Mentre parte la fiction di Canale 5, la stilista racconta il suo Made in Italy

La moda è sogno, fantasia, Made in Italy. E proprio “Made in Italy” è il titolo della serie tv in onda su Canale 5, per quattro prime serate a partire dal 13 gennaio, con Greta Ferro, Margherita Buy e Marco Bocci nei panni delle giornaliste di moda Irene Mastrangelo e Rita Pasini, e del fotografo John Sassi.
Nel cast, l’attrice Nicoletta Romanoff è Raffaella Curiel, chioma leonina di capelli biondi, storica disegnatrice di abiti e tailleur dai dettagli preziosi per clienti come Hillary Clinton e Margaret Thatcher. Proprio con “Lella”, come è chiamata la stilista, parliamo in questa intervista della nascita del Made in Italy e della fiction di Canale 5.
La serie è ambientata a fine Anni 70, a Milano. Come è iniziata la rivoluzione italiana della moda?
«Milano era città di grande cultura: dovunque si andasse tra il quartiere di Brera e il centro storico si incrociavano persone come il registra teatrale Giorgio Strehler, il poeta Eugenio Montale e il giornalista Indro Montanelli. In questo spirito abbiamo iniziato. Abbiamo fatto grandi sacrifici ma senza accorgercene, la mentalità era di lavorare sempre, un po’ per amore un po’ per dovere, con allegria».
Il mondo della moda è raffigurato libero e pieno di creatività. Era veramente così?
«Ogni mattina arrivava a Milano il giornale quotidiano “Wwd” che si occupava solo di moda. Proponeva i lavori di tutti gli stilisti americani e noi creativi, ognuno con il proprio stile, ci abbiamo provato. E siamo cresciuti».
Nella serie, Walter Albini (l’attore Gaetano Bruno) è presentato come il capostipite tra gli stilisti. Apre spacchi nelle gonne, toglie colletti rigidi, aggiunge bijoux.
«Lui lo fu davvero, il primo. Era il più grande. Raramente ho conosciuto persone così amabili, di tale sensibilità, dolcezza e intelligenza. Walter era una fucina di idee e aveva un cuore unico».
Avete dato inizio alla storia della moda, come si racconta nella fiction?
«Non sapevamo che stessimo facendo una cosa nuova e rivoluzionaria. Ci vedevamo, ci scambiavamo pareri, ci invitavamo reciprocamente alle sfilate. Eravamo tutti molto uniti, era un’epoca di novità, piena di entusiasmo. Io ero figlia d’arte, visto che mia madre, Gigliola Curiel, faceva altissima sartoria. Lei è mancata nel 1969 e io l’anno successivo ho iniziato in due piccole stanze in centro, in via Matteotti: c’era spazio anche per me, come per tutti coloro che amavano questo lavoro e lo sapevano fare».
Dove abitava?
«In via Gesù (poco distante, ndr) al civico 6, dove ora c’è un grande albergo. Gianni viveva al 12».
Per Gianni... intende Versace?
«Sì, proprio lui».
Ci racconti, nella serie si vede l’animo gentile di questo giovane stilista.
«Gianni era proprio così: adorabile, buono, creativo, un po’ introverso. Giorgio invece...».
Armani?
«Sì, Armani era geniale: inventò la giacca destrutturata nel 1975, con la sua prima sfilata (a lui è dedicata un’intera puntata, ndr). Sicuramente contribuì a cambiare la storia della moda e alleggerì il corpo della donna togliendo imbottiture, fodere e spostando i bottoni. Ma non si vedeva mai, viveva ritirato».
Era l’unico introverso?
«Anche Gianfranco Ferré non era di tante parole. Io l’ho conosciuto all’inizio della sua carriera, quando faceva cinture con bellissime fibbie».
Infatti così è raccontato nella serie, tra le sue cinture e bijoux geometrici.
«Prendevamo tutti ispirazione da ogni possibile ambito: c’era l’arte, la cultura. Vivendo tra pittori e scultori, venivano idee. Ah, quasi dimenticavo, c’erano anche i Missoni...».
A Rosita e Ottavio Missoni è dedicata una bella parte del racconto.
«Loro sono sempre stati adorabili. Creavano vestiti usando sapientemente la maglia e combinando tantissimi colori in un modo che solo loro sapevano fare».
La prima puntata inizia alla Triennale di Milano, che ora è un bellissimo museo. Qui sfila Krizia ed è il 1974. Stupisce tutti con maglie con tigri stampate, bustini di cuoio e altri di paglia.
«Krizia era bravissima, con un caratteraccio eh, ma bravissima. A quell’epoca si sfilava dove si voleva, ogni palazzo magnifico della città era una possibile scelta».
Nella serie c’è anche Elio Fiorucci, che a New York inaugura il suo negozio in cui vende jeans aderenti e magliette con gli angioletti.
«Lui captava le novità come se avesse delle antenne speciali. Produceva poco, soprattutto comprava e vendeva nel suo negozio di Milano in piazza San Babila sempre pieno di gente. Era simpatico e soprattutto buono».
Sa che nella serie c’è anche lei, signora Curiel, vero? La giovane giornalista Irene Mastrangelo fa un viaggio in Marocco per fotografare lì una collezione di abiti in stile etnico disegnata da lei.
«Sì, ho visto solo quel frammento. Anche se ho lanciato per prima la modella Afef Jnifen con la sua bellezza “esotica” per i tempi, le vicende che mi riguardano sono frutto di fantasia».
A me ha colpito una cosa di quando si parla di lei: viene descritta come “sostenitrice delle donne”.
«Sono una battagliera, sì. Parlando di moda, come diceva Valentino: “È importante che una donna abbia rispetto di se stessa per diventare più forte”. Credo che il ruolo dello stilista sia quello di percepire che cosa ogni cliente voglia o non voglia essere, che cosa desideri comunicare anche solo con un abito».
Alla fine, pensa di guardarla per intero, la serie “Made in Italy”?
«A questo punto sì, la guarderò sicuramente!».