Matteo, spesso si confronta la Formula E con la Formula 1.
«Il paragone è ingeneroso perché parliamo di due mondi lontani. Sono monoposto che hanno caratteristiche e contenuti tecnici differenti e seguono filosofie distanti».
Possiamo dare qualche dato per le vetture elettriche?
«Parliamo di monoposto con telaio in fibra di carbonio che pesano minimo 900 kg. Il motore in qualifica eroga un massimo di 250 kW (circa 340 CV, ndr) che scendono a 200 kW in gara (272 CV). Da 0 a 100 km/h accelerano in 2,8 secondi e raggiungono velocità di punta di 280 km/h».
Al di là delle prestazioni sono un laboratorio viaggiante.
«Hanno una tecnologia molto raffinata e buona parte di quella sviluppata proprio in Formula E viene trapiantata sulle auto elettriche di serie, sia per le prestazioni, sia per la gestione dei consumi».
Quindi la differenza non la fa solo il pilota?
«Non solo. Tanto lavoro dei costruttori riguarda lo sviluppo del software di gestione del motore e della batteria. Se la potenza massima è uguale per tutti, quanto più riesci ad averla e a rigenerarla in gara è merito dell’abilità sia dei piloti che dei team».
Software sofisticati, ma c’è anche altro.
«Certamente, i costruttori si occupano anche di realizzare le unità di potenza, il cambio, le sospensioni posteriori. E non è un caso che siano tante le Case presenti: quest’anno Audi, BMW, DS, Mahindra, Mercedes, Nissan, Jaguar e Porsche. Una competizione nella… competizione, tutta da seguire in televisione».