Claudio Amendola parla a Sorrisi del suo personaggio in "Nero a metà" e del lungo rapporto con la televisione
Claudio Amendola torna finalmente su Raiuno. In realtà c’era stato fino allo scorso giugno con le seguitissime repliche della serie “Nero a metà”. Ora, però, arrivano gli episodi inediti della seconda stagione: sei prime serate in cui il suo ispettore Carlo Guerrieri, promosso a capo dell’Investigativa, dovrà districarsi tra nuovi casi e nuovi colpi di scena.
Claudio, promosso nella fiction e promosso dal pubblico.
«L’apprezzamento del pubblico è stato sorprendente, anche le repliche nei mesi scorsi sono andate benissimo. Forse perché eravamo tutti chiusi in casa».
Al debutto aveva detto: «Ho reso il mio ispettore normale, accessibile, riconoscibile». Nella seconda stagione cosa ha aggiunto?
«Un coinvolgimento emotivo. Il cuore di Carlo verrà smosso. Quell’uomo un po’ di pietra adesso si sposa, però, mannaggia, qualcosa lo distrae parecchio. Diciamo che l’entrata in scena di Nicole Grimaudo non passa inosservata».¶
Non c’è pace nel cuore del suo ispettore...
«Eh no, ed è proprio questo il grande cambiamento per uno che cercava di mantenere grandi distanze con l’amore, con la coppia, con certi argomenti».
La diverte essere così conteso dalle donne nella sceneggiatura?
«Nella sceneggiatura sì, mi diverte molto. Ma succedono tante altre cose. C’è una parte investigativa che coinvolgerà tutta la squadra, ci sarà tensione e pathos».
Al suo fianco ritroviamo l’altra metà della coppia, il “nero”, ossia Malik Soprani.
«Ci scontriamo ancora parecchio, abbiamo visioni completamente diverse, restano grandi differenze, ma il rapporto fra i due matura, diventa una sorta di complicità. Non su tutto ovviamente. In generale questa serie è molto cresciuta, anche noi attori eravamo più rodati, ci conoscevamo meglio».
Questa seconda stagione, posticipata per via del Covid, è stata uno dei suoi ultimi lavori?
«È stato il mio ultimo lavoro. Abbiamo finito di girare un anno fa, avevo in vista dei progetti per la primavera successiva e mi sono detto: “Questo inverno sto fermo”. Sono stato fermo un anno».
Lei e la fiction: una “storia d’amore e d’amicizia” (prendendo in prestito il titolo del suo primo sceneggiato) che dura da quasi 40 anni.
«Sono 40 anni che entro in casa della gente all’ora di cena. Ho un rapporto lunghissimo e di grande riconoscenza con la tv. Ho fatto tutto: gli sceneggiati, le fiction, le serie... Per me, per la mia carriera, la tv è stata forse più importante del cinema».
La sua pagina Wikipedia riporta 25 titoli di serie tv dal 1982 a oggi.
«E molte di quelle contano sette, otto, dieci puntate: un bel numero di ore!».
È stato mafioso, poliziotto, questore, maresciallo della Guardia costiera, infermiere, Gioacchino Murat...
«...Nostromo e tanti altri. Sono stato tutto, o quasi. Un laureato non me l’hanno fatto mai fare, neanche un violinista. Evidentemente sono tagliato per ruoli più veraci».
Otto anni trascorsi sul set di “I Cesaroni” sono quasi un matrimonio.
«Mi hanno cambiato le abitudini di vita. Le riprese duravano nove mesi e gli orari erano sempre gli stessi, dalle 8 alle 18. Ho completamente riassestato il mio ritmo biologico. Oggi mi sveglio regolarmente alle sei e mezzo di mattina, prima potevo dormire fino alle due del pomeriggio».
Niente più vita sregolata.
«“I Cesaroni” mi hanno anche regalato una fetta di pubblico che non avevo, quello dei bambini. Tutti i personaggi che avevo fatto fino ad allora erano storie da adulti o un po’ violente. I bambini sono una bella garanzia per il futuro».
Pronto per il ruolo del nonno.
«Non vedo l’ora! Nella realtà sono già nonno di due nipoti meravigliosi, so tutto, so come si fa nonno Libero».
La terza stagione di “Nero a metà” è già in cantiere?
«La stanno scrivendo ora. Ipotizziamo di poterla girare fra gennaio e febbraio dell’anno prossimo».
Lei dà anche suggerimenti?
«Più che altro ci confrontiamo mentre la scrivono. Se ho altre idee me le tengo per me».
Ha un progetto di fiction nel cassetto?
«Più di un progetto, ci sto lavorando come un cesellatore. Se riesco a farli arrivare in porto sarebbe una cosa grossa».