I The Jackal: «Mamma, hai capito che lavoro facciamo?»

Sono star di Internet ma ora vanno alla conquista della tv, da "Don Matteo" a Massimo Ranieri, da Sanremo a Netflix. Questi ragazzi napoletani hanno trasformato la passione per i video divertenti in una professione. E qui ci raccontano la loro vera storia

I The Jackal: da sinistra, Ciro Priello, Fabio Balsamo, Aurora Leone, Simone Ruzzo, Claudia Napolitano e Gianluca Colucci in arte Fru
31 Dicembre 2020 alle 08:51

di Ciro Priello (di The Jackal)

«Ciro, vuoi sapere una cosa? La vicina di casa mi ha detto che ti ha visto nel nuovo programma di Massimo Ranieri: “Qui e adesso”, quello su Raitre. Io le ho risposto che sicuramente era uno che ti somigliava».

Mi presento: sono Ciro Priello di The Jackal. E la frase che avete appena letto è l’esordio di una conversazione-tipo con mia madre.

«Mamma: certo che ero io. C’era pure Fabio. Quello con la barba».
«Ma veramente? E che ne sapevo io, scusa. Tu non mi dici mai niente. Io pensavo facessi i filmini con il cellulare, quelli che poi mettete sul computer».

Lo confesso: spiegare a mia madre cosa faccio è forse la parte più difficile di questo lavoro. Facile quando dici “medico” o “avvocato”. Un po’ meno quando devi parlare di cosa si occupa una società di videoproduzioni nell’era del digitale. Su una cosa, però, mia madre non ha torto: i filmini. Qui a Napoli chiamiamo così quei video amatoriali girati per gioco, fra un gruppo di amici o durante le vacanze. Ecco, è cominciato tutto così. Prima dei set professionali, della tv, di Sanremo, di “X Factor”; prima che nel 2011 creassimo una società col gruppo Ciaopeople.

Prima di tutto questo, c’erano i banchi di una scuola media a Melito, profonda provincia nord di Napoli.
«Mamma, te li ricordi Simone e Francesco?».
«Ciro, guarda che mica sono scema! Siete cresciuti assieme».

Ecco. Allora ti ricordi anche del fatto che Francesco stava sempre con una telecamera in mano. E che già all’epoca ci divertivamo a realizzare le parodie dei nostri film preferiti. Crescendo, ci siamo chiesti: perché non dare un nome a quello che facciamo? The Jackal nasce così: con l’idea, forse folle, che un gruppo di amici possa diventare anche un gruppo di colleghi; che i film che “sciacallavamo” per parodiarli (da qui il nome) ci portassero a creare un lavoro.

«Sì, ma quale lavoro? C’è qualcuno che vi paga per fare i video su Internet?».
Facciamo così: pensa a Internet come a un’enorme tv, dove i canali e i programmi sono potenzialmente infiniti. E dove proprio per questo motivo, devi guadagnarti uno spazio. Nel nostro caso: realizzando video che siano seguiti da un numero sempre più grande di persone. Oggi abbiamo quasi un milione di iscritti su YouTube, due milioni di fan su Facebook e più di un milione di follower su Instagram. Quella che in tv chiameresti “audience”. Tornando all’esempio di prima: per quale motivo un programma televisivo cerca questa audience?

«Ciro, ma è un’interrogazione? Se mi vuoi dire le cose, dimmele a basta».
Ok, d’accordo. È che quando posso spiegare io una cosa a mia mamma, e non viceversa, mi esalto. Comunque: cerca di fare audience per attirare investimenti pubblicitari. Noi realizziamo, principalmente, contenuti web per aziende e prodotti, costruendoci delle storie intorno. Abbiamo girato un film uscito al cinema, “Addio fottuti musi verdi”; ora stiamo realizzando una serie per Netflix che sarà trasmessa in Italia e in altri Paesi del mondo di cui non riesco nemmeno a pronunciare il nome. Insomma...

«Quindi non è solamente un gioco che fai con gli amici tuoi?».
Diciamo che quel gioco diventa un lavoro quando ti rendi conto che promuovere un marchio girando un video, farlo assieme a persone che condividono la tua voglia di raccontare storie, significa strutturare una professione. Infatti adesso ci sono anche altre persone che lavorano con noi. Siamo in tanti: Alfredo, che hai conosciuto già ai tempi del liceo; Fabio, Fru, Claudia, Aurora…

«Fermati! Quanti siete diventati?».
Parecchi. Quelli che vedi davanti alla telecamera non sono i soli: ci sono gli autori, i tecnici, il personale amministrativo. E poi i project manager, gli account, i… ok, non guardarmi con quella faccia! Una società di videoproduzioni è un’impresa a tutti gli effetti. Senza il lavoro di tutte queste persone non saremmo mai arrivati a realizzare “Operazione Sanremo”, quando facemmo dire “gnigni” a Pierfrancesco Favino in diretta mondiale, a girare un film o le campagne sociali per Action Aid. Il fatto che ci divertiamo a farlo non significa che non sia un lavoro. Anzi.

Sono fiero di me: una spiegazione impeccabile. Guardo mia mamma negli occhi, con espressione soddisfatta stampata sul volto. Mia mamma annuisce, mi guarda a sua volta e mi domanda: «Quindi alla vicina di casa, se mi chiede che lavoro fai, che le devo rispondere?».

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