Stefano Accorsi è un giudice nella fiction “Vostro onore”

«Quando il mio personaggio deve decidere se servire la legge o salvare suo figlio finito nei guai, la storia si trasforma in un thriller avvincente»

Stefano Accorsi  Credit: © Pigi Cipelli
24 Febbraio 2022 alle 08:25

Fin dove può spingersi un padre per proteggere un figlio? E se per riuscirci deve infrangere la legge, lo farà? Persino se è stato per tutta la vita un giudice incorruttibile? Su questo dilemma, degno di una tragedia classica, ruota la trama di “Vostro onore”, la nuova serie (in quattro puntate) di Rai1.

Il protagonista è Stefano Accorsi, che ci presenta il suo personaggio così: «Vittorio Pagani è un giudice rispettato, tanto da essere il favorito per la carica di presidente del Tribunale di Milano. È molto più bravo come giudice che come padre, ruolo che si è ritrovato a gestire da solo dopo la morte della moglie. Finché un giorno Matteo, suo figlio, investe un giovane con la macchina e fugge senza soccorrerlo. Vittorio lo convince a costituirsi, ma quando scopre che la vittima appartiene ai Silva, una famiglia criminale che lui ha sempre combattuto, capisce che la vita di Matteo è in pericolo: se i Silva scoprono chi è il responsabile, certamente cercheranno di ucciderlo. Decide allora di sviare le indagini. Ma così facendo precipita in un gorgo senza fine...».

Da una parte la giustizia, dall’altra un figlio. Anche lei è un padre. Cosa farebbe?
«Me lo sono chiesto, naturalmente. Ma per saperlo davvero dovresti viverle, certe situazioni. Non basta pensarci su. Quel che ho capito è che nessuna altra ragione avrebbe reso credibile il cedimento di Pagani. Non i soldi, non l’ambizione. Serviva una motivazione straordinaria, viscerale, come l’amore per un figlio. In più, lui è un giudice, quindi ha le capacità tecniche per mettere in scena un vero depistaggio. Il che rende la storia anche un thriller avvincente».

Si dice «figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi». Lei finora che tipo di problemi ha incontrato?
«Ho quattro figli che vanno da 1 a 15 anni quindi... un po’ di tutto! Ma nulla di così drammatico, per fortuna. È anche bello vedere come i “problemi” cambiano con l’età: il più grande, Orlando, è nella fase in cui cerca l’indipendenza, anche ribellandosi, o meglio discutendo con me. Alberto e Lorenzo, i più piccoli, hanno soprattutto bisogno della mia presenza».

E lei riesce a dargliela?
«Col mestiere che faccio a volte è difficile, ma cerco di essere “presente a distanza” anche quando sono impegnato su un set lontano: telefonando, tornando appena posso e spiegando bene perché devo partire... e poi c’è Bianca, la loro mamma, che per fortuna viaggia meno di me. Sapere che sono con lei mi dà una tranquillità straordinaria».

E lei, come figlio, ne ha mai creati di problemi?
«Onestamente penso di essere stato un “figlio facile”, con mamma e papà andavo molto d’accordo e ci divertivamo molto insieme. Solo gli anni del liceo sono stati un po’ turbolenti. Sono stato anche bocciato... ma lì avevo proprio sbagliato scuola. Quando ho capito che volevo recitare, mamma è stata la prima a incoraggiarmi. Un giorno ha ritagliato per me un articolo su Pupi Avati che faceva dei provini perché era in cerca di giovani esordienti... ed eccomi qua!».

Le è capitato, invece, di dover difendere i suoi figli come il protagonista? Magari dai paparazzi?
«Quelli sono il meno. Conosco colleghi perseguitati da “stalker”. A noi per fortuna non è mai successo. Certo, a volte Orlando e Athena, i più grandi, possono restare turbati dai fotografi e chiedono: “Ma cosa vogliono?”. Io cerco di proteggerli con la consapevolezza, spiegando che abbiamo una certa visibilità e le sue conseguenze. Ma “disturbatori” a parte, devo dire che a me la popolarità piace; amo quando mi salutano per strada, amo l’affetto della gente. Se racconto storie, voglio che ci sia qualcuno ad ascoltarle!».

Ora a quali storie sta lavorando?
«Ho appena finito di girare “Ipersonnia”, un film di fantascienza. È una storia abbastanza crudele: parla di un mondo dove i carcerati vengono addormentati artificialmente, in modo da renderli tranquilli e inoffensivi. Io sono lo psicologo che deve controllare che il sistema funzioni bene. Il problema è che scoprirò che non funziona affatto bene... Poi mi godo il successo di “Marilyn ha gli occhi neri” su Netflix e Sky. E finalmente, dopo un lungo rodaggio, sono in tour a teatro con lo spettacolo “Azul”. Siamo partiti da Correggio e andremo avanti fino ad aprile».

Ma Correggio non è il paese di Ligabue? Lo stesso con cui ha fatto due film e di cui ha raccontato la vita nel documentario di Raiplay “È andata così”? Non può essere una coincidenza...
«Diciamo che a Correggio ormai mi sento di casa. Il teatro è bellissimo e Luciano è un artista che stimo, e anche qualcosa di più: un amico. Non saprei definire meglio cosa ci unisce, se non con una frase: mi riconosco in quello che dice».

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