A cento anni dalla nascita di Pasolini arriva in tv una puntata di “L’uomo della domenica " che racconta "L'artista del doppio passo"

Sabato 5 marzo cadono i cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, sceneggiatore, regista, uno dei più grandi e discussi intellettuali del 900, scomparso nel novembre del 1975. Nota era la passione verso il mondo del calcio e per la squadra del Bologna (sua città natale). Per l’occasione Sky vuole ricordarlo con una puntata della produzione originale “L’uomo della domenica – Discorso su due piedi”, dal titolo “Pier Paolo Pasolini – L’artista del doppio passo” in onda dal 4 marzo alle ore 19.00 su Sky Sport Calcio e dal 5 marzo alle ore 22.25 su Sky Arte, anche in streaming su Now. A parlarcene è lo stesso ideatore e conduttore del programma, Giorgio Porrà.
Un modo per conoscere Pasolini sotto una luce diversa?
«Di lui calciatore noi di Sky ci siamo occupati più volte nel corso degli anni, io lo ricordo nelle prime trasmissioni di “Lo sciagurato Egidio” degli inizi del 2000. Torniamo a parlarne nel centenario, per raccontare un personaggio che ha sempre avuto una relazione così forte, potente, simbiotica, totale, quasi carnale con il calcio. È una cosa che continua a incuriosire anche a distanza di tanto tempo, e anche se adesso conosciamo
ogni sfumatura di questo rapporto così particolare, ci piace continuare a coglierne i vari aspetti».
Per lui un amore verso il pallone che è nato prestissimo.
«Il pallone, io continuo a dirlo, rotola sullo sfondo di qualunque commedia umana. Non solo Pasolini ma ci sono anche altri intellettuali che hanno avuto un rapporto stretto con il calcio. Per lui però è stata una cosa totalizzante, ha cominciato molto presto, anche in Friuli dove ha trascorso la prima adolescenza, poi è tornato a Bologna a 14 anni. E dopo i prati bolognesi anche nelle borgate romane».
Una passione per il calcio e per la squadra di… casa.
«Il Bologna è un amore assoluto, sia per quello degli anni 30 che faceva tremare il mondo con due assi come Raffaele Sansone e Amedeo Biavati (noto per il suo dribbling denominato “doppio passo”, ndr), sia per quello
degli anni 60/70 con Giacomo Bulgarelli. E il pallone c’era sempre, tra un set e l’altro, tra un romanzo e l’altro, come dimostrano “Una vita violenta” e “Ragazzi di vita”. Lui giocava nelle borgate nelle periferie, sempre alla ricerca di facce per i suoi film, di ispirazioni letterarie. E questa sua curiosità, questa sua necessità di cogliere la sensualità che solo lo sport sa sprigionare, la trasferiva sia nelle opere sia nel sul vissuto. Ci sono le parole di Adriano Sofri che racconta del Pasolini calciatore di giorno e cacciatore di notte, quello delle scorribande incontrollate».
Quella di Sofri non è l’unica testimonianza nel programma.
«Assolutamente no, ce ne sono tante che provengono da mondi differenti. Ai tempi non si andava a Formentera e Ibiza, ma sulla spiaggia di Grado, dove c’era una grande concentrazione di calciatori. Facciamo parlare quelli che avevano giocato con lui, personaggi come Edoardo Reja, Giovanni Galeone, Fabio Capello. Ma abbiamo anche le testimonianze di Walter Veltroni, Dacia Maraini e Fabio Testi solo per citarne qualcuno. Pasolini dimostrava una grande personalità fuori ma anche in campo, senza farla pesare. Lui giocava al pallone per difendere la fisicità della vita dall’omologazione tecnologica e in questo c’è anche un po’ il limite del pensiero pasoliniano. Era costantemente assetato di passato, di armonie perdute, di mondi incontaminati e questa azione del progresso applicato al calcio non gli piaceva un granché».
E questo nonostante alcune intuizioni profetiche sul calcio futuro.
«Certo, un istinto clamoroso, ha indovinato molte cose che sarebbero arrivare decenni dopo, come il campionato spezzatino diviso su più giorni, il calcio mercato di fatto perenne, i calciatori come aziende testimonial di se stessi. Lui diceva che i calciatori sono gioventù incastrata in una piccola sacca del destino e quindi devono spremere il massimo dalle loro stagioni».
C’è forse oggi una figura che possa avere l’ottica di Pasolini?
«Credo di no, anche se oggi di pallone se ne occupano un po’ tutti. Ma non esiste un Pasolini ed è la ragione per la quale continua a restare una figura straordinariamente attuale che continua a inquietare i conformisti».