L'attrice milanese è una dottoressa molto efficiente nella fiction "Doc. - Nelle tue mani" con Luca Argentero
Fino a sette anni fa Matilde Gioli era una studentessa universitaria dagli occhioni azzurri e il sorriso splendente che sognava di laurearsi in Filosofia e dedicarsi alle neuroscienze («Mi è sempre piaciuto capire come funziona il cervello» dice), poi all’improvviso la sua vita ha preso una svolta inaspettata.
• "Doc. - Nelle tue mani": trama, cast e personaggi
Dopo aver fatto un provino per un film (“Il capitale umano” di Paolo Virzì) si è ritrovata catapultata nel mondo del cinema. Da allora tutto è cambiato: un film dopo l’altro, spot pubblicitari, qualche ruolo in tv. E ora eccola su Raiuno in una serie di quattro puntate (ma dovevano essere sei) dal titolo “Doc. - Nelle tue mani”, in onda su Raiuno dal 26 marzo, dove interpreta una giovane e ambiziosa dottoressa.
Matilde, milanese di famiglia e nel cuore, in questi giorni è a Roma, chiusa in casa come tutti, da quando il set della serie è stato chiuso per l’emergenza coronavirus.
Matilde, anche lei rimane a casa in attesa...
«Mancavano pochi giorni alla fine delle riprese quando sono state interrotte. La produzione ci ha chiesto di restare a Roma per qualche settimana per vedere se più avanti riusciremo a completare le ultime scene. E comunque io non mi muovo, non corro a casa».
Lei è una milanese doc.
«Tutti quelli della mia famiglia sono a Milano, anche loro a casa, e mi fa piacere che siano tutti insieme, la mamma, i fratelli, i gatti... Anche io avrei voluto tornare a casa. Ma non mi sono mossa. Bisogna rispettare le regole».
In questa nuova serie di Raiuno interpreta un medico, Giulia Giordano.
«Giulia è l’assistente preferita dal primario (interpretato da Luca Argentero, ndr). Al di là del fatto che i due abbiano un rapporto che va oltre il lavoro, Giulia è un medico molto in gamba, seria e concentrata. Però è una scienziata poco empatica, le manca un po’ la parte umana con i pazienti».
Un bel tipino, insomma.
«Ammetto che è stato più complicato diventare un tipo freddo e poco empatico che interpretare un medico. È stato più lo sforzo di far finta di essere così distante dal mio carattere. Io sono sempre di buon umore e quando ho momenti di cattivo umore cerco di farmeli passare in fretta».
Quindi interpretare il ruolo di un medico le piace.
«Quando mi hanno proposto questo ruolo sono impazzita di gioia. Io volevo fare il medico sin da piccola. Dopo le superiori ho fatto pure il test per entrare alla Facoltà di Medicina, mi sarebbe piaciuto fare neurochirurgia. Non l’ho superato e così mi sono iscritta a Filosofia. Volevo studiare le neuroscienze, arrivare al cervello da un’altra strada».
E mentre studiava filosofia Paolo Virzì le ha fatto un provino e poi l’ha scelta per “Il capitale umano”.
«In quel momento non ero particolarmente preoccupata, per me era come un gioco. Quando dovevo fare un esame all’università ero molto più agitata. Non perché mancassi di rispetto o fossi una sbruffona, ma non avevo capito cosa significasse quel provino. Forse la mia leggerezza è stata vincente».
Come si è trasformata in un’attrice professionista?
«Niente scuole perché non ho avuto il tempo. Fortunatamente dopo Virzì ho sempre lavorato. Ho trovato dei coach sui vari set, ma sommandole tutte avrò fatto sì e no otto ore di scuola di recitazione in sette anni. Per un corso come si deve bisogna prendersi almeno sei mesi di tempo, avevo anche ipotizzato di andare all’estero. Prima o poi lo farò».
Tra i vari film dove ha recitato, quale le è rimasto nel cuore?
«A livello di incontri umani, “Belli di papà” nel 2015. Interpretavo la figlia di Diego Abatantuono ed è diventato un amico, abbiamo girato per un paio di mesi in Puglia, con Andrea Pisani e Francesco Facchinetti. È stata una bella combinazione di persone, gioiose e di buon umore».
In tanti incontri chi le ha dato un consiglio utile?
«Francesco Scianna, con cui non ho lavorato ma siamo amici da tempo: “Non giudicare mai il tuo personaggio”. Spesso ci capita di interpretare personaggi che magari nella vita non ci starebbero simpatici, però dobbiamo astenerci dal giudicarli e quindi farli al meglio».
Con il personaggio della fredda Giulia dovrà convivere per un po’.
«Quando giri un film, dopo un mese e mezzo finisce tutto e addio. Qui siamo rimasti sul set per sette mesi. Girare una serie tv ti permette di rimanere più tempo con un personaggio, di conoscerlo bene. Mi piace anche l’idea di avere un incontro con un pubblico più vasto, quello televisivo, di entrare nelle case delle persone».
Lo fa con una serie che parla di medici e ospedali, un tema attualissimo in questo periodo.
«Questa è una serie che lancia un messaggio di speranza. Fa vedere che chi lavora in un ospedale dà sempre il massimo per salvare le persone. C’è una scena in cui, da medici, chiamiamo la morte “la st***za”, perché il nostro credo è fare di tutto perché nessun paziente muoia. Anche questo è un modo di raccontare ciò che accade in questi giorni».