Il giovane creator condurrà con Andrea Delogu l'incontro tra i giovani e il Papa durante il Lunedì dell'Angelo

Quando lo chiamo al telefono per l’intervista scusandomi per la voce rauca e strana dovuta ai postumi del Covid, Gabriele Vagnato si fa una gran bella risata e mi dice: «Io è una vita che ci combatto con la mia voce. Ai call center o alle assistenze telefoniche in generale mi scambiano puntualmente per una donna: “Mi dica, signora…”». Gabriele Vagnato è un giovane creator famosissimo: ha oltre 3,7 milioni di follower su TikTok, 1,1 milione su Instagram e 750.000 iscritti al suo canale Youtube. Una vera forza della natura e un concentrato di entusiasmo e positività contagiosa. Il 18 aprile sarà lui ad intrattenere, insieme ad Andrea Delogu, circa sessantamila adolescenti italiani che incontreranno Papa Francesco in Piazza San Pietro. Si tratta del primo incontro del Pontefice in Vaticano con i ragazzi dopo la lunga pausa dovuta alla pandemia. Tra gli ospiti ci saranno Blanco e Matteo Romano.
Con la sua comicità spontanea e irriverente, Gabriele, ventuno anni, dedica i suoi monologhi a temi che spaziano dagli argomenti leggeri a quelli più impegnati. Quest’anno durante il Festival di Sanremo ha fatto da inviato speciale per TikTok dove ha incontrato Andrea Delogu che lo ha poi coinvolto come ospite fisso nel suo programma “Tonica”, il late show musicale in onda su Rai2. Astigiano di nascita ma catanzarese di adozione, è stato anche uno degli ospiti di “So Wine So Food con l’Uomo delle Stelle” la sketch comedy dedicata alla cucina, su Sky Uno.
Gabriele, ti immaginavi di trascorrere il giorno di Pasquetta dal Papa?
«Quando Andrea Delogu mi ha coinvolto in questo progetto, con centinaia di migliaia di ragazzi e con la presenza di Blanco e Matteo Romano, quasi non ci credevo. Poi il sogno ha preso forma e ancora oggi faccio fatica a realizzare. Fino a lunedì 18 aprile ho sempre paura che poi mi dicano: “Ma no, è uno scherzo…”».
Tu sei tra i creator italiani più conosciuti. Come vivi il passaggio dall’evento online a quello dal vivo?
«Agitato. Non soffro tanto di ansia da prestazione, ma volo con la fantasia e immagino le cose negative che potrebbero accadere: e se cado? E se il Papa, quando mi vede, mi dice: “Ma chi è questo?”. Un altro incubo ricorrente in questi giorni riguarda la possibilità che, preso dal panico, possa salutare il Papa in modo sbagliato o dire frasi che lui non gradisce…».
Quando in famiglia hanno saputo che dovevi cocondurre un evento davanti al Pontefice, cosa ti hanno detto?
«Mia madre mi ha tartassato chiedendomi di poter partecipare all’evento e implorandomi di presentarle il Santo Padre. Le ho risposto: “Mamma, ma io non sono il cugino del Papa…” (sorride). Le ho spiegato che questi eventi sono organizzati a grandi livelli e che quelli che decidono sono molto molto in alto. Persone importanti, ecco».
Ma a casa come vivono la tua popolarità?
«Quando mia madre e mia nonna mi fanno i complimenti e chiedono del mio lavoro, sono iper imbarazzato e faccio fatica a parlarne…».
Eppure in famiglia sono nati i tuoi primi spettacoli e i tuoi primi fan…
«Tutto è nato quando, all’età di quattordici anni, cominciavo a fare le imitazioni di mio zio, mio cugino e mia madre durante i pranzi delle domeniche con i parenti. Tutti si scompisciavano dal ridere davanti alle mie performance. All’epoca cominciava a nascere e a diffondersi la moda degli YouTuber e mi sono detto: “Ma perché non provare a farlo davanti a un monitor”. E così, un pomeriggio, cominciai a caricare alcuni miei monologhi. Naturalmente all’inizio non mi si filava nessuno e poi piano piano le cose sono cambiate».
Ma a quell’età avevi dei sogni? Cosa volevi diventare da grande?
«A dodici anni mi ero fissato di diventare chef. Mia madre mi aveva comprato il Bimby e, ogni giorno, sperimentavo ricette. Poi, complice anche il fatto che la scuola alberghiera era troppo distante da casa mia, questa passione lentamente scemò per lasciare il posto, qualche tempo dopo, a quella di YouTuber. Mi iscrissi anche all’istituto per geometri con l’idea di poter specializzarmi in designer di interni. Pensavo a lavori estremamente normali, ecco. Poi la mia vita è cambiata».
Con quasi quattro milioni di follower, tu, che sei comico, creator e influencer, ogni volta che pubblichi qualcosa dai un messaggio. Quanto ti pesa o ti condiziona tutto questo “potere” mediatico?
«Sono piuttosto sfrontato e diretto nei miei monologhi. Oggi l’irriverenza è lo strumento usato soprattutto da noi giovani per comunicare con i nostri coetanei o anche quelli più piccoli. Blanco ne è la prova. Non esiste più il Massimo Ranieri o il Claudio Baglioni dei giovani. È cambiato il linguaggio. Quando pubblico qualcosa, naturalmente ci penso, certo. Nella vita di tutti i giorni io sono un ragazzo che non fuma, che non si droga. E sai perché? Ho semplicemente paura. Ho amici e cugini che fumano, alla mia età, quaranta sigarette al giorno. La dipendenza, purtroppo, viene talvolta vista come un’abitudine cool… Ma non è affatto così. E quando poi arrivano a venticinque anni, tutti cercano di smettere. E mi chiedo perché devono rovinarsi quel pezzo di vita. Dico sempre loro che stanno facendo un investimento su un tumore a lungo termine… (sorride)».
A proposito di sovraesposizione mediatica, si parla spesso di cyberbullismo. Tu hai mai toccato con mano questa realtà?
«Da piccolo anche io qualche volta sono stato insultato, ma sinceramente non l’ho mai vissuto come un atto di bullismo. Nonostante fossi timido, ho sempre avuto un carattere forte che mi ha portato a snobbare certi individui. Non mi sono mai sottratto allo scontro verbale per difendermi. Secondo me vanno assistiti i ragazzi bullizzati, ma devono essere aiutati anche i bulli, perché sono loro che hanno il problema vero. Anche tra noi adulti il fenomeno sussiste e si ripresenta periodicamente, ma il problema ha solo una matrice: la frustrazione. E questa va veramente compresa e curata…».
Da mamma alle prese con figli che trascorrono il tempo quasi tutto il giorno su tablet e smartphone, come si può trasformare questa cattiva abitudine in qualcosa di più costruttivo?
«All’inizio degli anni ’10, il sogno dei ragazzi era quello di partecipare al “Grande Fratello”, a “X Factor”, ad “Amici”. Oggi non ci sono regole per diventare YouTuber. Mi capita di vedere dei ragazzi con delle idee pazzesche, perché magari prendono spunto dal passato. Le buone idee fanno dei giri enormi e poi ritornano, questi ragazzi non vanno alla ricerca dei numeri. Poi ce ne sono altri invece che vogliono solo il successo e a loro poco importa dell’aspetto creativo. La miglior arma è essere se stessi con tutti i difetti annessi. Nella comunicazione vince la verità, la realtà».
Oltre alle centinaia di migliaia di follower e al tuo talento, a chi senti di dire grazie in questo momento?
«Devo ringraziare tantissimo Andrea Delogu perché, da personaggio televisivo qual è, ha creduto in un ragazzino come me che proveniva dai social. Ha rischiato e le sono riconoscente. Con “Tonica” è riuscita a far avvicinare la televisione al mondo dei social, creando un programma per i giovani».
Dopo questo grande evento, che programmi hai?
«Uno: tornare da mamma Luana e nonna Silvana altrimenti mi tolgono dallo stato di famiglia. Per uno del sud, non trascorrere Pasqua con la famiglia è un affronto serio (sorride)…».
Guardando alcuni video, mi è parso di riconoscere nel tuo approccio lo stile di Enrico Lucci prima maniera… Innanzitutto: lo conosci?
«Lo conosco ed è un grande complimento. Faccio una premessa: nel 2019 ho creato il mio format su YouTube “L’interrogazione”, un late show capovolto con il conduttore che, invece di mettere a proprio agio l’ospite, l’intervistato, lo prende in giro. Gli gettavo anche l’acqua addosso, facevo battute infelici…Nella prima ondata del Covid, questo format andava alla grande. Ogni puntata raggiungeva un milione di visualizzazioni a puntata al giorno. Arrivato alla fine della terza stagione del format, mi decisi di portare il programma all’esterno. Incontro per caso Umberto Alezio, autore storico de “Le Iene Show” ma soprattutto l’autore di Pif e quello personale di Enrico Lucci. Umberto mi ha insegnato un mare di cose. Insieme abbiamo creato un format dal titolo “Social Network” dedicato al “buco nero” dei social e ai cattivi comunicatori prendendoli un po’ in giro. Ogni volta mi dicono che il mio stile ricorda quello di Pif, Dario Vergassola e Enrico Lucci. Per me è solo un onore il confronto con questi mostri sacri».