I Gatti di Vicolo Miracoli festeggiano 50 anni insieme

Jerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno e Umberto Smaila si raccontano a Sorrisi: dagli esordi all’incontro con Woody Allen e oltre

Da sinistra in alto: Jerry Calà, Umberto Smaila, Franco Oppini e Nini Salerno
28 Gennaio 2021 alle 08:54

I Gatti di Vicolo Miracoli compiono cinquant'anni. Dice la storia che nel gennaio del 1971 un gruppo di ragazzi partì da Verona per “conquistare” Roma. Si chiamavano Studio 24, perché 24 erano gli studenti della “compagnia” che s'era formata al teatrino del liceo classico veronese Maffei, frequentato da tutti loro. Per strada cambiarono nome e arrivarono nella capitale come Gatti di Vicolo Miracoli. Seguiranno cinquant'anni di spettacoli, di risate, di musica, di «Ciaooo!», «Capittto?», «Prooova!», di «Puro spirito ebraico newyorkese»…

Ma sarà poi vera la storia del viaggio a Roma? Non potevamo che chiederlo ai Gatti medesimi. Interrogati in “stanze” diverse, come nei film gialli, Jerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno e Umberto Smaila parlano per ore. Ricordano, svelano, ridono, si prendono in giro. Ma le versioni spesso non coincidono. Coincidono solo loro, che si giurano amici oggi come ai giorni del liceo, e che sono pronti a tornare in scena, quando riapriranno i teatri, col loro spettacolo “Jerry Calà & i Gatti di Vicolo Miracoli-Reunion”. E non solo con quello. Ora, però, spazio ai racconti: cinquant'anni in dieci momenti indimenticabili.

Gennaio 1971: inizia il viaggio
Piazza Dante, nel cuore di Verona: ci sono sei ragazzi che cantano e suonano… Sono i nostri quattro, Franco, Jerry, Nini e Umberto, più altri due Gatti “storici”, Gianandrea Gazzola ed Elisabeth “Spray” Mallaby.
Attacca Nini Salerno: «Come nelle fiabe, passarono di lì il regista televisivo Dore Modesti e sua moglie Gabriella Farinon, già molto nota come presentatrice. Dopo averci ascoltati, Modesti ci propose di partecipare a uno spot voluto dal ministero dei Trasporti, e così cominciò l'avventura romana».

Prende la parola Jerry Calà, che dà il “clima” del momento: i ragazzi non aspettavano altro… «Una sera Umberto venne a casa mia e mi disse: “Senti, noi con l'università ci abbiamo provato, ma non va. Andiamo a Roma…”. Gli saltai in braccio (avete presente la sua stazza, no?) e lo baciai. Partimmo in una mattina così fredda che il nostro pulmino non riusciva a partire. Secondo me le famiglie erano così straziate da questa decisione, che si erano concentrate per far morire la batteria. Ma la nostra energia era più forte di quella dei nostri genitori e così andammo».
Umberto Smaila interviene e corregge: «Un momento! I viaggi a Roma sono stati diversi. L'incontro con Modesti avvenne nel giugno del 1970 e lui ci fece chiamare alla trasmissione “Speciale per voi” con Renzo Arbore (furono presentati come gli Studio 24, ndr). Nel gennaio del ’71 Modesti ci richiamò per quella campagna sulla sicurezza stradale che poi non si fece. Quello storico viaggio, comunque, lo facemmo con un pulmino preso a prestito da un amico di Nini. Oppini, che si considerava Tazio Nuvolari, era alla guida e già dalle parti di Ostiglia, dopo appena una cinquantina di chilometri, tamponammo qualcuno…».

Franco Oppini s'intromette: «Eh, “Nuvolari”… Solo perché sono nato a Mantova! Però è vero, mi mollavano la guida appena c'era un po' di pioggia o di neve o di nebbia: “Dai, Nuvolari, guida tu che sei di Mantova, dove c'è la fabbrica della nebbia!”. E comunque sono sempre stato io il driver più o meno ufficiale della società, perché Jerry si distraeva, Nini era lento come una lumaca e odiava guidare, mentre Umberto andava un po' a singhiozzo, rallentava, accelerava… Mi ricordo anche un viaggio a Roma fatto in Mehari: avete presente quella specie di auto di plastica? Abbiamo fatto Verona-Roma praticamente al gelo, perché l'auto aveva un telo a fare da tetto, ma per noi era del tutto inutile, visto che i ganci erano rotti. Non mi ricordo invece di aver tamponato a Ostiglia: bugia! Illazione! Falsità! Che guidino loro d'ora in poi!».

Fu durante questo viaggio, però, che nacque il nome? Riprende Calà: «Durante quelle dieci ore di strada abbiamo continuato a sparare nomi per trovarne uno nuovo, uno più “giusto”. Facevamo una canzone che si chiamava “Vicolo Miracoli” e si concludeva con “mentre i gatti dai tetti se ne stanno a guardar”, e così abbiamo fatto due più due: perché non chiamarci Gatti di Vicolo Miracoli?».
Aggiunge Smaila: «Forse ci mise uno zampino anche Modesti, perché sua figlia Barbara (che oggi è una giornalista, ma all'epoca era solo una bambina) fece un disegno così divertente di questi gatti, che ne facemmo il nostro primo manifesto ufficiale».

Barbara Modesti oggi è una giornalista del TgUno e non potevamo non chiederle una conferma. La conferma c'è, il disegno no: «Quel disegno è un ricordo sbiadito e chissà dov'è finito. Forse fu addirittura portato in tipografia per realizzare il loro manifesto e non l'ho più riavuto. Era buffo, certo, fatto con le matite colorate: una strada disegnata con due righe, delle casette e questi gattini… Non so neanche se fu mio padre, Dore Modesti, a chiedermi di farlo, ma non escludo di esserci stata anch'io quando li incontrò a Verona. Non ho più avuto a che fare con i Gatti, ma li ho trovati sempre molto divertenti: sicuramente hanno accompagnato la mia adolescenza».

Un'altra digressione la merita a questo punto il “vicolo Miracoli”, che a Verona esiste davvero. Ancora Calà: «Il vicolo ha una storia strana. Moltissimi anni fa, credo prima della Seconda guerra mondiale, a un capo del vicolo c'era l'ufficio delle tasse e all'altro c'era una casa chiusa, quindi in ogni caso da lì uscivi in mutande!».
Ma quando tutto sembra pacifico, ecco che Nini Salerno scompiglia le carte: «Non è vero che il nome fu creato in quell'occasione! Nacque dopo, quando ci fu offerto di lavorare al Derby Club di Milano. Lo inventammo in poche ore perché bisognava scriverlo sul cartellone!».

Intermezzo numero uno: tutti insieme al liceo
Come abbiamo detto, il gruppo dei Gatti non nasce con il grande viaggio a Roma, ma qualche anno prima, al liceo Maffei. Studiano tutti lì e tre di loro sono addirittura nella stessa classe: Smaila, Oppini e Salerno… Inizia Smaila: «Io ero il classico furbo, un maestro delle assenze strategiche, ma alla fine me la cavavo. Oppini invece era un secchione nato e non pensava minimamente al mondo dello spettacolo. Lo coinvolsi in uno spettacolo scolastico per aprire e chiudere il sipario, ma lo sbattei in scena per farlo ballare durante un pezzo di musica psichedelica, perché era già un ballerino provetto, una specie di Mick Jagger dei poveri… Faceva ridere, sì, ma giuro che era da applausi! Salerno ce lo trovammo in classe come ripetente e figuratevi che per protesta non si presentò in aula nei primi due mesi dell'anno scolastico. Lui voleva fare il teatro impegnato e io continuavo a dirgli “Ma dai! Facciamo il cabaret!”». La parola a Salerno: «Al liceo mi hanno bocciato due volte: credo che poi mi abbiano “liquidato” per anzianità, perché non ce la facevano più. L'unica cosa buona delle bocciature è che alla fine ho acciuffato Smaila e Oppini, ma è stato solo uno il mese in cui sono rimasto a casa per ripicca. Quanto ci siamo divertiti insieme: eravamo dei folli».

E Calà? «Essendo più giovane di loro, li guardavo con grande rispetto e grande invidia. Soffrivo da morire quando li vedevo già fare qualcosa mentre io dovevo anche finire la scuola. Oh, ero stato anche bocciato, quindi per raggiungerli mi sono scapicollato, mi sono chiuso in casa a studiare e sono riuscito a fare tre anni in uno. Però ce l'ho fatta, e loro mi avevano aspettato. Umberto e io, però, ci incontravamo già con i nostri “complessini” (all'epoca non c'erano band: solo complessini) ai vari festival che si facevano nelle parrocchie. A un festival che credo fosse alla parrocchia di San Luca, Umberto (era già bravissimo, aveva una voce bellissima mi venne vicino e mi disse “Mi piace come canti, mi piace la musica che fai”… Oh, io sono stato uno dei primi a fare Rhythm’n’Blues a Verona! E insomma, prima abbiamo fatto un gruppo insieme (i GerDinClaUmb Set, da Gerry, Dino, Claudio e Umberto), poi mi ha fatto chiamare dalla filodrammatica scolastica e per me entrare in quel gruppo di liceali eletti che facevano teatro è stata l'apoteosi».

Febbraio 1971: un Derby da vincere
A Roma lo spot non si fa e per i Gatti non ci sono più né trippa né soldi: «Mangiavamo liquirizia per saltare il pasto: sai, toglie la fame», ricorda Oppini. Aggiunge Salerno: «A Roma ci siamo divertiti, abbiamo fatto qualche seratina in qualche localino, poi appunto sono finiti i soldi. Per trovare i soldi per andarcene Umberto dovette vendere dei dischi a un cameriere del ristorante dove andavamo sempre». Il ricordo di Smaila: «Modesti ci segnalò un ristorante a pochi passi dall'albergo dov'eravamo sistemati: Natalino & Maurizio, e lì ci fu la famosa vendita dei dischi di cui ti parla Nini… Un cameriere, tale Gilberto, mi diede 10mila lire per tre album. Forse c'era un disco dei Mamas & Papas, forse uno di Otis Redding…».

La fuga da Roma avviene quando un giro di conoscenze mette in contatto i Gatti con Cino Tortorella, che li accoglie a Milano e, da buon Mago Zurlì, fa una magia: li porta appunto al Derby, cabaret storico, culla di tanti, da Cochi e Renato a Giorgio Faletti. Li presenta al proprietario Gianni Bongiovanni. Calà ascoltava di soppiatto: «Io sentivo solo che il Bongio continuava a chiedergli “Ma sei sicuro di loro?”, e lui ripeteva “Ma sì! Vedrai!”».

Com'era Bongiovanni? Lo spiega Oppini: «Faceva sempre le 5 del mattino, esagerava… Poi parlava in un modo tutto suo, a frasi fatte e parole tronche. Avete presente certi modi di dire di Renato Pozzetto? Secondo me si è ispirato a lui in molte cose. Era tutto un “bon!”, “cia'!”, “alura”… Ci ricevette un pomeriggio mangiando ghiaccio perché aveva l'arsura…». Ancora Calà: «Al provino andammo subito bene e poi è successo il finimondo e non ci siamo più mossi. Presto abbiamo fatto il nostro primo spettacolo, “Giullarata Anno Domini 1971”, e mi ricordo una locandina del Derby di quei giorni: aprivamo noi, poi c'erano Cochi e Renato, Paolo Villaggio ed Enzo Jannacci. Un debutto grandioso, il coronamento di una favola». Chiude Salerno: «Al Derby abbiamo conosciuto subito Diego Abatantuono, che per noi è un po' il quinto Gatto. Il Derby era dei suoi zii, sua madre lavorava lì come guardarobiera, e lui faceva il tecnico delle luci. Ha lavorato con noi per anni e non ci siamo poi mai lasciati».

1971-1975: partenze e arrivi
Se Abatantuono è il quinto Gatto ad honorem, altri Gatti sono usciti ed entrati nel gruppo. Due Gatti della prima ora, per esempio: Gianandrea Gazzola e Spray Mallaby.

Ma prima di loro era già uscito Franco Oppini: «Sono uscito dopo poco tempo che eravamo al Derby perché avevo dei problemi sentimentali. La ragazza che stava con noi, Mallaby Spray, è stata il mio primo grande amore, e a un certo punto si innamorò di Gazzola, quindi ero davvero molto “nervoso”: oh, avevo 21 anni, un'età in cui non vivi le storie d'amore ridendo e scherzando: c'è lo sturm und drang, la sofferenza di Jacopo Ortis… Litigai con Umberto e tornai a fare teatro d'avanguardia a Verona. Teatro… Guidavo il pulmino, montavo le scene, recitavo, facevo il fonico: non so come facessi. Quando andò via Gazzola, attorno al 1975, mi dissero: “Ci manca un altro chitarrista e tu sei sempre stato con noi, e allora, se fai il bravo, ripartiamo”. I tempi eran cambiati e io ho fatto il bravo. Dopo qualche tempo se ne andò anche Spray. Lei era abbastanza emotiva e lo stress del palcoscenico non è una cosa semplice da gestire: bisogna essere davvero dei panzer».

Intermezzo numero due: tutti insieme casa
Non paghi di stare insieme praticamente tutti i giorni fin dai giorni del liceo, i Gatti vivono insieme anche a Milano, in via dei Cybo, all'angolo con via Venini, alle spalle della Stazione Centrale. In quella casa succede una cosa molto importante…

Inizia Salerno: «Era un appartamentone in cui ognuno aveva la sua stanza. Una situazione un po' sovietica, insomma. E comunque quando io mi sono sposato, nel 1974, portai lì anche mia moglie, in questa “comune” dove si viveva e si creava. Jerry era il più disordinato, io il più ordinato. Credo che Oppini non vivesse sempre con noi, perché aveva una sua zia a Milano. Con noi invece c'era Abatantuono».

Smaila ricorda l'evento cruciale: «Un giorno suona il telefono di casa, rispondo io e sento di nuovo la voce di Cino Tortorella: incredibile! Dice che sta per fare un programma per la tv dei ragazzi e ha pensato a noi… Mi tremavano le gambe, stavo svenendo… Il programma era “Gioco-Città” e andò bene, tanto che ci allungarono il contratto per un'altra serie. Sarà stato anche un programma per ragazzi, ma così eravamo diventati dei “prodotti televisivi Rai” e ci mancava solo il grande salto in un programma serale».

Ottobre 1977: un successo “Non Stop”
Il “grande salto” arriva nell'autunno del 1977. Si chiama “Non Stop” e in un paio di stagioni cambierà la storia della comicità in televisione. Parola di Salerno: «Per me “Non Stop” è come la Spedizione dei Mille: chi lo ha fatto può dire “Io c'ero”. Non sto a dire che eravamo più o meno bravi, ma quello spettacolo è storico e quindi anche noi, unici a fare entrambe le stagioni, abbiamo fatto un po' la storia».

Interviene Smaila: «Il nostro nome fu proposto da Pippo Baudo. Del programma già si sapeva che sarebbe stato innovativo: era anche a colori! Mi ricordo che andammo in Val d'Aosta, a casa di un funzionario della Rai, Mario Pogliotti, che ci parlò per un giorno intero e poi non lo vedemmo più. Sembra un romanzo… Gli altri autori erano Alberto Testa, Enzo Trapani e Giancarlo Magalli. La cosa che mi stupì è che andò su Raiuno: noi eravamo sempre un po' trasgressivi, e quindi eravamo più da Raidue, e invece… Con Trapani, che era anche il regista, legammo tantissimo, tanto che per la seconda stagione lo portammo al teatro Alberichino di Roma a vedere un amico che ci sembrava molto bravo: Carlo Verdone». Anche Salerno ricorda con affetto il grande Enzo Trapani: «Era un genio dello spettacolo ed entrò perfettamente in sintonia con noi, usandoci sempre in modo speciale. Era come noi: un surreale».

1977-1981: l'epopea dei tormentoni
«Ciaooo!», «Capittto?», «Prooova!», «Il carciofone!»… C'è un momento in cui sembra che non passi settimana senza un nuovo tormentone dei Gatti. Ma come nascevano? Non si può che lasciare subito la parola a Jerry Calà, che parte dal prototipo: «In “Gioco-città” facevamo una sorta di quiz in cui Umberto era il presentatore e io, con una cuffia da bagno in testa, il concorrente. Lui continuava a chiedermi “Ma ha studiato?”, e io a un certo punto venni fuori con questo “Hooo… studiato!”. Dopo un paio di puntate mi accorsi che per strada c'era già gente che me lo ripeteva. Umberto aveva capito bene questo mio piccolo potere di dire le cose in modo efficace, e durante gli spettacoli mi aizzava. Una volta, in una serata a Baia Sardinia, facendo di nuovo il quiz, ha cominciato a dirmi “Ma ha capito? Ha capito?” e io gli ho fatto il verso: “Capittto!”. È venuto giù il teatro e lui subito mi ha detto “Oh, ne hai beccato un'altro!”».

Marzo 1980: con Sorrisi da Woody Allen
Qui sono tutti d'accordo: l'apice dell'avventura dei Gatti è il viaggio a New York per incontrare Woody Allen. Non solo riescono a farsi fotografare con lui al Michael's Pub, dove Allen per anni, ha suonato ogni lunedì sera con il suo gruppo di dixieland, ma lo convincono a lavorare “per loro”. Ma come nacque l'occasione? Qui si torna al disaccordo.
La versione di Salerno: «L'avventura newyorkese partì un po' da me. Noi eravamo impazziti per i primi film di Woody Allen. Ricordo che “Il dittatore dello stato libero di Bananas” (1971) lo vedemmo a Torino e con noi c'era anche Abatantuono: non avevamo mai visto una comicità di questo genere, ed era proprio il nostro genere. Io avevo letto anche i libri di Allen e così m'informai presso la casa editrice per prendere i diritti per fare qualche testo. Dopo peripezie varie e un anno di telefonate, con una mia amica americana che parlava per noi, riuscimmo a imbastire l'incontro».

La versione di Calà: «Eravamo pazzi per Woody Allen, studiavamo a memoria i suoi film, e infatti l'umorismo ebraico newyorkese di cui parlava sempre Nini si riferiva a lui. Un giorno Umberto disse “Io gli scrivo!” e noi a prenderlo in giro… E lui a insistere… Oh, dopo 15 giorni non è arrivata una risposta? E si capiva che si erano informati su di noi! Ci hanno invitato a New York e noi non ci credevamo. Woody Allen accettò di personalizzare su di noi un suo atto unico. Ce lo concesse per un dollaro! L'idea era di portare lo spettacolo al Festival dei Due Mondi di Spoleto, ma saltò tutto perché rifiutò una clausola del contratto che prevedeva la sua presenza alla prima. Aveva già deciso di venire, ma questa cosa lo fece arrabbiare e liquidò il tutto con una battuta fenomenale: “Shakespeare non è andato a Verona per la prima di «Giulietta e Romeo»”. Alla fine abbiamo portato a casa solo una bella copertina di Sorrisi, che comunque per noi è stato un traguardo».

La versione di Smaila: «È tutto vero: Woody Allen s'impegnò a finire per noi un atto unico che aveva lasciato in sospeso. Ce lo confermò Jack Rollins, il suo produttore e manager storico. Poi di quello spettacolo a Spoleto non se ne fece più nulla, ma Allen aveva già dato indicazioni precise sul suo arrivo “segreto”: “Ricordatevi che io mi chiamo Konigsberg e non Woody Allen, e per la prenotazione darò il mio nome vero”. Ma gli altri hanno raccontato la serata al Michael's Pub? Quella serata c'erano anche Oriana Fallaci e Isabella Rossellini in un tavolo di fianco al nostro. Durante l'intervallo il povero Allen stava schiacciato tra di loro. La Fallaci continuava a parlargli, ma si vedeva che lui, piccolino magrolino gracilino, era un po' frastornato da queste due signore. A un certo punto la Fallaci arrivò al nostro tavolo e chiese proprio a me che cosa ne pensassi di lui come musicista; mentre stavo dicendo un “Beh, a me sembra bravo”, arrivò un buttafuori, la sollevò di peso e la riportò al suo tavolo. La serata fu funestata da un freddo cane e alla fine andammo in un retro e facemmo quelle foto di cui c'è testimonianza sulla storica copertina di “Tv Sorrisi e Canzoni”. Quando gli chiedemmo di fare anche una foto col Telegatto che gli portammo in regalo, lui disse “Lo prendo volentieri e lo metterò sul caminetto vicino agli Oscar, a casa dei miei genitori a Brooklin, ma la foto non posso farvela perché non vorrei che s'arrabbiassero quelli dell'Oscar, visto che non ho mai fatto una foto con l'Oscar”. Insomma, prese il Telegatto e se lo portò a casa».

1981: Jerry esce dal gruppo
Nell'81 il giocattolo si rompe. Jerry Calà se ne va per seguire la sua carriera cinematografica… Imputato Calà, si discolpi… «Mi è dispiaciuto tanto, ma non sono il cattivo della storia! C'erano già delle discrepanze: io e Umberto, per esempio, volevamo fare cose più popolari, seguire l'onda del successo; Nini e Franco volevano più impegno… Insomma, dopo uno spettacolo facemmo una riunione in un hotel di Rimini e decidemmo di darci un anno per pensare. Quando ci siamo rivisti dissi che per me andava bene finirla lì, perché avevo già un contratto per due film. Ci rimasero un po' male e così continuai ad alternare set e serate, ammazzandomi di fatica. Mentre stavo girando “Bomber” con Bud Spencer, una mattina alle quattro me lo trovai a braccia conserte alla sua maniera nella hall del nostro albergo. Aspettava che tornassi da una serata e, scuotendo la testa, mi disse: “Jerry, sei distrutto: devi scegliere, anche se è doloroso”. Umberto fu quello che se la prese di più: eravamo sempre stati uniti…».

Smaila conferma: «Sì, ho sofferto molto. Con la fatica che avevo fatto per mettere insieme tutta questa banda, doveva succedere questo? Da vecchio trombone, vorrei assumermi la responsabilità di avere riunito i Gatti: telefonai agli altri due e dissi “Dai, rimettiamo in piedi il gruppo a tre”. All'inizio fu molto dura, anche se avevamo buone critiche».

Salerno rievoca: «Dopo abbiamo fatto anche cose molto belle. “Quo Vadiz” su Rete 4, per esempio, era folle ed esilarante, e anche il quiz “Help” su Italia 1 fu strepitoso: Umberto conduceva in studio con Fabrizia Carminati e io e Franco andavamo in giro per l'Italia a convincere le persone per strada a fare cose pazzesche in cambio di un po' di soldi».

Le cose, poi, si sono rimesse a posto. Prima dietro le quinte, poi anche in scena, con la forza che hanno amici che ancora sanno divertirsi insieme. Jerry Calà ricorda un progetto recente: «Quando si sono quietate le acque abbiamo poi sempre collaborato. Nel 2019 ho messo su il progetto di un film, “Odissea nell'ospizio”, che non nasceva solo per il film in sé, ma perché così avremmo potuto stare insieme per un paio di mesi, e questa ritrovata convivenza è stata davvero la cosa più straordinaria, perché ci siamo ammazzati dal ridere».

Gennaio 2021: tra oggi e domani
Altra cosa su cui i Gatti concordano senza esitazione: in realtà non si sono mai lasciati, e per questo non hanno mai fatto fatica a riunirsi. «I meccanismi sono perfetti», spiega Oppini, «perché abbiamo una base comune troppo forte. Per anni, da studenti, ci siamo trovati ogni domenica pomeriggio a dire stupidaggini a raffica tra di noi».
Basta poco a ciascuno di loro per descrivere gli altri. Non c'è bisogno di dire chi abbia detto che cosa, ma questi sono i loro quattro “autoritratti”: «Una famiglia», «Amici diventati fratelli», «Insostituibili», «Gli amici che prenderebbero una slitta per venire a salvarmi se mi trovassi in una tempesta di neve»…

E in attesa di tornare a teatro, c'è anche un grande evento in preparazione. «Lo sto preparando io!», specifica fieramente Calà. «Uno spettacolo per celebrare i miei 70 anni di età e 50 di carriera: “50 anni di libidine. Jerry Calà and Friends all'Arena di Verona”. Spero che si possa fare il 28 giugno, il mio compleanno, e naturalmente, tra tantissimi amici, la parte centrale del mio show sarà riservata ai Gatti di Vicolo Miracoli. Sarà indimenticabile».

Seguici