La magnifica storia della prima regista tv, Alda Grimaldi

Detta Dada, 103 anni, ha iniziato con le trasmissioni sperimentali. Qui racconta la sua vita

Alda Grimaldi è nata a Sampierdarena (Genova) il 6 ottobre 1919. Qui in una foto degli anni 60, al lavoro in tv come regista
20 Ottobre 2022 alle 08:17

«Ripenso spesso all’autunno del 1943. Io dovevo tornare a Torino per prendere vestiti e cappotti pesanti dal mio guardaroba. Ma ci furono i bombardamenti aerei sulla città e la casa dei miei genitori bruciò. Così Clara Calamai, che sul set di “Ossessione” di Luchino Visconti era diventata una mia grande amica, mi regalò il suo paltò. E quel paltò l’ho indossato per tutta la vita».

Questo è il primo ricordo che ci affida la signora Alda “Dada” Grimaldi, 103 anni compiuti il 6 ottobre, una donna straordinaria che ha fatto la storia della televisione italiana: è stata la prima regista della Rai, firmando tanti programmi che hanno lasciato il segno, come “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero”, un cult della tv per bambini degli Anni 60. Alda ha una mente brillante e una voce chiara, dolcissima: dalla sua casa torinese con vista sul Castello del Valentino, raggiunge tutti con il telefono fisso. Non possiede cellulare, non ha il computer e ha ricevuto la nostra richiesta di intervista per posta: non elettronica, beninteso. Le abbiamo spedito un foglio imbustato con una raccomandata. E lei ha subito accettato, perché a Sorrisi ci tiene: «Lo leggo tutte le settimane!» dice. «Ho ritagliato e appeso sul frigo le pagine dei vostri “Consigli”: sono utilissime».

Eccoci, dunque, ad ascoltare il racconto della sua incredibile carriera (riassunta nel bel documentario “Dada Grimaldi, la prima regista tv”, su RaiPlay). E abbiamo raccolto anche le confidenze romantiche della signora Dada, genovese d’origine ma dall’aplomb torinese, sui temi privati, come il suo matrimonio con il medico torinese Giovanni Rubino (1918-1997).

Ma iniziamo da quel paltò di Clara Calamai. Che ci faceva sul set di “Ossessione”?
«Ho seguito la sceneggiatura con Alberto Moravia e ho battuto io a macchina i dialoghi del film. Sul set a volte mi ponevano domande a cui non sapevo rispondere: ero ancora una ragazzotta di 23 anni».

Aveva già lavorato prima?
«Sa, io da bambina sognavo di fare l’attrice. Ho iniziato a recitare nel 1937, a teatro. Poi sono arrivate le particine in un film di Vittorio De Sica, “Maddalena... zero in condotta” e “La principessa del sogno”, diretto da Roberto Savarese e Maria Teresa Ricci. Il salto fu quando ottenni la borsa di studio per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia a Roma. I miei compagni di corso erano Giuseppe De Santis, Pietro Germi, Michelangelo Antonioni...».

Registi immensi! Siete diventati amici in classe durante le lezioni?
«Peppe (De Santis, ndr) mi diede il soprannome “Dada”, che mi è rimasto. Ho anche doppiato un’attrice nel suo film forse più famoso, “Riso amaro”, e ho guadagnato bene perché pagavano doppio. Anche di Germi ero molto amica. Antonioni era più musone. E si è visto poi nei film che ha fatto: bellissimi, per carità, ma non certo gioiosi (ride)».

Come è approdata alla tv?
«Avevo firmato il contratto per fare un film con Luigi Zampa ed ero andata a Napoli con i miei libretti da studiare, quando mi arrivò la telefonata di Sergio Pugliese dal suo ufficio di via Arsenale che mi disse: “Grimaldi, venga: la televisione la facciamo!”. Lui, che sarebbe diventato il primo direttore della tv di Stato, sciolse il mio contratto senza penali e io tornai a Torino per le prime trasmissioni sperimentali».

Il suo primo incarico?
«Ho iniziato come annunciatrice, nel 1949. Alla regia sono arrivata grazie a quello che avevo imparato al Csc, in un momento d’oro: quando fare tv era come fare cinema. Io spostavo anche mobili, quando c’era da spostarli. Una volta, in un programma con Alberto Sordi mi portai da casa una coperta per fare un fondale, ma era troppo corta e quindi lo inquadrai in piano americano, senza i piedi».

Per una donna lavorare in un mondo di uomini era semplice?
«Il maschilismo c’è sempre stato ed è duro a morire, ma lavorare come regista per me era una cosa semplicissima perché avevo studiato, avevo le capacità. Avevo imparato come ci si comporta e che non era il caso di fare la civetta. I miei colleghi mi rispettavano perché apprezzavano ciò che facevo. Mi consideravano, e lo ero, una di loro».

Ha spaziato tra il varietà e gli sceneggiati, ha fatto la regia di documentari e balletti. Ha creato i primi show di cucina con Ave Ninchi. Ed è stata soprattutto la “mamma” della tv per ragazzi della Rai. A quali programmi è più legata?
«Mi è piaciuto moltissimo girare storie come il “Diario di Anna Frank” o “Il Milione” di Marco Polo, o anche la vita di Gioachino Rossini. Ricordo con piacere gli sceneggiati “Corri, Jimmy, corri...” e “Le avventure della squadra di stoppa”, e il personaggio di Scaramacai (il pagliaccio interpretato da Pinuccia Nava protagonista di tanti Caroselli, ndr). E poi i film con Macario. Ho visto esordire in un balletto tv Carla Fracci. Una delle cose più interessanti è stata “Orizzonte”, quando a metà degli Anni 50 arrivarono in Rai i “corsari”: Furio Colombo e Umberto Eco, che era un uomo spiritosissimo».

E quando si passò dalla tv in bianco e nero al colore? Intuì subito la portata del cambiamento?
«Io c’ero! Realizzammo il primo spettacolo a colori con gli attori del Bagaglino. Ma lì per lì eravamo troppo impegnati a lavorare, non veniva da pensare: “Caspita, stiamo facendo la storia!”. E in fondo è giusto così».

Tra gli altri, ha lavorato anche con un giovane Pippo Baudo nel gioco a premi per ragazzi “Telecruciverba”. Vi siete più incrociati da allora?
«Era un ragazzo, suonava il piano. Non credo che si ricordi di me. Non ho sentito più nessuno negli anni. Sa, allora non c’era il tempo di familiarizzare: le persone delle troupe cambiavano di programma in programma».

Mai un litigio? Con nessuno?
«Non vale la pena di alzare la voce. Al limite alzi le spalle e ti dici che con certe persone è meglio non averci più a che fare. Io ho cercato di andare d’accordo con tutti, con educazione».

“Giovanna, la nonna del Corsaro Nero” è un programma che ha fatto epoca. Era divertente realizzarlo?
«Molto. Anna Campori nei panni di Giovanna e Pietro De Vico in quelli del nostromo Nicolino erano compagni di scena e nella vita. Si amavano e amavano il lavoro di attori. Pietro mi faceva molto ridere, aveva imparato tutto da Eduardo De Filippo: in “Natale in casa Cupiello” era lui Nennillo, quello che diceva: “Nun me piace ‘o presepio!”».

L’amore per la tv le ha tolto qualcosa nella sua vita privata?
«Ho avuto la fortuna di incontrare un solo grande amore nella vita, il primo e l’unico: mio marito. Me lo presentò un amico che me lo portò in camerino agli studi Fert di Torino. Era così colto, intelligente (si commuove, ndr)».

Come vi siete innamorati?
«Lui mi guardò e mi disse: “Signorina, lei crede nell’amore a prima vista?”. E io gli risposi: “Sì”. Lui era di origini siciliane, orfano di padre. Sua mamma lo chiamava “Ciccetto” perché il suo nome completo era Giovanni Maria Francesco e in Sicilia il diminutivo di Francesco è Ciccino... Ma io dissi a mia suocera: “Ormai è grande, non possiamo chiamarlo almeno Ciccio?”. E Ciccio fu. Entrambi figli unici, ci bastavamo l’uno per l’altra e abbiamo deciso di non avere bambini, perché eravamo sempre in giro per lavoro: è stata una nostra libera scelta. Un giorno Ciccio me lo chiese: “Sei sicura?”. Sono stata felice 50 anni assieme a lui».

Gli anni più belli?
«Abbiamo avuto una casa a Filicudi, alle isole Eolie, tra il 1965 e il 1975. Ci abitavamo solo noi, in collina, e un inglese. Ora so che ci arrivano in elicottero, in yacht. Noi non avevamo né acqua corrente, né elettricità, ma era il nostro nido d’amore. Abbiamo convinto anche l’editore Giulio Einaudi e la moglie Renata a comprare casa lì. Ma poi la nostra l’abbiamo venduta. Da giovani si pensa: “In pensione andrò a vivere al mare”. Invece, ve lo assicuro, da vecchi si vive meglio in città!».

Frequentava spesso gli Einaudi?
«Sì. Con Ciccio eravamo spesso ospiti nella loro villa a Dogliani (CN), dove avevamo un salottino e il bagno privato. E ancora oggi Giuliana Einaudi, figlia di Giulio, è una mia buona amica: viene a trovarmi a casa, mi porta la spesa».

Quindi avrà conosciuto tanti grandi scrittori.
«Cesare Pavese veniva a prendere il caffè da noi. Con Maria Pia, la moglie di Carlo Fruttero, abbiamo fatto un viaggio a Parigi, e la sera ordinavamo da bere nei bistrot come il commissario Maigret. Ho girato il mondo, in orizzontale e in verticale. Da quando c’è la pandemia, però, non esco più. Cammino qui in casa. Faccio le pulizie da sola tranne due ore alle settimana, in cui mi aiuta la domestica. Cucino e mangio poco: carne, pesce o formaggio a pranzo, yogurt o frutta a merenda e pasta o riso la sera, così dormo bene. Per passare il tempo leggo, leggo, leggo. I libri sono vita! Prima andavo in biblioteca ogni giorno, adesso le bibliotecarie li lasciano sullo zerbino e i vicini, gentilmente, poi li restituiscono».

E la tv di oggi la guarda, le piace?
«Non troppo. La accendo al mattino come sottofondo per le faccende. E la sera guardo Lilli Gruber, perché ha ospiti interessanti. Poi guardo qualche documentario sulla natura e gli animali. Il resto è troppo diverso dalla tv dei miei tempi: noi avevamo solo tre camere, le muovevamo a braccio, e nel corso della giornata almeno una si rompeva. Oggi ne hanno otto, e le azionano a distanza: è un altro mondo».

A una ragazzina che volesse diventare regista tv, cosa consiglierebbe?
«Di avere costanza, umiltà e curiosità. Di leggere il più possibile: giornali, libri, fumetti. E ascoltare tanto, perché tutti hanno qualcosa da insegnare».

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