Montalbano: l’11 e il 18 febbraio i due nuovi episodi

Carlo degli Esposti ci racconta come ha avuto l'intuizione a trasformare i libri di Camilleri nella fiction più amata di sempre

Carlo Degli Esposti con Luca Zingaretti sul set. In questa intervista il produttore svela anche come andò il primo provino fatto all’ormai “storico” interprete di Montalbano  Credit: © Duccio Giordano
31 Gennaio 2019 alle 17:42

Era il 6 maggio del 1999 quando, su Raidue, andò in onda il primo episodio di Il commissario Montalbano. Sono trascorsi 20 anni. I film sono diventati 32 (più due che stanno per andare in onda) e da allora i telespettatori che li hanno seguiti, tra prime visioni e repliche, sono quasi un miliardo e duecentomila. Solo in Italia. Già, perché Montalbano è stato venduto in oltre 60 Paesi in tutto il mondo. Dietro a questo successo clamoroso c’è lui, il produttore Carlo Degli Esposti, che con la sua Palomar ha avuto, vent’anni fa, un’intuizione geniale. «Ma no, non ho alcun merito» si schermisce sorridendo.

Ma come, lei è il papà televisivo di Montalbano.
«È andata così. Era il 1997 e da tre anni ero l’amministratore di Cinecittà. Con un lavoro durissimo ero riuscito a portarla in attivo ma il governo decise per la privatizzazione. Mi arrabbiai moltissimo e mi dimisi da un giorno all’altro, perché purtroppo ho un brutto carattere».

E cosa fece?
«Decisi di fare un viaggio in Sicilia. Presi un aereo per Catania, affittai una macchina e da solo, con qualche libro nella borsa, mi feci un giro nell’interno della Sicilia. Poi passai a Palermo per andare a salutare la mia amica Elvira Sellerio e lei mi disse: “Ho pubblicato il secondo romanzo di questo scrittore che si chiama Andrea Camilleri. È un autore prolifico a cui tengo tanto. Leggi questi due romanzi, ‘ll ladro di merendine’ e ‘La voce del violino’”. Ne rimasi folgorato».

E cosa fece?
«Andai a casa di Camilleri e gli dissi: “Io non ho una lira, ma vorrei provare a fare una fiction dai suoi romanzi. Ho solo questi soldi e non la vorrei bloccare: facciamo una piccola opzione per tre mesi, se ci riesco bene, sennò lei è libero”. E corsi a portare i romanzi a Sergio Silva, a capo dell’allora Rai Cinemafiction».

E lui accettò subito?
«Macché. Quasi allo scadere dell’opzione ancora non mi aveva fatto sapere niente. Lo chiamai un venerdì. “Le piacciono?” chiesi. Lui disse: “I lettori a cui li ho fatti leggere mi dicono che non sono buoni per una fiction, però se lei mi ridice i titoli me li faccio dare dalla biblioteca e li leggo nel weekend”. E io: “Fra dieci minuti i libri glieli riporto io”. Scrissi sulla copertina con un pennarello bianco l’ordine di lettura: “1” per “Il ladro di merendine” e “2” per “La voce del violino”».

Che suspense...
«Alle 8 di mattina del lunedì squilla il telefono nel mio ufficio. Era Silva: “I miei lettori sono degli idioti completi, i libri sono bellissimi. Ci possiamo vedere?”. Saltai sulla mia vespetta e alle 9.30 avevo una lettera firmata di Sergio Silva».

Da lì è cominciato tutto?
«Sì, con Camilleri, che poi è stato il mentore dell’operazione, abbiamo cominciato a pensare a chi potesse essere il regista. Io cercavo l’atmosfera dei film di Pietro Germi, volevo quella Sicilia lì. Alla fine arrivammo ad Alberto Sironi».

E a Luca Zingaretti?
«Cominciammo a fare provini. Un giorno mi chiamò Luca Zingaretti, che non conoscevo, e mi disse: “Sono un ex allievo di Camilleri, ho letto i libri, sono stupendi, vorrei fare un provino”. E io: “Ma il protagonista è moro, con i baffi, tu sei pelato...”. Ma era così motivato che il provino lo fece e fu straordinario».

Dei 34 già girati qual è stato il film più difficile da realizzare?
«È sempre difficile. Tutti gli anni quando cominciamo le riprese di un nuovo film faccio lo stesso discorso: “Non diamo niente per scontato, deve esserci l’entusiasmo di una ennesima prima volta”».

E la cosa che ricorda con piacere?
«In 20 anni abbiamo “arato” il teatro siciliano e trovato nuovi attori che aspettavano una vetrina come Montalbano per invadere la fiction italiana e europea. È la cosa di cui vado più orgoglioso».

A chi pensa in particolare?
«Nel 2000 per trovare l’interprete del vecchio capomafia Balduccio Sinagra, descritto come decrepito da Camilleri, abbiamo provinato attori anziani, ma avevano al massimo 75 anni: troppo giovani. Ci venne l’idea di cercare attori negli ospizi. Trovammo Ciccino Sineri, che aveva 90 anni e viveva in una casa di riposo. Era magro come una sogliola e un po’ “rimbambitello”, ma per l’età lucidissimo. Gli proponemmo di fare il capomafia e lui ne fu entusiasta, ebbe una nuova giovinezza. Dopo qualche mese mi chiamò e mi disse: “Dottore, le voglio comunicare che grazie a Montalbano sto andando in America”: Paolo Virzì lo voleva nel film “My name is Tanino”».

Siamo alla vigilia della messa in onda di due nuovi film: «L’altro capo del filo» e «Un diario del ‘43». Cosa ci può anticipare?
«Si parla di emigrazione del dopoguerra e di immigrazione di questi giorni. Alla fine della visione si potrebbe cogliere un insegnamento: una volta si è emigranti, una volta si è immigrati. Camilleri mette sempre dentro al racconto di Montalbano una fettina di realtà quotidiana recente...».

C’è un rituale che lei e Luca Zingaretti condividete prima dell’inizio della messa in onda?
«Proprio quello che sta succedendo in questo momento: mentre parliamo Luca è giù in sala proiezione che guarda la prima puntata. Poi viene su, parliamo del lancio della serie e dei prossimi due film che andremo a girare tra qualche mese e che stiamo già preparando. Con Luca ormai siamo amici, anzi fratelli, ci sentiamo tutte le settimane. Montalbano unisce: anche con Camilleri siamo diventati affiatatissimi. Molto lentamente, perché il connubio tra un bolognese e un siciliano non è semplice (ride), ma ha funzionato. E pure molto bene».

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