Remo Girone affianca Stefano Accorsi in “Vostro onore”

L'attore ripercorre con noi la sua lunga e magnifica carriera

Remo Girone con Stefano Accorsi in una scena di “Vostro onore”
14 Marzo 2022 alle 08:17

Sempre impegnatissimo tra cinema e teatro, Remo Girone mancava dalla fiction tv dal 2018. Ma adesso lo vediamo nei panni, anzi nella toga, del giudice Federico Masieri in “Vostro onore”, la serie di Rai1 in cui l’onestà di Stefano Accorsi, integerrimo giudice milanese, viene messa a dura prova quando suo figlio uccide in un incidente il figlio di un boss. «È stata una bella esperienza, mi piace fare la fiction» ci racconta Girone. «Interpreto il presidente del Tribunale di Milano, grande amico del protagonista. Masieri sta per andare in pensione e vorrebbe proprio Accorsi al suo posto».

Il personaggio va in pensione, lei invece passa da un set all’altro.
«Non posso proprio lamentarmi. Ho appena girato un’altra serie in Svizzera, una vicenda drammatica dove sono un ex operaio delle gallerie e recito in francese. E poi ci sono in ballo altre cose in Italia, ma è presto per parlarne».

La tv l’ha resa popolarissimo, ma il suo primo amore è il cinema…
«Decisamente. Me ne sono innamorato quando ancora vivevo ad Asmara, in Eritrea, dove sono nato. Lì teatro non ce n’era e divoravo il cinema. Ero affascinato da Salvo Randone. Dava l’impressione di vivere le situazioni più che recitarle».

Lei è nato nel 1948 quando l’Eritrea non era più una colonia italiana. Com’era vivere là, c’era rancore verso gli italiani?
«No. Hailé Selassié (ultimo imperatore d’Etiopia, ndr) aveva capito che tutte quelle professionalità italiane all’Eritrea servivano, ed eravamo trattati bene. I primi palchi li ho calcati proprio lì. Ogni fine anno si organizzava un’operetta: io non ero un grande cantante, ma ero sempre protagonista».

E l’Italia?
«A 23 anni, per fare l’università. Abituato all’Africa mi sembrava tutto piccolo. A Roma mi sembrava che ci fosse così tanta gente in poco spazio. Studiavo Economia e commercio, ma poi mi iscrissi all’Accademia d’arte drammatica “Silvio d’Amico” per diplomarmi in recitazione».

I suoi come la presero?
«Papà non mi ha mai contrastato. Il problema era la mamma: lei voleva assolutamente il “pezzo di carta” e io ho mollato tutto quando dovevo discutere la tesi a Bari…».

A Bari?
«A Roma in “Analisi matematica 1” venivo sempre bocciato. Allora provai a spostarmi di ateneo».

Se fossi il Rettore dell’Università di Bari una laurea ad honorem gliela darei…
«La ringrazio (ride). Una laurea “Honoris causa” l’ho avuta dall’Università per tutte le Età. Avevo 36 o 37 anni. La diedi a mia madre e le dissi: “A posto adesso?”».

Per il pubblico della tv lei sarà sempre Tano Cariddi, il mafioso di “La piovra”. Come spiega il successo di quel personaggio?
«Forse perché era la prima volta che veniva mostrata la mafia dei colletti bianchi. Cariddi non era quello con la lupara, ma il tipo laureato, intelligente e arrivista. Io avevo appena interpretato Raskol’nikov in “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij, un personaggio che si sente al di sopra della morale comune. Portai un po’ di lui in Cariddi».

Un personaggio di tale successo per un attore è un bene o un male?
«È un’arma a doppio taglio. A Cariddi devo tanto, ma l’ho lasciato lì, sul set. La popolarità che mi ha dato è incredibile. Una volta ero a Nizza con degli amici che portavano assistenza ad alcuni senzatetto stranieri. A un certo punto un signore slavo mi riconobbe e mi disse: “Tu sei il mafioso della Piovra”».

Passa da film hollywoodiani da Oscar, come “Le Mans ’66 - La grande sfida”, a produzioni a basso costo.
«Mi è sempre piaciuto. Già da giovane, quando i miei colleghi volevano il camerino e facevano qualche capriccio, io facevo i teatri d’avanguardia. Avevo notato che registi e critici guardavano questi spettacoli con maggiore attenzione, perché lì c’erano meno soldi e più idee, emergevano talenti. Ho mantenuto quell’abitudine: ho fatto un film in Albania con mia moglie (l’attrice Victoria Zinny, ndr), ho lavorato su dei barconi sul Tevere col pubblico che ci seguiva dal Lungotevere. Fantastico».

Ha recitato anche in commedie.
«Mi diverte, perché in quel contesto più reciti seriamente e più fai ridere. E poi ci sono commedie dove c’è un pochino di disperazione, si deve esagerare. L’importante è non cercare di far ridere a ogni costo, altrimenti il pubblico lo capisce e diventa cattivo».

Nel 1991 con “Settimo Squillo”, su Telemontecarlo, ci ha provato pure col varietà.
«Un’esperienza mai più ripetuta. Vittorio Cecchi Gori non voleva: diceva che il pubblico non paga al cinema per uno che vede gratis in tv. Però mi divertivo tanto a farlo».

Nel 1992, invece, abbiamo rischiato di vederla a Sanremo in coppia con Marcella Bella.
«Lì ci hanno proprio bocciato, io avevo un monologo nel pezzo. Parlavo di bambini che soffrivano la fame».

Da anni vive a Montecarlo, il Principe l’ha pure nominata Ufficiale dell’Ordine di San Carlo…
«Una bella soddisfazione: mi ha consegnato personalmente la “rosetta”. Ma ho ricevuto un riconoscimento anche dal Presidente Mattarella».

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