Abbiamo incontrato il dottore che ha ispirato la fiction con Argentero. Coinvolto in un incidente stradale, al risveglio dal coma non si ricorda nulla degli ultimi 12 anni di vita
È ispirata a lui e alla sua incredibile storia la fiction "Doc. Nelle tue mani" con Luca Argentero, in onda da giovedì 26 marzo, per quattro serate, su Raiuno. Il lui di cui parliamo è Pierdante Piccioni, primario di Pronto soccorso dell’ospedale di Codogno (Lodi) fino al 31 maggio 2013.
Quel giorno, infatti, viene coinvolto in un incidente stradale che gli stravolge la vita. Al risveglio dal coma è convinto che sia il 25 ottobre del 2001 e pensa di avere appena portato i figli a scuola… Un buco nero di 12 anni inghiotte ricordi, esperienze ed emozioni.
E "Meno dodici", appunto, è il titolo del libro (vedi box sotto) che ha ispirato la fiction, in cui Piccioni racconta la lunga riabilitazione e la scommessa, vinta, di tornare a fare il medico.
Dottor Piccioni, “protagonista” di una fiction e anche dell’emergenza coronavirus, iniziata proprio a Codogno...
«Già, sono impegnato tutto il giorno con i pazienti».
Lei oggi che ruolo ha?
«Dopo avere rinunciato al posto di primario, collaboro con l’ospedale di Lodi dove il mio compito è trovare percorsi specifici per disabili e malati cronici, insomma per quello che sono stato anche io».
Dopo quanto le è successo, come ha fatto a tornare in corsia?
«Invece di andare in pensione per invalidità, ho chiesto e ottenuto di poter fare i test per tornare a fare il medico e li ho superati. Non mi importava essere il primario. Volevo stare in corsia con i mie pazienti».
Si racconta che lei, da primario, fosse terribile.
«Ho saputo qual era il mio soprannome, “Il principe ba...do”. Ero una persona corretta ma spietata. I miei collaboratori mi dicono spesso: “Dottore, se avessimo saputo che lei veniva fuori così, gliela davamo noi molto prima una botta in testa…”» (ride).
Come ha fatto a “ricostruire” la sua vita passata?
«Vivo di ricordi che mi restituiscono gli altri. Ma c’è anche un aneddoto simpatico. Durante la riabilitazione, per recuperare il mio curriculum, ho riletto più di 60 mila mail che avevo inviato. Tra l’altro non ricordavo nemmeno di avere un indirizzo di posta elettronica... E talvolta pensavo: “Ma chi è quell’imbecille che ha scritto queste cose?”. Ero io!».
Si immaginava che la sua storia potesse diventare una fiction?
«No, perché scrivo per me. Lo faccio per rappresentare le mie paure e provare a vincerle. Poi mi sono accorto che le mie parole potevano servire anche agli altri. Il più bel complimento che ricevo è quando i pazienti mi dicono: “Ho letto il suo libro, è stato terapeutico”. È un po’ come fare il medico due volte».
E che effetto le fa vedersi rappresentare da Luca Argentero?
«Non me ne vogliano gli altri attori, ma lui è quello a cui ho pensato sin dall’inizio. E poi anche fisicamente, ricorda me quasi venti anni fa».
Quindi era temutissimo e affascinante...
«Be’, mi difendevo, facevo la mia bella figura».
Sua moglie e i suoi figli come la trovano in questa sua seconda vita?
«Con mia moglie, che fa la psicologa, è stata abbastanza dura. E anche con i ragazzi ritrovarsi non è stato semplice. Mio figlio mi diceva: “Papà è come se qualcuno ti dicesse che Tex Willer non fa più il ranger. Lui è il ranger”. E io per loro sono Tex Willer».