“Tutto per mio figlio”, trama e cast. Il protagonista è Giuseppe Zeno

Raffaele Acampora ha il suo volto ostinato e fiducioso nel film tv in onda il 7 novembre su Rai1

5 Novembre 2022 alle 08:45

Raffaele Acampora ha il volto ostinato e fiducioso di Giuseppe Zeno nel film tv “Tutto per mio figlio” in onda il 7 novembre su Rai1. Non è un magistrato, un giornalista o un poliziotto, è un semplice allevatore di conigli, con una moglie, quattro figli e un bancone al mercato. Però un giorno decide di ribellarsi al “pizzo” e alla camorra. Lo fa per se stesso, ma soprattutto per dare un futuro migliore ai suoi figli.

Cast

  • Durata: 100 minuti
  • Regista: Umberto Marino
  • Attori: Giuseppe Zeno (Raffaele), Antonia Truppo (Anna), Giuseppe Pirozzi (Peppino), Tosca D’Aquino (Carla), Massimiliano Rossi (Domenico), Roberto De Francesco (Agostino Innaurato), Ernesto Mahieux (Aniello), Bruno Torrisi (Ispettore Basile), Fabio De Caro (Camprrista Maturo), Vincenzo Zampa (Sergio), Nello Mascia (Padre Raffaele), Fabio Galli (PM D'Arrigo), Fabio La Fata (Autista Carla), Edoardo Guadagno (Ambulante), Peppe Papa (Vincenzo), Francesco Sinisi (Biagio), Mimmo Mancini (Consigliere Rea), Leonardo De Carmine (Migliaccio)

Trama

Raffaele Acampora è un uomo come tanti. Ha una moglie, Anna, che ama, e quattro figli, di cui il più grande, Peppino, ha quattordici anni, e come molti ragazzi della sua età comincia a cercare la sua strada nel mondo. Ma non è facile farlo quando vivi in un territorio dove le organizzazioni criminali dettano legge.

Raffaele è un allevatore che “fa” i mercati, mestiere che ha ereditato da suo padre. Tutti giorni si sveglia prima dell’alba e percorre anche decine di chilometri per vendere gli animali che lui stesso ha allevato. Una vita dura, che però lui affronta a testa alta con il piglio di chi sa di far bene il suo lavoro. Purtroppo però i tentacoli della camorra non risparmiano nemmeno il suo settore. Ogni settimana Raffaele e i suoi colleghi sono vittime del racket criminale, che impone loro il pizzo e vessazioni di ogni tipo. Fino a quando, un giorno, Raffaele decide di ribellarsi.

Fonda un sindacato e, con la sua forza d’animo contagiosa, convince i suoi colleghi a iscriversi. Collabora con la polizia e la magistratura, denuncia, fa nomi. È consapevole del rischio che corre. Sa che Anna e tutti i suoi familiari sono preoccupati per lui, ma ormai non può e non vuole tornare indietro. La camorra cerca in ogni modo di farlo smettere, prima con offerte e poi con minacce e intimidazioni. Ma Raffaele ha detto agli iscritti del sindacato che avrebbe difeso i loro interessi, e ha una parola sola. Per questo viene ucciso. Raffaele Acampora era una persona comune, ha detto no, ha resistito, pagando con la vita il suo coraggio e il suo senso di giustizia.

Intervista a Giuseppe Zeno

Giuseppe, un ruolo impegnativo.
«Più che impegnativo è un ruolo che ti permette una cifra diversa rispetto a quella a cui sei abituato, agli occhi del pubblico o degli addetti ai lavori».

Diversa in che modo?
«Senza paura di lavorare di viscere. È un ruolo che in qualche modo ti mette a posto con il mestiere che fai, dà un valore aggiunto alla tua professione di attore, mandi un messaggio. Mi ha entusiasmato dal primo momento».

Come ci si «mette a posto»?
«Con un messaggio non solo d’intrattenimento, ma forte, basato su una storia di cronaca realmente accaduta: è un sunto di fatti e persone che hanno avuto il coraggio di opporsi e creare una resistenza contro le organizzazioni criminali in territori difficili».

Questo Raffaele è un uomo ostinato, ma anche un idealista.
«È un uomo consapevole della realtà in cui vive e del fenomeno contro il quale si mette, con un’ingenuità quasi da ragazzino, ma con l’ostinazione di riprendersi la dignità negata e ridarla anche agli altri. E soprattutto con la ferma volontà di regalare ai figli la possibilità di vivere in un mondo migliore».

Essendo cresciuto in Campania certi temi le saranno familiari.
«Mi hanno toccato sempre questi argomenti. Io sono cresciuto fra Napoli e la Calabria. Negli Anni 80 Ercolano era un Far west, arrivavano notizie quotidiane di qualcuno morto ammazzato. Ero bambino quando il papà del panettiere dove mia madre andava regolarmente fu ucciso perché si era opposto al pagamento del “pizzo”».

Che impressione le fece?
«Quando sei un bambino già l’idea della morte ti spaventa, si figuri la spietatezza che gli adulti avevano nel risolvere il problema, passare davanti alla bottega, vedere il dispiacere dei familiari..».

E oggi cosa pensa?
«Quando vivevo in Calabria essere amico o frequentare qualche prepotente era quasi motivo di vanto. La criminalità organizzata in certi contesti è furba, cerca di sostituirsi allo Stato, credi ti dia lavoro, invece ti tiene in ostaggio».

Suo padre lavorava su un peschereccio: l’ha ispirata per il film?
«Mi sono rivisto in lui come uomo che non si è mai risparmiato nel lavoro, ha navigato per 45 anni su un peschereccio con il desiderio di non far mancare mai niente alla famiglia e dare ai figli la possibilità di un futuro».

L’insegnamento fondamentale che ha appreso?
«Quello di far leva sulle tue forze e capacità, anche quando stai per mollare non devi lasciarti andare. Ero piccolo ma c’è un episodio che ho fissato nella mente: eravamo in mare, dopo poche ore saremmo rientrati in porto, era l’ultima battuta di pesca, eppure mio padre prese un’altra rete che avevamo a bordo e “la armò”, come si dice. Tentava ugualmente di portare a casa qualcosa».

Una volta ha detto che il suo «ruolo più importante» è quello di papà.
«L’ho detto quando è nata la prima figlia, ma lo è ancora adesso. Per questo non ci si prepara, non hai spunti, puoi solo far leva sulla tua esperienza di figlio, su come hai visto i tuoi genitori relazionarsi con te, impari a capire le loro aspettative, i loro sbagli».

Per Angelica e Beatrice (le figlie avute con l’attrice Margareth Madè) che battaglie è disposto a fare?
«Che possano essere felici, operare le loro scelte in maniera indipendente, svolgere una professione che le appaghi. Da quando sono nate ci sono state pandemie e guerre, vorrei per loro un mondo sicuro e un contesto sociale che le protegga: sono due femminucce e i tempi mi fanno un po’ rabbrividere».

In tv le sue battaglie sono vinte da tempo, essendo diventato uno dei volti più amati della fiction.
«Sì, ma è un percorso iniziato 22 anni fa, quando non dormivo la notte per fare i provini e intanto lavoravo come cameriere. Le cose non accadono per caso, la credibilità va costruita nel tempo».

Quanta credibilità danno gli ottimi ascolti della seconda stagione di “Mina Settembre”, che è terminata il 6 novembre?
«Quest’anno il mio Mimmo Gambardella è partito in sordina e negli ultimi episodi è diventato più concreto: diciamo che dopo la panchina è arrivato decisamente a giocare da titolare. È entrato nel cuore delle persone perché è rassicurante, affabile e ha tutte le caratteristiche per farsi amare».

Anche dalla povera Mina (Serena Rossi) che non trova tregua.
«Quando hai il “fisico” come fai a uscire dalla mente di qualcuno? Scherzo... Sono meccanismi sentimentali che non trovano pace, vivono di tormento, devono lasciare sognare e sperare».

Ci sarà il seguito di questo tira e molla?
«Di terze stagioni per ora non so nulla, mi godo quello che accade».

Accade che tra poco sarà sul set della seconda stagione di “Blanca”.
«Inizieremo entro la fine del 2022, c’è dietro un grandissimo lavoro di preparazione, si voleva creare un prodotto che avesse una valenza internazionale».

Medico in “Mina Settembre”, ispettore in “Blanca”, professore in “Luce dei tuoi occhi”: i suoi personaggi tornano con continuità.
«È appagante: c’è sempre qualcosa di te in quello che fai e col tempo impari ad amare ogni personaggio. Ma l’affetto del pubblico è il risultato dei tanti ruoli che ho fatto anche in passato. Ci sono persone che ancora oggi mi scrivono che mi stanno vedendo in “L’onore e il rispetto”: una fiction che ho fatto quasi vent’anni fa!».

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