Il monologo di Rula Jebreal a Sanremo 2020

Ecco cos'ha detto la giornalista nel corso del suo toccante discorso contro la violenza sulle donne al 70esimo Festival di Sanremo

Amadeus e Rula Jebreal
5 Febbraio 2020 alle 01:04

Ecco cos'ha detto Rula Jebreal nel corso del suo toccante discorso contro la violenza sulle donne al 70esimo Festival di Sanremo.

«Lei aveva la biancheria intima quella sera?»
«Si ricorda di aver cercato su Internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?»
«Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?»
«Se le donne non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono».

Queste sono solo alcune delle frasi usate e domande rivolte alle vittime di violenze sessuali nelle aule dei tribunali. Domande insinuanti che sottolineano una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti. Non lo siamo perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, perché siamo troppo belle, o perfino troppo brutte, troppo disinibite e ce la siamo voluta.

Ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie dai turbamenti che incontrerai per tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, perché sei un essere speciale e io avrò cura di te.

Sono cresciuta in un orfanotrofio insieme a centinaia di bambini. Noi bambine tutte le sere, una per volta, raccontavamo una storia: le nostre storie. Erano favole tristi, non favole di mamme che conciliano il sonno, ma di mamme sfortunate che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri, spesso stuprate, torturate e uccise. Ogni sera prima di dormire celebravamo tutte insieme quelle parole di dolore. Io amo le parole, ho imparato venendo da luoghi di guerra a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore, anche e soprattutto per le donne. Poi ci sono i numeri. In Italia, in questo Paese magnifico che mi ha accolto i numeri sono spietati. Negli ultimi tre anni sono 3 miloni e 150 mila le donne che hanno subito violenze sessuali sul posto di lavoro. Negli ultimi due anni in media 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze: in media una ogni 15 minuti. Ogni tre giorni è stata uccisa una donna, sei donne sono state uccise solo la scorsa settimana, nell'80% dei casi il carnefice non ha bisogno di passare dalla porta, per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere in cucina.

Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno, giuro che lo farò e oltre l'azzurro della tenda nell'azzurro io volerò. Quando la donna cannone d'oro e d'argento diventerà, senza passare dalla stazione l'ultimo treno prenderà.

Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha perso il suo ultimo treno quando avevo cinque anni. Si è suicidata, dandosi fuoco, ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire, ad annerirle i vestiti quando era solo un'adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato luogo della sua tortura. Perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni da un uomo, poi da un sistema che l'ha costretta al silenzio che non le ha consentito di denunciare, perché le ferite sanguinano molto di più quando non si è creduti. L'uomo che l'ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei mentre le fiamme divoravano il suo corpo, aveva le chiavi di casa.

Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra. Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra. Sally ha patito troppo. Sally ha già visto che cosa ti può crollare addosso. Sally è già stata punita per ogni sua distrazione o debolezza, per ogni candida carezza, data per non sentire l'amarezza.

Quante volte noi donne siamo state Sally. Mentre vi parlo c'è una donna che cammina in mezzo alla strada, schiacciata dal senso di colpa, senza avere nessuna colpa. Voi non avete nessuna colpa. Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, l'anno in cui sono nata io, «Cerco salvezza musica, devo staro calma, mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma» recitava nel suo potente monologo "Lo stupro" in cui ripercorreva quel fatto drammatico.

Le canzoni che ho citato stasera sono tutte scritte da uomini e dunque vedete è possibile trovare le parole giuste, è possibile raccontare l'amore, il rispetto e l'affetto e la cura. E questo è il momento in cui quelle parole diventino realtà, non siano solo cantate, ma finalmente vissute ogni giorno. Per farlo dobbiamo lottare, urlare da ogni palco anche quando che ci diranno che non è opportuno. Io sono diventa la donna che sono per mia madre e grazie a mia figlia Miral che è seduta in mezzo a voi. Lo devo a loro, lo dobbiamo a tutte noi, lo dobbiamo a una collega, a una madre, a una sorella, una vicina, lo dobbiamo anche agli uomini per bene, all'idea stessa di civiltà, di uguaglianza, all'idea più grande di tuttti: quella di libertà.

Adesso parlo agli uomini. Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere: madri di 10 figlie o di nessuno, casalinghe o in carriera. Siate i nostri complici, nostri compagni, indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede «Lei cos'ha fatto per meritare quello che le è accaduto?».

C'è un tempo bellissimo, tutto sudato, una stagione ribelle, l'istante in cui scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle.
È un giorno che tutta la gente si tende la mano è il medesimo istante per tutti che sarà benedetto, io credo, da molto lontano.

Sono stata scelta per celebrare la musica e per celebrare le donne, ma sono qui a parlare delle cose di cui è davvero necessario parlare. Certo, ho messo il migliore vestito e in fondo il senso di tutto ciò è nelle parole giuste e nelle domande giuste. Domani chiedetevi pure come erano vestite le conduttrici di Sanremo, com'era vestita la Jebreal, ma che non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata com'era vestita lei quella notte. Mia madre Nadia ha avuto paura di quella domanda e non ce l'ha fatta, e così tante donne. Noi non vogliamo più avere paura, non vogliamo più essere vittime, orfane, un accessorio, una quota. Io lo devo a mia madre Nadia, lo dobbiamo alle nostre madri e lo dobbiamo a tutte noi. Lo devo anche a me stessa, lo dobbiamo alle nostre figlie e a quelle bambine, qui e là. Nessuno può permettersi di toglierci il diritto di addormentarci con una favola. Noi donne vogliamo essere libere, nello spazio e nel tempo, vogliamo essere silenzi, rumore. Vogliamo essere proprio questo: musica.

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