Gianluigi Nuzzi: «Il delitto di Sharon Verzeni colpisce ognuno di noi»

Sta per tornare su Rete 4 con "Quarto grado". E gli abbiamo chiesto di darci il suo parere sul caso più discusso delle ultime settimane

5 Settembre 2024 alle 08:09

La redazione è già al lavoro. L’appuntamento con i telespettatori è fissato: “Quarto grado” torna nella prima serata di Rete 4 venerdì 13 settembre. Certo, “Quarto grado” è l’ormai storica trasmissione di approfondimento sui gialli irrisolti della nostra cronaca, ma è naturale che con Gianluigi Nuzzi, espertissimo giornalista d’inchiesta e conduttore del programma, oggi si parli soprattutto dell’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola (BG), il “caso dell’estate”. La chiacchierata, infatti, avviene pochi minuti dopo che la Procura di Bergamo ha annunciato di aver fermato il presunto assassino, il 31enne Moussa Sangare, abitante nel vicino paese di Suisio (BG). Avrebbe ucciso per uccidere, senza alcun movente…

So che lei pensa che non esiste delitto perfetto, ma solo indagini imperfette.
«È vero. Il delitto è brutalità e la brutalità è imperfetta per definizione. Solo la bellezza, l’amore, la felicità possono raggiungere la perfezione».

Ma si dice che il delitto senza movente sia quanto di più vicino alla “perfezione”. Qui, dunque, abbiamo avuto indagini perfette?
«Il delitto “casuale” è sempre un’ipotesi, seppure minimale. Ora, però, andrà approfondita e verificata la storia raccontata da Sangare. Le indagini sono state fatte benissimo. C’è stato chi ha detto che annaspavano nel buio: purtroppo viviamo in un mondo in cui l’informazione è così rapida che si pretende che ogni caso sia risolto all’istante».

Sono state indagini tecnologiche. Le telecamere di Terno avevano colto “l’uomo in bicicletta” e quelle dei dintorni hanno portato all’identificazione: credevo succedesse solo nei telefilm. Senza poi contare un paio di utili testimonianze...
«Le nostre città sono pagine bianche in cui ogni “passaggio” viene scritto da telecamere, celle telefoniche, bancomat e perfino da Google che traccia i nostri spostamenti. Questo preoccupa alcuni per la tutela della privacy, ma di certo dà beneficio alla nostra sicurezza. Qui gli inquirenti hanno fatto il loro dovere: non hanno cercato un capro espiatorio, ma hanno dato un volto all’assassino. Purtroppo in questo Paese “malato” di suggestioni e fake news nessuno chiederà scusa al povero fidanzato Sergio Ruocco, da molti indicato inizialmente come potenziale assassino».

Quando martedì 30 luglio si è diffusa la notizia della tragica sorte di Sharon, cosa le ha fatto pensare che sarebbe diventato un caso così seguito?
«Era stata uccisa una ragazza cristallina, una barista di provincia, senza grilli per la testa… E poi avevamo, appunto, il fidanzato, un “promesso sposo” che era il pupillo dei suoceri e su cui gli inquirenti hanno posto da subito pochissima attenzione perché, se si fosse mosso da casa, non avrebbe potuto evitare le telecamere se non scavando come una talpa o volando».

Non sarà sbagliato essere così incuriositi da un simile evento?
«Noi abbiamo un senso di comunità, che va rispettato, condiviso, amato. Qui c’è una persona della nostra comunità che ha perso la vita in modo violento: è naturale che ci si interroghi. Sharon era una barista, dunque la ragazza che vediamo tutti i giorni quando prendiamo il caffè. È una persona vicina a ciascuno di noi. Il naufragio del veliero Bayesian (avvenuto il 19 agosto nelle acque di Porticello, a est di Palermo, con sette morti, ndr) è una tragedia ma è molto più distante dalla nostra quotidianità: non tutti abbiamo confidenza con il mare, pochissimi possono anche solo salire su un’imbarcazione di quel tipo».

Quando andate sulla scena del crimine avete degli accorgimenti per non “pestare i piedi” a chi indaga?
«Seguiamo il Codice penale e le norme deontologiche del giornalismo. Non ci sostituiamo mai a Carabinieri o Polizia. Noi raccontiamo e scaviamo, e se capita momentaneamente di sovrapporsi le differenze rimangono chiare: intervistare è cosa diversa dal mettere a verbale una deposizione. Insomma, facciamo attenzione… Che non vuol dire avere riguardi: se un inquirente fa una stupidaggine, noi lo raccontiamo».

È felice di non dover seguire questo caso a “Quarto grado”?
«Sono felice perché l’esito conferma come si debba aver fiducia nelle istituzioni, e perché i familiari, pur avendo un dolore che nulla e nessuno potrà mai risarcire, almeno sanno che cosa è successo. Questo è stato un grande giallo e quindi potremmo anche parlarne, magari in chiave di ricostruzione».

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