Terence Hill: «”Don Matteo” sarà sempre nel mio cuore»

Dopo 13 stagioni (e 22 anni di set) l’attore lascia la fiction: «Tutte le cose hanno un inizio e una fine, ed è giusto così»

24 Marzo 2022 alle 07:43

Era il 7 gennaio 2000 quando, su Rai1, andava in onda la prima puntata di “Don Matteo”. Noi di Sorrisi, come tutti voi, ci siamo subito appassionati alle avventure di quel prete detective nato da un’idea del fondatore della Lux Vide Ettore Bernabei che voleva portare nella fiction italiana un personaggio simile al Padre Brown di Chesterton, un investigatore dal volto sorridente e con lo sguardo rivolto al cielo. Non solo: negli anni abbiamo costruito un rapporto di stima reciproca e, lasciatecelo dire, di affetto con Terence Hill che, all’avvio delle riprese di ogni stagione della serie, prima a Gubbio e poi a Spoleto, ha sempre voluto che solo Sorrisi andasse a curiosare sul set per raccontarvi quello che non si vede in televisione, piccoli e grandi aneddoti “rubati” ai protagonisti tra un ciak e l’altro, durante la pausa pranzo o una seduta al trucco.

Ed è proprio grazie a questa amicizia che ancora una volta Terence ha scelto Sorrisi per parlare, in esclusiva, di “Don Matteo 13”, la stagione forse più difficile per lui: quella in cui ha deciso di lasciare la serie, passando il testimone a Raoul Bova. Nell’intervista che state per leggere, ci spiega le ragioni della sua decisione e ci parla del suo passato, del suo presente e del suo futuro. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Malibù, cittadina della California celebre per le sue meravigliose spiagge e le acque cristalline dell’Oceano Pacifico.

Buongiorno Terence, che cosa ci fa a Malibù?
«Sono venuto finalmente a trovare la mia famiglia, mio figlio vive qui. Sono arrivato a Natale e ho affittato una casa in legno sulla spiaggia. In questa zona ce ne sono tante».

Pensa di fermarsi a vivere lì?
«No, ma rimarrò sicuramente ancora qualche mese. Poi tornerò in Italia, in Umbria nel mio casolare e qualche volta andrò a Roma dove ho anche un ufficio».

Come sta trascorrendo questa lunga vacanza?
«Facendo tutto quello che non ho mai potuto fare prima a causa degli impegni di lavoro».

Dunque un periodo di tutto riposo?
«Non solo. Diciamo che è una vacanza di riflessione in cui sto sviluppando alcune sceneggiature per dei progetti che vorrei realizzare. Poi, certo, ne approfitto anche per riposarmi e per fare qualche gita. Spesso vado a Santa Monica e a qualche chilometro da qui c’è un canyon in cui hanno ricostruito un piccolo villaggio western dove si può mangiare o semplicemente prendere un caffè. Quando ci vado mi sembra di tornare ai tempi di Trinità (ride!)».

Sembra molto rilassato.
«Lo sono. Qui ho finalmente ritrovato la calma, la gioia di pensare e di apprezzare le cose. Prima il tempo fuggiva, ora non fugge più».

Il “prima”, negli ultimi 22 anni, corrisponde all’impegno con “Don Matteo”. È per questo, per avere più tempo, che ha deciso di lasciare la serie?
«Ci pensavo già da un po’. In realtà non volevo smettere di fare “Don Matteo”, avrei solo voluto farlo in maniera diversa perché i tempi del set erano molto impegnativi. Durante le riprese di questa ultima stagione, le giornate di lavoro erano lunghissime, dormivo cinque ore per notte. Bellissimo, per carità, ma anche stancante».

Come avrebbe potuto farlo in maniera diversa?
«Avevo proposto di fare quattro film all’anno, sul modello di “Il commissario Montalbano”. Purtroppo la mia idea non è stata accettata dalla Rai che, per ottimizzare i costi, ha bisogno della serie lunga».

Si è mai pentito della sua decisione?
«Assolutamente no. E a distanza di cinque mesi posso dire che è stata la scelta giusta anche perché al personaggio non avrei potuto dare altro. Tutte le cose hanno un inizio e hanno una fine, ed è giusto così. E, poi, il produttore Luca Bernabei ha trovato Raoul Bova: penso sia l’attore migliore che abbiamo in Italia».

Da don Matteo a don Massimo.
«Questa è stata una loro scelta, ma penso che avrebbero potuto anche lasciare il personaggio cambiando solo l’interprete. In Gran Bretagna, dove tra l’altro è nato Padre Brown che ha ispirato la nostra serie, ogni sette-otto episodi cambiano il protagonista. Lo stesso accade con l’agente 007 che è sempre James Bond a prescindere da chi lo interpreta. Io mi chiamo Terence, è il personaggio a chiamarsi Matteo».

Cosa ha rappresentato per lei, umanamente e professionalmente, don Matteo?
«È stato qualcosa di enorme. Quando il regista Enrico Oldoini me lo propose, partimmo un po’ così alla ventura. Piano piano, andando avanti, ho cominciato a metterci del mio, a sistemare alcune battute che secondo me non funzionavano, e mi ci sono affezionato sempre di più. E mi sono affezionato anche alla troupe: col tempo quelle persone che si sono sempre prese cura di me sono diventate come una famiglia. Abbiamo vissuto anni di grande amicizia: il dolore più grande è stato lasciare loro. Approfitto di questa intervista per fargli sapere che mi mancano molto».

La sua lunga e fortunata carriera è segnata in modo particolare da due personaggi che sono entrati nel cuore del pubblico: Trinità e don Matteo. A quale dei due è più affezionato?
«A entrambi, anche perché lentamente e di nascosto sono riuscito a portare un po’ di Trinità in don Matteo. Penso, per esempio, alla sua furbizia o al suo modo di sfottere simpaticamente il maresciallo Cecchini».

Ha detto che sta lavorando ad alcuni progetti: sono gli stessi che Luca Bernabei ha annunciato di voler fare con lei?
«No, ma è vero che ci sono progetti con Bernabei. Spero di lavorare ancora con la Lux Vide».

Stiamo parlando di progetti cinematografici?
«Ormai i film rimangono al cinema tre giorni e poi arrivano in televisione. Diciamo progetti e basta».

A proposito di cinema, sa che in Italia è appena arrivato nelle sale “...Altrimenti ci arrabbiamo!”, il remake del film che lei e Bud Spencer avete interpretato nel 1974? I produttori hanno detto che si tratta di un omaggio a quello che è considerato un “cult”.
«Sapevo di questo film, mi avevano anche chiamato per propormi una parte ma non ho accettato».

Perché?
«Le cose che ho fatto in passato mi piace lasciarle lì, integre. Erano altri tempi, penso che oggi non sia più possibile fare film come quelli, che rispecchiavano la società ed erano adatti ai bambini e a tutta la famiglia. È cambiato il sentimento della gente: allora c’era più innocenza, si sognava ancora».

Si viveva meglio?
«Sì. E si correva meno, anche sul set. Ricordo ancora quando con Bud abbiamo girato il film di Bruno Corbucci “Miami Supercops” (1985, ndr). Il lavoro sul set iniziava alle 9 ma lui arrivava alle 11.30 e iniziava a raccontarci quello che aveva mangiato la sera prima. Ogni sera provava un ristorante diverso. Il primo ciak veniva battuto a mezzogiorno e a nessuno interessava correre perché sapevamo che, comunque, avremmo finito nelle 10-12 settimane previste. Lavorare in quel modo era una gioia, si discuteva delle gag e delle scazzottate. Anche la pausa era più lunga del previsto e Bud aveva persino la cuoca personale alla quale la mattina consegnava la lista della spesa per il pranzo. Oggi, invece, per girare un film hai cinque-sei settimane, al massimo otto, ed è tutta una corsa».

Qualcosa che, invece, non la lascerà sicuramente indifferente è la situazione che stiamo vivendo con la guerra in Ucraina. Lei più volte si è espresso contro il traffico di armi.
«Il mio stato d’animo è quello di tutti e spero che al più presto arrivi la pace. Però ci tengo a dire che i russi sono gente buona. Li ho conosciuti quando tanti anni fa, poco dopo la caduta del Muro di Berlino, sono stato in Russia per un festival cinematografico. Proiettavano “Lo chiamavano Trinità” che lì già conoscevano perché lo avevano visto grazie a delle videocassette di contrabbando. Il popolo russo sta subendo la guerra voluta da Putin che è sempre più isolato anche dai suoi consiglieri. Questo mi preoccupa perché una persona sola che non ragiona più è davvero pericolosa».

Prima di concludere torniamo a “Don Matteo”: ha portato via dal set qualche oggetto come ricordo?
«La tonaca di don Matteo».

Quella che ha indossato fin dalla prima puntata e non ha mai voluto cambiare nonostante fosse lisa e piena di rattoppi?
«Precisamente. In realtà non ci avevo pensato, poi alla fine dell’ultimo giorno di riprese, mentre stavo andando via dal set, una persona della produzione me l’ha portata. Devo dire che mi ha fatto molto piacere».

Se ha ancora la tonaca, magari potrebbe tornare per un cameo in un’ipotetica prossima stagione di “Don Matteo”?
«Perché no?».

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