Edoardo Pesce: «Ho chiesto aiuto a Sordi per diventare lui»

L'attore è il protagonista del film tv “Permette? Alberto Sordi” in onda su Raiuno che racconta le origini del re della commedia italiana

Edoardo Pesce nei panni di Alberto Sordi
19 Marzo 2020 alle 09:55

«Quando il regista Luca Manfredi mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo fare un film su Alberto Sordi ho risposto: “Volentieri, ma Sordi chi lo fa?». Così Edoardo Pesce racconta come è nato il film tv che lo vede protagonista nei panni dell’Albertone nazionale.

Intitolato “Permette? Alberto Sordi” e co-prodotto da Rai Fiction e Ocean productions, nasce con l’idea di rendere omaggio al re della commedia all’italiana in occasione dei 100 anni dalla nascita (il prossimo 15 giugno).

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Il racconto si concentra nel periodo prima del grande successo. Si parte dal 1936, quando all’Accademia di Milano gli dissero che non sarebbe mai diventato attore a causa della sua forte “romanità”, e si arriva al 1954, anno della consacrazione con “Un americano a Roma”. In mezzo, il doppiaggio, la voce di Oliver Hardy, il varietà, l’amicizia con Federico Fellini (interpretato da Alberto Paradossi), l’amore per l’attrice Andreina Pagnani (Pia Lanciotti), le delusioni, le porte in faccia, ma sempre con quella voglia di non arrendersi mai.

Edoardo, lei interpreta un mito assoluto della commedia all’italiana…
«È un onore e ne ho anche timore. Il problema era come affrontarlo, non farne un’imitazione ma evocarlo. E infatti ho chiesto aiuto proprio a lui».

Cosa intende?
«Il 15 giugno, il giorno del suo compleanno, sono andato al cimitero del Verano a cercare la sua tomba, gli ho portato due fiori, uno giallo e uno rosso, e gli ho chiesto: “Signor Sordi, mi dà una mano?”».

Come si è trasformato nel suo personaggio?
«Ho dovuto perdere peso ma il mio rammarico è che avrei voluto calare ancora di qualche chilo. Le riprese di questo film sono cominciate subito dopo quelle di “Il cacciatore”, dove interpretavo Giovanni Brusca, per le quali ero stato costretto a ingrassare dieci chili. Non c’è stato il tempo per buttarli giù tutti. Ma ci ho provato: sono stato campione mondiale di petti di pollo (ride). Il “saltello” di Sordi poi mi è venuto facile, così come le “sopracciglia a tettuccio” che danno un’espressione di malinconia divertente».

E il trucco?
«Un’ora e mezza al giorno. Mi rasavano i capelli di lato per alzare la stempiatura e fare una fronte più grande, mi facevano le onde sui capelli con il ferro, mi ingrandivano il naso. Il faccione come il suo ce l’ho già».

Come si è trovato con i costumi?
«Ma lo sa che le bretelle sono più comode della cintura? (ride). Avevo 40 cambi, tutti su misura, quindi confortevoli».

La sua romanità l’ha aiutata?
«Ce l’ho sempre avuta in casa. Nonno Marcello era del 1927, romano verace, sua madre era di piazza Navona. Sul set pensavo a lui».

Sordi ha raccontato i vizi degli italiani. Lei in quali si riconosce?
«Fino ai 20 anni ero un po’ come lui in “Un americano a Roma”: raccontavo barzellette, facevo battute in continuazione, volevo fare il simpatico per forza ed essere sempre al centro dell’attenzione. Poi mi sono calmato».

Voleva fare questo mestiere?
«No, volevo fare l’imitatore. Da piccolo mi mettevo davanti allo specchio e mi esercitavo. Verdone, Totò, Montesano, Corrado, Villaggio: studiavo le loro voci e scrivevo pure i testi degli sketch, poi mi esibivo davanti alla mia numerosa famiglia. A Natale eravamo 45 persone: mica poche (ride)».

E poi cos’è successo?
«Dopo il liceo ho fatto tre anni di Medicina ma ho lasciato dopo sei esami. Volevo studiare teatro, per mantenermi ho fatto il cameriere e l’autista. A 23 anni sono andato a vivere da solo. E ho cominciato la gavetta nei piccoli teatri. Finché è arrivato “Romanzo criminale - La serie”. Un set pieno di persone in gamba. Da lì è partito tutto».

E ora cosa farà?
«Due film per il cinema. Ma al momento è tutto in forse a causa del coronavirus».

Cosa ne direbbe Alberto Sordi?
«Coronavirus... pussa via, ahò! (imitandolo alla perfezione, ndr)».

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