Rocco Schiavone indaga in cima al Monte Bianco

Marco Giallini ci presenta i nuovi casi del vicequestore più “ruvido” del mondo

Marco Giallini è nella stazione di Punta Helbronner
3 Aprile 2023 alle 09:09

Rocco Schiavone torna a indagare. E subito, per dirla col suo cinico intercalare, deve affrontare una «rottura di…» enorme. O meglio altissima, perché deve salire a 3.466 metri sul livello del mare, fino alla punta Helbronner del Monte Bianco. Qui, dove corre il confine tra Italia e Francia, è stato trovato un cadavere. Il poliziotto capisce subito che qualcuno l’ha spostato in territorio italiano. Che fare? Lui non ha dubbi: va “restituito” ai francesi.

“Il viaggio continua” comincia così: è il primo dei quattro episodi della nuova stagione di “Rocco Schiavone”, serie prodotta dalla Cross Productions. Vedremo il vicequestore romano trapiantato ad Aosta, creato dallo scrittore Antonio Manzini, impegnato non solo a risolvere omicidi, ma anche a sciogliere alcuni nodi legati ai suoi demoni personali. Non parliamo solo del ricordo della moglie Marina, che continuerà ad “accompagnarlo” come visione (da questa stagione il ruolo passa da Isabella Ragonese a Miriam Dalmazio). Schiavone dovrà fare i conti con le sue antiche amicizie, più pericolose e ambigue che mai… E proprio da questa situazione ad alto rischio Rocco inizia a confidarsi con Sorrisi. Lo fa attraverso Marco Giallini, come sempre ruvido e scanzonato, e ormai talmente alter ego del vicequestore da rispondere indifferentemente come attore e come personaggio.

Giallini, sono passati due anni dalle ultime inchieste: troveremo Schiavone cambiato?
«Non molto. Certo, gli anni passano, succedono cose… Qualche amico s’allontana… Ma fondamentalmente Rocco rimane sempre uguale. Diciamo che è un po’ meno arrabbiato con la neve e con Aosta: s’è acclimatato».

Arrivato alla quinta stagione di “Rocco Schiavone” si sarà acclimatato anche lei ad Aosta. Che cosa le piacerebbe portare con sé nella sua Roma di questa città?
«La tranquillità! Non è che in giro non mi riconoscano: mi hanno pure dato la medaglia di “Ami de la Vallée d’Aoste” (“Amico della Valle d’Aosta”, ndr), e immagino che mi faranno anche una statua da mettere nel centro della città. Ad Aosta, però, mi sento tranquillo».

Torniamo alla serie. Sebastiano (interpretato da Francesco Acquaroli), l’amico del cuore di Schiavone, cerca ancora vendetta per l’omicidio della moglie. Nasceranno dei problemi…
«Quel ragazzo rompe proprio! Marca male (“Si comporta male”, ndr)! Sì, ci saranno delle cose da rivedere… Ma chi avrebbe mai pensato che io, Rocco Schiavone, avrei dovuto affrontare una situazione così con un amico?».

Dove può arrivare, invece, Marco Giallini per un amico?
«Fino a un certo punto. Uno può dare tutto, è chiaro, ma l’amicizia ha un limite: non può andare oltre il punto in cui finisce l’amicizia che ricevi tu».

Ormai lei e Antonio Manzini, il “padre” di Rocco Schiavone, vi conoscete bene. Gli ha mai suggerito qualcosa per sviluppare il personaggio?
«Non mi permetto di farlo, per l’amicizia e la stima professionale che mi legano a lui. Certo, qualche volta capita che Antonio mi anticipi che ha pensato di scrivere una certa cosa: del resto, ormai c’è una tale simbiosi tra me e il personaggio che penso che non lo immagini più con la sua faccia (credo che succeda a tutti gli scrittori di attribuire la loro faccia al loro personaggio principale, no?), ma con la mia. Diciamo che lui mi ha dato un personaggio completo e io l’ho ricambiato dandogli degli “appoggi” nuovi, quindi ora deve scrivere pensando anche a come porterò Rocco in tv. Di sicuro c’è che Antonio e io siamo diventati amici. Anche se non ci vediamo mai».

Sul serio?
«Ah, io non vedo mai nessuno. E lui è peggio di me!».

Nella vita lei ha mai conosciuto un Rocco Schiavone?
«Sì: io!».

Pare che lo scrittore francese Gustave Flaubert, parlando del suo personaggio più famoso, avesse detto: «Madame Bovary sono io!»…
«È vero, e io sono Schiavone! A prescindere dal fatto di essere un poliziotto, lui mi assomiglia molto. Me lo sono sentito vicino fin da quando ho letto per la prima volta un suo romanzo. Mi pare che sia palese, no?».

C’è qualcosa di Marco che darebbe a Rocco?
«Rocco è come Zorro, che cosa gli vuoi dare? Lo facciamo arrivare in astronave?».

Nel frattempo Rocco non è riuscito a dare a Marco il suo loden…
«Ma ce l’avevo! I miei me lo comprarono negli Anni 70, quando andava di moda. Ho capito subito che non era roba per me… A Rocco, invece, il loden dà un certo non so che».

Pensi per un attimo di “prestare” Schiavone a un altro attore. Scavi nella storia del cinema: chi vedrebbe bene nel ruolo?
«E che cavolo! Sono tanti! Però le dico subito Adalberto Maria Merli. Lo ricorda nel film “La prima notte di quiete” (1972) di Valerio Zurlini? Ha sempre fatto ruoli tostissimi. Mio padre lo ammirava molto e l’ammiro anch’io, non solo per la recitazione, ma perfino per come fumava. Le dico anche Luigi Vannucchi: si ricorda di lui? Gli servirebbe giusto un po’ di barba… Vede che sono più preparato di quel che sembra? È che mi piacciono gli attori italiani, in particolare quando sono un po’ “laterali”, strani ma stupendi».

Le capita di pensare già alla prossima stagione di “Rocco Schiavone”?
«Sono sempre pronto per Schiavone! La mia fortuna è di non averlo incontrato da giovane. Dopo aver già lavorato con Carlo Verdone e aver girato film come “Perfetti sconosciuti”, il pubblico non ha potuto legarmi solo a Rocco Schiavone. Se un personaggio così “fisso” l’avessi fatto da giovane, ora sarei più etichettato».

Insomma, Rocco ha rispettato Marco: non s’è impadronito di lei, ma s’è lasciato…
«S’è lasciato plasmare! Anche se poi è stata una cosa reciproca… Ormai ci manca solo che mi metta il loden!».

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