La star di "Il giovane Montalbano" viene da Taranto, adora le orecchiette, suona in un gruppo rock e racconta...
«Ha presente una partita a poker? Ecco, “Il giovane Montalbano” è come una mano di poker nella quale tutti sono venuti a vedere pensando che stessimo bluffando. E invece avevamo un bel poker...» dice Michele Riondino.
Altro che bluff: gli ascolti della serie, anche in replica, sono ottimi.
«È sempre una piacevole sorpresa: niente è scontato quando si “azzarda”. Perché su “Il giovane Montalbano” c’era dello scetticismo, un sacrosanto scetticismo iniziale che dovevamo vincere. E tutti noi, cast, troupe e il resto del gruppo di lavoro, ci siamo imbarcati in questa avventura in maniera appassionata ma equilibrata, ognuno consapevole delle proprie responsabilità. E questo ha fatto nascere tra noi rapporti di vera amicizia. Mi fa piacere che la serie sia così amata. E mica solo in Italia. Lo sa che mi arrivano messaggi dall’Inghilterra, dove sta andando in onda in contemporanea?».
Si riguarda in tv?
«Quando posso sì. In particolare poi questa seconda stagione non me la ricordavo benissimo, quindi cerco di seguirla».
Che impressione le fa?
«Tante cose le cambierei ma è nell’ordine del lavoro che facciamo. L’importante è che resta un’esperienza indimenticabile, nella quale eravamo tutti molto coinvolti».
E pensare che lei all’inizio non lo voleva nemmeno fare...
«È vero. Tra le clausole che ho chiesto prima di accettare c’era quella di incontrare Andrea Camilleri: volevo sentirmelo dire da lui che c’era la voglia di disegnare il personaggio di Montalbano in giovane età».
Quindi è stato Camilleri a convincerla?
«E ci è riuscito subito: mi ha dato quella motivazione in più, dimostrandomi che non era solo un’operazione mediatica ma che dietro c’era un’idea narrativa».
È esattamente un anno che il maestro non c’è più. Ci regala un suo ricordo?
«L’ultima volta che l’ho visto, poco prima della scomparsa, eravamo chiusi nella sua stanza e lui mi parlava dei suoi prossimi lavori a teatro: veniva dalla bellissima esperienza di “Conversazione su Tiresia” e stava studiando un lavoro su Pirandello. Mi raccontò aneddoti su Pirandello e su Sciascia, e sembrava che stessimo parlando dei vicini di casa. Con lui c’era l’annullamento delle distanze. Questa forse è la cosa che mi manca di più».
Con la lingua siciliana come se l’è cavata?
«Quella era la seconda clausola prima di accettare il ruolo: non volevo condizionare il linguaggio del personaggio. I romanzi di Camilleri sono fortemente caratterizzati dal siciliano e chiesi di poter lavorare bene sulla lingua. Sia la Rai sia Carlo Degli Esposti (il produttore, ndr) mi hanno permesso di lavorare con attori siciliani, di vivere, di dividere case con loro e ho sviluppato una certa familiarità. Poi qualche tempo prima di cominciare le riprese mi sono trasferito a vivere a Palermo e lì ho proprio studiato il siciliano».
A bruciapelo: mi dica tre espressioni siciliane di Montalbano.
«Mi prende in contropiede (ride). Direi (dopo averci pensato un po’ su, ndr): “Non cangiate canale”, quando Salvo consiglia allo spettatore di non cambiare canale per non perdersi una “puntata focosa”. Poi il classico “non scassare i cabasisi” (non rompere le scatole, ndr). Infine “me ne stracatafotto”, un bel “me ne infischio”».
Le usa anche nella vita queste espressioni?
«No. Nella vita se mi sfugge il dialetto è quello tarantino. A volte anche quello romanesco...».
Salvo non resiste alla parmigiana di melanzane appena sfornata. Lei a che cosa non resiste?
«Alle orecchiette alle cime di rapa».
In tanti chiedono un seguito di “Il giovane Montalbano”. Ma il produttore Carlo Degli Esposti, parlando proprio con noi di Sorrisi, ha escluso questa possibilità.
«Ciò nonostante non ho mai rinunciato all’idea di fare una terza stagione, questa è un’esperienza che ho amato molto. Chissà, magari un giorno torneremo a fare qualche puntata in più».
Lei è anche musicista: è ancora la voce e la chitarra della rock & roll band Revolving Bridge?
«Certo (ride)! Abbiamo continuato a fare concerti, poi ci siamo fermati per l’emergenza sanitaria».
Il nome a cosa si riferisce?
«Al ponte girevole di Taranto, perché siamo tutti della stessa città».
A proposito di Taranto: c’è un suo concittadino musicista che sta vivendo un momento d’oro...
«Sì, io e Antonio (Diodato, ndr) siamo amici: sono felice del suo successo».
Avete mai suonato insieme?
«È capitato. A volte è salito sul nostro palco e qualche volta sono salito io sul suo a cantare un brano. Mi piacciono tutti ma i miei preferiti sono “Babilonia” e “Che vita meravigliosa”».