L’attrice è la protagonista di una serie tratta da una storia vera: «Bisogna accendere un faro sui problemi» dice

Una nuova serie per Canale 5 ispirata a una storia vera. Un maritozzo con la panna. L’amicizia con Maria De Filippi. Anita Garibaldi. Anzi, la nonna di Anita Garibaldi... Come si fa a metter tutto questo dentro un’unica, esilarante chiacchierata? Con Sabrina Ferilli dall’altra parte del telefono. E con tutta la sua ironia e intelligenza. Ma andiamo con ordine.
Sabrina, dopo il successo di “L’amore strappato”, che raccontava la drammatica vicenda di un errore giudiziario nell’adozione di una bambina, la ritroviamo in un’altra serie di forte impatto che la vede protagonista: “Svegliati amore mio”, da mercoledì 24 marzo in prima serata.
«È, se possibile, una serie ancora più bella. Cerchiamo di fare rumore su una vicenda contemporanea, che interessa tante comunità che vivono e respirano l’inquinamento causato dalle acciaierie. Le polveri incidono sulla salute delle persone, soprattutto dei più piccoli: è evidente e dimostrabile. Questa storia accende una luce su una situazione complessa, con la straziante problematica di dover scegliere tra salute e lavoro».
Come se ne esce?
«Se ne può uscire solo con piani politici e regionali di rivalutazione e di rilancio dell’economia di quelle città, e forse delle stesse fabbriche».
Nelle tre puntate lei è Nanà, una madre che vive un dolore enorme ma che trova la forza per reagire. Una storia vera.
«Eccome se è vera. È un film che unisce tante famiglie che vivono questo problema. Basta vedere l’incidenza della leucemia sui ragazzini che vivono vicini a queste fabbriche. Nanà è una mamma in un nucleo familiare composto da tre persone: lei, il marito Sergio, operaio nella vicina acciaieria, e la figlia Sara, dodicenne. Una famiglia semplice - Nanà lavora come dipendente in un piccolo negozio di parrucchiere - e una vita normale. Ma quando la piccola Sara si ammala di leucemia, dopo un primo momento di buio e dolore Nanà decide di reagire e di cominciare una battaglia contro “il mostro”, l’acciaieria che ritiene responsabile della malattia. E a poco a poco riesce a coinvolgere tutta la comunità, che pure è intimorita e spaventata. Succedono tante cose: sentimenti che saltano, rapporti che vengono messi in crisi, dubbi e paure. È una storia di amore verso se stessi, verso la propria famiglia e verso la propria comunità. È sempre l’amore che salva la vita delle persone. La scelta che Nanà farà è quella di andare avanti, alla scoperta della verità. La verità è sempre un dono, che si fa a se stessi e agli altri».
La sua scelta nei progetti professionali ricade spesso su storie di interesse sociale e civile.
«È vero. Ed è sempre una responsabilità, un salto nel vuoto. Penso: “Alla gente interesserà?”. L’ardire civile è qualcosa di personale, che non tutti hanno. Spesso fare delle commedie, o cose più facili, a livello artistico può garantire qualcosa di più. Ma ognuno fa secondo la propria coscienza. Io poi sul lavoro sono secchionissima. Una vera schiacciasassi...(ride)».
E quando vuole rilassarsi cosa fa?
«Leggo, faccio ginnastica, vado al cinema, quando è possibile, e guardo le serie tv. Ultimamente ho visto “Rita”, la storia di una professoressa politicamente scorretta, “Ratched”, l’infermiera di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, e “Fear city” sulla mafia a New York. Se poi mi voglio viziare faccio un bagno turco o una sauna. E poi mi piace mangiare: allora quando riesco arrivo a Fregene per un pescetto fresco, un calamaretto fritto. Coccolarmi è trovare il cibo che mi piace di più e andarmelo a mangiare».
Come un maritozzo con la panna? Pochi giorni fa ha postato una sua foto mentre ne addenta uno...
«Quanto mi piace! Era tanto che non ne mangiavo e quello me lo sono proprio gustato. Solo il ripensarci mi mette di buonumore».
Il potere del maritozzo con la panna.
«Già. E poi sono tutti a dieta, nessuno tocca più queste bontà, che pure mangiarne uno ogni tanto fa bene. Lo sa che mi è successo dopo?».
No, ce lo racconta?
«Io non amo fare le fotografie, e dal momento che quel giorno ero truccata ne ho approfittato per fare delle foto da postare poi nei giorni successivi. Quindi, dopo aver fatto quello scatto mentre mangiavo il maritozzo, mi sono cambiata e ho fatto delle foto che mi sembravano belle. Il punto è che sono “cecata”. La sera quando le ho riviste con gli occhiali mi sono accorta di avere intere ciocche di capelli con la panna del maritozzo appiccicata sopra. Le foto le ho dovute buttare tutte e poi infilarmi nella vasca da bagno perché avevo la panna incollata in testa!».
Mi racconta una cosa sorprendente di lei?
«Sono la persona più normale del mondo. Questo forse è sorprendente. Non ho mai fatto cose strane nella mia vita. A tutt’oggi quando mi guardo allo specchio mi trovo davanti una delle persone più normali che abbia conosciuto in vita mia».
Beh, proprio normale non si direbbe. Ha una carriera straordinaria, tanti premi ricevuti... Il suo primo set è stato “Portami la luna” nel 1986: come era Sabrina a 22 anni?
«Come ora. Quindi giovane adesso e vecchia allora, oppure vecchia allora e vecchia adesso, oppure giovane allora e giovane ora... metta lei come vuole (ride). Allora ero identica ad adesso, quindi vecchia. Ha presente quelle anime antiche, malinconiche, sentimentali? Che ora a 56 anni è anche normale, ma allora ero particolare come ragazza».
Se si volta indietro quali sono gli incontri professionali più importanti?
«Pietro Garinei, Paolo Virzì, Giorgio Capitani. Poi Neri Parenti, per i film da botteghino che mi hanno fatto conoscere dalla stragrande maggioranza del pubblico e dai ragazzini».
È appena finito il Festival, che lei ha condotto nel 1996 con Pippo Baudo. Che ricordi ha?
«Non tanti, ero una ragazzina e c’era una pressione enorme. Ricordo Pippo Baudo come un maestro accogliente. Io ancora non avevo fatto niente di prezioso fino ad allora, ero al Sistina e lui era molto amico del dottor Garinei, che gli parlò in maniera entusiasta di me. E Baudo mi diede quella possibilità. Ricordo tante ore di studio, tanto lavoro e poche ore di sonno. Ero giovane e non mi sono goduta granché, ma sicuramente è stato uno dei passaggi più importanti della mia carriera».
E l’idea di condurlo con Maria De Filippi era solo una battuta o in fondo un briciolo di verità c’è?
«Mah, questo deve chiederlo a lei, ma credo che abbia scherzato. Ogni tanto si diverte a provocare. E meno male: è il mio Masaniello della tv (ride)! Maria non si ferma, è coraggiosa e ha una devozione al suo lavoro che è simile alla mia».
Quando eravate insieme a “Tú sí que vales” lei sembrava divertirsi parecchio...
«Mi divertivo tanto io e sicuramente si divertiva tanto anche Maria. Con me è molto dispettosa, e quello che si vedeva era spesso tutto quello che succedeva dietro le quinte o negli spazi pubblicitari».
Quindi portare sul palco dell’Ariston la vostra amicizia non sarebbe una brutta idea... per Amadeus e Fiorello ha funzionato.
«Questo lo dice lei e ne prendo nota. Ciò detto, su progetti importanti come Sanremo non credo che basti solo volerlo».
Ora che cosa l’aspetta?
«Io faccio una cosa alla volta e cerco di farla al meglio. Ora c’è un bellissimo progetto teatrale su cui sto lavorando».
Il suo sogno di interpretare Anita Garibaldi è sempre nel cassetto?
«Sì. Ma tra poco penso che sarò la nonna di Anita... che ha tirato su la nipote e ne ha fatto un fenomeno (ride)! Dipende sempre dai punti di vista: se Anita è una ragazzina con poco temperamento e innamorata del carattere e della personalità della nonna, maestra dei valori più belli del Risorgimento, allora sarà la nonna degna di essere raccontata, e quindi la protagonista. Vede? In questo caso sarà allora più importante la storia della nonna di Anita che quella di Anita stessa (ride)».
È proprio il mestiere dell’attore, in fondo.
«Esatto. Io la vedo così: quando uno ti dice “non devi mollare, devi andare avanti”… Ecco come si fa: si cambia il punto di vista, la prospettiva. In fondo siamo esseri umani capaci di girare a 360 gradi intorno a noi stessi. Basta guardarci intorno e soprattutto avere la voglia di farlo».
La storia di "Svegliati amore mio"
La vicenda è ambientata in una cittadina sul mare che si trova accanto a una acciaieria, la Ghisal. La fabbrica dà lavoro alle persone del posto e Sergio è uno degli operai. Nanà è sua moglie, i due hanno una figlia, Sara, di 12 anni: sono una famiglia serena finché la piccola si ammala di leucemia. La causa potrebbe essere quella polvere rossastra che esce dalla fabbrica e che si infila nei polmoni, soprattutto dei più piccoli? Nanà ne è convinta, e con l’aiuto del giornalista Stefano (Francesco Venditti) inizia una battaglia contro la Ghisal, il “mostro d’acciaio”, coinvolgendo prima le altre madri e poi, piano piano, tutta la comunità.