Un grande autore tv si racconta mentre esce il suo primo romanzo

Qualsiasi intervista si faccia a un grosso personaggio della tv, salta fuori il nome di un autore televisivo con cui in tanti hanno lavorato: Giovanni Benincasa, detto “Giovannino”. «Mi chiamano loro così, per affetto» spiega lui. «Meglio Giovannino di Gianni, comunque. Già sono piccoletto di altezza, avere anche il nome corto non è il caso» scherza.
Da Fiorello a Raffaella Carrà, lo stimano tutti per la sua creatività effervescente. Napoletano, classe 1960, vive a Roma da molti anni. Nella sua carriera ha firmato molti show, da “Carràmba!”, a “Edicola Fiore”, passando per “Libero” con Teo Mammucari e “Alballoscuro” con la Parietti.
E il romanzo “Eccetera ne ha di parole” (Baldini + Castoldi). Due ottimi spunti per fare quattro chiacchiere in libertà.
Giovanni, i grandi della tv la citano sempre. Lo sapeva?
«No, sono felice di scoprirlo. Vuol dire che sono apprezzato. Sa, ricevo tante lettere di ragazzi che sognano di fare gli autori e mi mandano progetti, idee».
Lei come ha iniziato?
«Quand’ero bambino con i miei ci trasferimmo a Milano, nel quartiere della Maggiolina. Lì ebbi il primo contatto con un mito: Adriano Celentano. Lo vedevo andare a messa ogni domenica».
E da grande?
«Ho iniziato in Rai come programmista-regista a “Unomattina”. Venivo dalle reti locali, una grande scuola. E di lì, passo dopo passo, mi ritrovai con la Carrà, a pensare al quiz “Se fosse...” (un gioco all’interno di “Ricomincio da due”, ndr)».
Raffa è Raffa.
«Unica. Se Raffaella sposa un’idea, la sposa totalmente, si innamora. Lavoriamo insieme da una vita e ci siamo ritrovati su Raitre per “A raccontare comincia tu”. Lei è categorica, professionale, una lavoratrice infaticabile».
Chissà quanti segreti custodisce...
«La scaletta di “Carràmba” era segretissima. Con il collega Fabio Di Iorio mettevamo segnali in codice. I contributi video erano i “Muratti-time”: uno, due minuti in cui con Raffaella ci fumavamo una sigarettina. Io ho smesso da poco, perché ho subito un’operazione delicata. Durante la convalescenza mi hanno aiutato a smettere gli amici. Soprattutto le “minacce” di Fiorello».
Minacce, addirittura?
«Quando ero in ospedale Rosario, con la complicità di mia moglie Giorgia, mi ha mandato una serie di video sul telefonino: “Ah Giova’, se non la smetti di fumare, non ti voglio vedere più”».
Com’è lavorare con lui?
«Divertentissimo. Una cosa particolare di Fiorello è che a volte lui sembra distratto, sembra non ascoltarti. Ma poi, “Zac!”, quando meno te lo aspetti, ti mette lì quella cosetta in un monologo, proprio quella che pensavi non gli fosse piaciuta. E lo fa magistralmente».
Rifarebbe mai “Libero” oggi?
«Sarebbe bello, ma andrebbe aggiornato. Al posto delle telefonate, dovremmo inserire le chat su WhatsApp. Cambia il contesto, cambia il contenitore: oggi c’è la televisione su misura su computer e cellulari. Io ho cinque figli e loro la guardano così. Ma non è un male, anzi. Una volta la televisione era un lago, ora è un oceano».
Mi cita tre monumenti della tv?
«Oggi come ieri, l’Abc della tv sempre quello è: A sta per Arbore, B per Baudo, C per Costanzo. Hanno inventato e scoperto loro praticamente tutti. Da Sgarbi a Iacchetti, dalla Cuccarini a Grillo, il comico che ha stravolto il Paese. Le pare poco? Il resto l’ha fatto la Gialappa’s, tra gli Anni 80 e i 2000, formando generazioni di comici».
Se fosse direttore di rete per un giorno, cosa farebbe?
«Obbligherei Gigi Marzullo a levarsi la sua maglietta a righe. Da Raiuno lo porterei su Raidue con il nuovo look e poi su Raitre gli farei dire: “Signore e signori, buonanotte”».
Lei ha il gusto per le “Battute?”.
«Altrimenti non avrei fatto questo nuovo programma, no? Mi piacciono gli umoristi e ho scelto il conduttore, lo sceneggiatore Alessandro Bardani, proprio per la simpatia».
Andate in onda dopo Carlo Cracco, prima del Tg2.
«E contro tutti i tg... Sugli ascolti non ci sarà gara: noi giochiamo tutto un altro campionato».
Le manca qualcuno della “vecchia guardia” televisiva?
«Gianni Boncompagni, di cui ho un ricordo molto tenero. Andava matto per il quiz finale de “L’eredità”, la Ghigliottina. Io mi feci anticipare dai colleghi alcune soluzioni per stupirlo. Così, per qualche puntata, quando la guardavamo insieme, lui non si capacitava: “Ma come fai? Le indovini tutte!”».
Altri amici storici?
«Massimo Troisi, il più saggio di tutti. Lui diceva che dovevo lasciar perdere la tv per fare lo scrittore».
Sarebbe felice, da lassù, per il suo primo romanzo.
«È la storia di un uomo e una donna, Giovanni ed Elisabetta, due persone che si scrivono lettere bellissime negli Anni 70. Un altro Giovanni le ritrova per caso e si mette a cercare lei, Elisabetta, chiedendo l’aiuto dei lettori».
Chi l’ha già letto?
«Fiorello ha visto la sovraccoperta trasparente (che rende il titolo un po’ sfocato, ndr) e mi ha detto, ridendo, che gli sembrava di essere diventato presbite. E mi ha scritto Silvan, citato nei ringraziamenti assieme ad altri maghi celebri. Dice che è arrivato a pagina 42».
Lei crede nella magia?
«Credo ai segnali del destino».
Superstizioso?
«Se mi passa un gatto nero davanti mentre sto in macchina mi fermo!».
Il più scaramantico tra i personaggi con cui ha lavorato?
«La Carrà. Con lei “quel numero lì” non si deve pronunciare. E guai a indossare il viola! Per carità, lei non transige».