30, dal 6 marzo su Rai1

5 Marzo 2023 alle 08:18

Lino Guanciale è felicissimo di tornare nei panni (anzi, nell'elegantissimo impermeabile) del commissario Ricciardi, protagonista di quattro nuove puntate della serie ambientata nella Napoli degli Anni 30, dal 6 marzo su Rai1: «È una gioia. La cosa che più mi piace è dover incarnare i suoi silenzi. In realtà la corazza che si è costruito è una barriera dietro la quale si av- verte la sua grande capacità di amare» spiega l’attore.

Tant’è che nei nuovi episodi sedurrà senza volerlo una terza donna, Bianca.
«Si avvicinano a lui persone che sentono risuonare la sua umanità “schermata”. Capita a Livia, Enrica e ora a Bianca, che sarà molto importante».

Anche lei è stato un seduttore inconsapevole?
«Sì, per tutte le superiori! A distanza di anni gli amici mi raccontano ancora cose di cui non mi ero accorto. Ero un po’ tonto e vittima della timidezza».

Sua moglie come vive l’affetto da parte del pubblico femminile?
«Bene, cerchiamo di affrontarlo in modo scanzonato e obiettivo: è una cosa sulla quale scherziamo. Antonella è la prima persona a cui chiedo un feedback su qualunque lavoro faccia. Con questa complicità fronteggiamo il lato pubblico della mia professione».

È vero che il ciuffo di Ricciardi nei nuovi episodi subirà un cambiamento?
«È vero. È semplice, meno articolato, non più un boccolo, resta un ciuffo ma meno ostentatamente ribelle».

Lei ha una caratteristica fisica che la contraddistingue?
«Ricciardi si rade completamente, io non ci riesco. Sono troppo affezionato alla barbetta incolta di qualche giorno, mi ci riconosco profondamente, è il mio schermo dal mondo. Radermi è l’unico sforzo estetico che devo affrontare per amore di Ricciardi».

Invece ha tatuaggi come Rosaura, protagonista del suo primo romanzo “Inchiostro” (edito da Round Robin)?
«Uno sulla spalla destra, che rappresenta un murale di Banksy, il “Lanciatore di fiori”. Un’immagine molto cara, esprime perfettamente di che natura sia l’impegno politico e per la comunità degli artisti. Noi non dobbiamo lanciare bombe, dobbiamo usare le armi della bellezza e della pace quando cerchiamo di dire qualcosa».

Quando ha fatto il tatuaggio?
«Prima del lockdown. È un regalo di mia moglie: erano anni che volevo farlo e non mi decidevo. Lei ha anche ispirato “Inchiostro”, ma poi dentro Rosaura sono entrate altre mie cose personali».

Da piccolo voleva fare lo scrittore, oltre che il benzinaio e il giornalista?
«Era un’opzione. Dicevo lo scrittore ma insieme a qualcos’altro, perché la scrittura deve essere pura. Pensavo di fare il giornalista e poi scrivere romanzi o saggi».

E il benzinaio, invece?
«Adoravo l’odore della benzina. Chiedevo ai miei di portarmi quando andavano a farla. Inoltre i benzinai avevano i portafogli gonfi di banconote e pensavo fosse il mestiere ideale. Poi ho capito che non era proprio così...».

È vero che ha anche un passato da rugbista nella sua Avezzano (L’Aquila)?
«Sì, ho giocato tanto: dai 12 ai 21 anni. Ero nel giro della Nazionale giovanile. Amavo molto quello sport. Ho smesso quando sono entrato in accademia».

Non ce la vedo a buttarsi nella mischia.
«Mi ha conquistato proprio che fosse uno sport di contatto, mi ha aiutato a superare le paure. Ero un placcatore fortissimo, nonostante non fossi grande fisicamente. È un ruolo che ha a che fare con il coraggio e la tecnica, più che con la robustezza».

Ha detto che lo sport l’ha aiutata quando a scuola veniva bullizzato. Perché se la prendevano con lei?
«È successo in prima elementare. Poi cambiai scuola e andò meglio. Non ci sono mai motivi chiari per bullizzare. Io ero molto riflessivo, timido e un po’ avanti rispetto ad altri. Arrivai che sapevo già leggere e scrivere, avevo passioni diverse rispetto ai compagni di quell’età e quindi fu un disastro. Cambiare scuola fu meraviglioso, facevo il pendolare dove insegnava mia madre, non ero in classe con lei ma nella stessa scuola. La maestra Margherita ancora oggi viene a vedere i miei spettacoli. Arrivai alle medie che alcuni blocchi relazionali li avevo ancora, mi ero appassionato al nuoto ma è
uno sport solitario, volevo stare con gli altri e così scoprii il rugby. Oggi ho tanti amici che hanno giocato con me».

Era stato ammesso a Medicina come suo papà, poi ha scelto Lettere. Le manca soltanto la tesi...
«Sia mia moglie che mio papà me lo ricordano spesso. Conto di scriverla al più presto. Ma lo dico da oltre 10 anni».

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