I 30 anni insieme di Aldo, Giovanni e Giacomo in “Abbiamo fatto 30…”

Il trio festeggia l’anniversario della sua unione con due serate speciali su Nove

Aldo, Giovanni e Giacomo
20 Novembre 2021 alle 08:19

Esono già 30 anni di risate insieme. Per festeggiarli, Aldo, Giovanni e Giacomo tornano in tv con “Abbiamo fatto 30...”, due serate speciali su Nove. Noi invece li festeggiamo con questa intervista.

Per cominciare vorrei togliermi una curiosità che mi tormenta da 30 anni. Perché vi chiamate “Aldo, Giovanni e Giacomo” e non, come vorrebbe l’ordine alfabetico, “Aldo, Giacomo e Giovanni”?
Giovanni: «Giacomino è arrivato dopo e allora lo abbiamo attaccato in fondo. Oh, io e Aldo eravamo insieme già da quasi dieci anni!».
Aldo: «E poi suona meglio».

Come vi siete “incrociati”?
Giovanni: «Io e Aldo avevamo formato un duo dopo aver studiato insieme da mimi. Siamo andati a esibirci in un villaggio turistico in Sardegna e Giacomo era il capo animatore. Pur di collaborare era pronto a tutto! Una volta ci ha fatto persino da rumorista: sgnik, driiin, boom...».
Giacomo: «Devo dire che mi sono subito piaciuti».
Aldo: «Noi eravamo un po’ in crisi... Di solito il terzo fa scoppiare la coppia no? A noi ci ha salvato. Ha portato una ventata di aria nuova».
Giovanni: «E poi quando Aldo ha mollato la fidanzata ed è andato a vivere a casa di Giacomo, ho capito che non ce ne liberavamo più».

C’è una data precisa per la nascita del trio? Qual è il giorno esatto del compleanno?
Giacomo: «Era il 10 novembre 1991: il primo spettacolo intero insieme, in un locale del varesotto. Me lo ricordo bene perché avevo la gamba ingessata. Pensa la sfortuna, esordire su una sedia a rotelle!».
Aldo: «Ci abbiamo appiccicato sopra un foglio disegnato ed è diventata una parodia di “La ruota della fortuna».

La prima volta in tv?
Aldo: «“Su la testa!” con Paolo Rossi, nel 1992. Per noi lui era un mito, eravamo straorgogliosi».
Giovanni: «Recitavamo in un vero tendone da circo a Baggio, alla periferia di Milano. L’occasione per inventarci gli animali: lo struzzo, il cammello...».

Però siete “esplosi” nel 1994 con “Mai dire gol”.
Giovanni: «Finalmente con la Gialappa’s abbiamo trovato qualcuno più folle di noi che non ci bocciava le idee più strane. Così la sparavamo sempre più grossa. “Vorrei fare il geco sulla parete”. E loro: “E che problema c’è?”. “Questo è Tafazzi, si tira delle gran bottigliate sui genitali”: “E perché no?”. “Vogliamo arruolare Jury Chechi come acrobata tra i Bulgari”: “Si può fare!”».
Aldo: «A dire la verità a me un personaggio l’hanno bocciato: il bambino povero. Perché metteva tristezza».
Giacomo: «Quello l’hai copiato dal mio Bimbo Gigi. Che poi è il mio personaggio preferito. Quello che porterei su un’isola deserta».
Aldo: «Io ci porterei una bella donna».
Giacomo: «Non puoi. Non hai mai fatto personaggi donna!».

Poi è arrivato l’enorme successo al cinema...
Giovanni: «Non eravamo convinti. Si fece avanti la casa di produzione Rodeo Drive con un budget, sia detto con affetto, ri-di-co-lo. Noi avevamo già il successo di “Mai dire gol”, il teatro...».
Aldo: «Ci siamo buttati».
Giacomo: «Per dare un’idea: per la scena di apertura di “Tre uomini e una gamba” avevamo chiesto un armadio a tre ante. Ce l’hanno dato a due per risparmiare. E mentre giravamo, una si è proprio staccata. La gente pensava a una gag, invece era il materiale fatiscente!».

Dite la verità: con “La leggenda di Al John e Jack” volevate sfondare pure in America.
Giovanni: «Ma no, siamo troppo mediterranei... al massimo in Spagna. Però certo, girare due settimane negli Stati Uniti è stato indimenticabile».
Aldo: «Quel film ha un problema. Siamo andati a vederlo in sala: a un certo punto ammazziamo uno a sangue freddo perché “volevo portare al boss il cuore di un cerbiatto come in Biancaneve, ma dove lo trovi un cerbiatto a New York???” . In sala è calato il gelo. Non ci vogliono cattivi neanche per ridere. Ci amano troppo!».

Parliamo del teatro. Con “Anplagghed” nel 2006 avete riempito i palasport!
Aldo: «Sa che era quasi frustrante? Erano così grandi che dovevamo metterci alle spalle un megaschermo. Praticamente quelli in fondo ci vedevano in tv».
Giacomo: «Abbiamo amato di più i primi teatri veri a Milano. Lo Smeraldo, il Ciak, che nostalgia... Oggi uno è diventato un supermercato e l’altro è un condominio».

Avete mai litigato?
Giovanni: «Tantissime volte. Ma sempre per cose piccole, che poi morivano lì. E diventavano spunti per gli sketch. Come quello del viaggio sulla “Subaru Baracca”. Aldo che bisogna sempre aspettarlo, Giacomo che mette il piede sul sedile... E quella volta che siamo partiti da Milano e arrivati a Pisa abbiamo scoperto che quella sera in teatro non c’eravamo noi? C’era Stefano Nosei. Che giustamente ci ha guardato come tre matti».
Giacomo: «Anche la “Subaru Baracca” nasce da un doloroso fatto vero. Era il 1998, le cose andavano bene, mi faccio la macchina nuova. Alla prima uscita la lascio in un parcheggio a pagamento e al ritorno mi dicono: “Ma guardi che l’ha già ritirata la sua fidanzata”. Insomma l’avevano rubata. Allora sono andato da un assicuratore: “Senti un po’ qual è l’auto che rubano meno in assoluto?”. E lui: la Subaru. Presa».

E gli Svizzeri, i Bulgari e i Sardi come sono nati?
Aldo: «Per i Bulgari abbiamo rischiato grosso. Ero con Giovanni in un villaggio vacanze a Zanzibar. Prima di noi si esibivano degli acrobati locali ma insomma, erano un po’ scalcagnati, stortignaccoli... Allora siamo saliti sul palco e li abbiamo imitati per prenderli in giro. Ci hanno guardato brutto, ma proprio brutto!».
Giovanni: «Poi sono diventati i Bulgari perché anche lì c’è una tradizione circense... povera. Anche con i Sardi avevamo paura che si arrabbiassero. Quando ci esibivamo nei villaggi in Sardegna capivamo la metà delle parole che ci dicevano, così mi sono inventato quei termini assurdi: “la sitiparridda, il fatamigarru”... e sono diventato una specie di eroe».
Giacomo: «Sì, perché nello sketch Giovanni è un dritto. Gli Svizzeri invece sono la parodia di una trasmissione che amavamo, “Ultimo minuto”, che raccontava salvataggi in extremis. Per non farla troppo simile e darle un sapore esotico l’abbiamo ambientata all’estero. Nel Canton Ticino».

Ora direte che anche il divino “Pdor figlio di Kmer” è nato da un’esperienza quotidiana...
Giovanni: «Certo. Quella di leggere i fumetti. Sono un fan di “Conan il barbaro” e lì è tutto pieno di parole così, epiche, misticheggianti e soprattutto incomprensibili».
Aldo: «E poi noi ci siamo inventati i due viandanti che lo cercano... i nostri sketch nascono così, da un continuo confrontarsi. Magari intorno a un biliardino».

Ma le vostre famiglie non sono gelose del Trio e di tutto il tempo che passate assieme?
Giovanni: «No, anche perché spesso ci sono pure loro! Per scrivere i film passavamo l’estate in una grande casa in Toscana insieme. La affittava il compianto Paolo Guerra, il nostro produttore “storico” scomparso un anno fa. Lo show su Nove è dedicato alla sua memoria».

Condividete anche gli hobby?
Giacomo: «Beh, lì in Toscana qualche torneo di tennis l’abbiamo fatto. Noi tre contro altre squadre, tipo Coppa Davis. Vincevamo sempre noi. Secondo me gli altri perdevano apposta per darci la carica... ci vorrebbe un’inchiesta: “Racchette pulite”».
Giovanni: «Io facevo le maratone e spesso mi sono portato dietro anche Aldo».
Aldo: «Sì ma io andavo per il viaggio: siamo stati in Brasile, Islanda, Etiopia. Lì mi sono pure perso in un villaggio. Mi hanno cercato per quattro ore. Non sapevo una parola della loro lingua... e neppure di inglese. Un incubo».

Ultima curiosità: i Beatles avevano “il quinto beatle”, i Pooh “il quinto Pooh”. C’è un “quarto del trio”?
Giovanni: «Per anni siamo stati un quartetto di fatto con Marina Massironi. Abbiamo girato insieme tre film».
Aldo: «Oggi ci affianca spesso mia moglie, Silvana Fallisi».
Giacomo: «Però non sono mai entrate nel nome del trio... In effetti avremmo potuto dare più spazio alle donne. Sarà per i prossimi 30 anni».

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