Ludovico Peregrini, una vita da «Signor No»

Intervista integrale al mitico giudice di «Rischiatutto», che sta per tornare in servizio al fianco di Fabio Fazio

Ludovico Peregrini  Credit: © Carlos Folgoso / Massimo Sestini
15 Gennaio 2016 alle 15:52

La leggendaria Biblioteca di Alessandria è una cabina telefonica rispetto all’appartamento milanese di Ludovico Peregrini, 72 anni, comasco solo di nascita, meglio noto come il «Signor no» di quizzarola memoria. Il severo ma garbato giudice, indiscutibile punto di riferimento di Mike Bongiorno, sarà presto ripescato da Fabio Fazio per celebrare il ritorno del «Rischiatutto».

«Qualcuno per strada mi riconosce ancora» dice. «E adesso forse tornerò in auge». Sposato, due figlie grandi residenti a Parigi, vive circondato da vecchi volumi, pezzi d’arte (sul tavolo del soggiorno c’è «L’accoglienza», ceramica di Giò Ponti) e pochissimi memorabilia dei suoi quasi 50 anni di tv.

Peregrini, non molti sanno che lei, uomo ombra di Mike, fu scoperto in realtà da Pippo Baudo…
«Mi ero appena laureato in Lettere alla Cattolica, a Milano. Guido Clericetti, funzionario e autore Rai, mi chiamò come ragazzo di bottega a “Settevoci”. Baudo mi ha insegnato il mestiere. Siamo rimasti amici e fui testimone alle sue prime nozze, con Angela Lippi».

Ma subito dopo la rapì Bongiorno.
«Sì, il “Rischiatutto” si spostò subito da Roma a Milano, e un dirigente fece il mio nome a Mike, che aveva bisogno di un autore che affiancasse Paolo Limiti. Poi Limiti se ne andò per divergenze caratteriali con Bongiorno, e rimasi da solo».

È stato difficile lavorare con un mito così ingombrante, come Mike?
«Dovevi essere al top, ma lui dava parecchia fiducia ai suoi collaboratori, una volta che se l’erano conquistata. Le domande che preparavo le vedeva durante le prove, mai prima. Una cosa galvanizzante e rassicurante. Ma eravamo totalmente diversi».

In che senso?
«Lui amava lo sport, io sedentario; io leggevo, lui guardava la tv; io animale diurno, lui notturno. Stava sveglio fino alle quattro di notte per guardare gli show americani. Credo di non averlo mai visto al lavoro prima delle 14. Una volta mi chiamò alle 10 di mattina e pensai a una tragedia. Doveva andare dal dentista».

Litigavate spesso?
«Quasi mai, solo pochi contrasti. Ma c’era il trucco: mai prenderlo di petto, era una partita persa. Dovevi aspettare dopo la puntata: amava molto cenare al ristorante. Dopo una bella fiorentina e il gelato alla crema, si accendeva il sigaro e si rilassava. Lì diventava malleabile, e a volte riuscivi a fargli cambiare idea».

Anche perché in studio c’era il pubblico e le altre maestranze. Forse prevaleva l’orgoglio…
«Esatto».

Però con le collaboratrici in studio litigava: con Paola Barale, per esempio, ci furono grandi scontri.
«Lì era più agguerrito, sì. L’ho detto, bisognava essere al top».

Lei dove si muoveva con ampie deleghe?
«Avevo campo libero sui casting dei concorrenti, almeno nella prima scrematura. Poi nessuno di loro andava in onda senza la sua approvazione, ovvio».

Come doveva essere il concorrente di Mike?
«Voleva personaggi con una storia alle spalle. Oppure strani, eccentrici, simpatici, con una grossa cultura su un argomento, come Inardi. Dovevano “agganciare” il pubblico».

Il suo nome d’arte, «Signor no», lo inventò lui?
«No, fu Notarnicola, un giornalista de La stampa di Torino. In una critica mi appioppò quel nomignolo, che poi Mike lanciò».

Per lei fu inventata anche la definizione «Giudice di gara»…
«Successe dopo “Lascia o raddoppia?”, il primo quiz di italiano. C’era un notaio che diventò famoso e si fece parecchi clienti. L’Ordine dei Notai vietò la loro partecipazione televisiva, e il “Giudice di gara” fu la figura di ripiego. Poi i notai in video sono tornati in auge».

Cos’altro ha inventato, Bongiorno?
«La parola “valletta”, nel ’62. Prima non esisteva. Si parlava solo genericamente di valletto. Lui coniò la versione femminile».

E lei, quante domande ha preparato nella sua carriera?
«Solo al “Milionario” di Scotti, 20 mila. Direi 100 mila in tutto, cercando di non ripetermi, se non involontariamente».

È un lavoro difficile?
«No. Il difficile è non scendere di livello, soprattutto in quelle ripetitive. Devono essere curiose, far ragionare. Non devono essere “grigie”, come diciamo noi autori in gergo».

È cambiato, negli anni, il modo di prepararle?
«Quelle di cultura generale sono pressoché morte. Se parli di Dante, Manzoni o Garibaldi per buona parte del pubblico è come se si parlasse la lingua di un altro pianeta. Oggi si punta più su argomenti legati alla musica, al cinema, ai media. Prima il pubblico a casa era passivo. Oggi attivo, le domande sono fatte per chi guarda, come quelle della “Ghigliottina” a “L’Eredità”. Ci vuole intuito e ragionamento».

Per Mike c’erano argomenti proibiti?
«Solo l’antico Egitto. Per convinzioni sue riteneva che portasse sfortuna, quindi non ho mai potuto lavorarci su. Aveva un’altra scaramanzia: allo studio Fiera 2 di Milano, il nostro studio ufficiale, entrava sempre solo da una scomodissima scala in ferro di serivizio».

Mai avuto intoppi in trasmissione?
«Una volta un concorrente si staccò il microfono, lo lasciò in camerino, e scappò dalla paura prima di andare in onda. Per fortuna avevamo pronto un sostituto. C’è sempre un sostituto pronto».

Lei dice davvero «No» a tutto? È così austero?
«Credo di essere una persona in realtà conciliante e tollerante. Il ruolo ha creato questa fama. Del resto erano in ballo molti soldi e dovevo essere garante di tutti».

Ride ogni tanto? Che cosa la fa ridere?
«Gli svarioni culturali. E l’umorismo dell’assurdo di Nino Frassica. Qualsiasi cosa dica mi fa ridere».

In tv guarda qualcosa?
«Almeno una puntata di tutto. E posso anche seguire cose insospettabili come “L’isola dei famosi”. Che in fondo è un programma fatto di niente: 10 persone che litigano cercando cibo. Ma è molto importante che vengono costruiti questi programmi. Poi la De Filippi, che trovo grandissima».

Proviamo a essere scientifici. Dia la percentuale di spontaneità e quella di mestiere, di furbizia, alle celebri gaffes di Mike.
«Secondo me erano spontanee all’80%, e studiate al 20%. Credo le facesse con naturalezza, per poi ricamarci un po’ su quando vedeva che funzionavano».

Quali difetti aveva?
«Era un ritardatario cronico, naturale. La cosa ci creò grossi problemi a volte per appuntamenti con alti dirigenti di società. Così, per non fargli fare brutta figura, imparai a mentirgli: se la riunione era alle 16, gli dicevo che era alle 15, per poi vederlo arrivare comunque alle 16.15».

E per registrare?
«Riti anche lì. Facevamo le prove alle 18.30, poi tornava a casa a sistemarsi perché si registrava alle 20.40. Io ogni giovedì passavo a prenderlo alle 20.20, in zona Sempione, col motore acceso come per una rapina, e portarlo in studio. Ovviamente non arrivava mai alle 20.20».

Lei tornerà nel «Rischiatutto» di Fabio Fazio sulla Rai. Testimone storico. Come sarà il programma?
«Molto rispettoso dell’originale, con l’aggiunta dell’ironia e della leggerezza di Fabio. Un cult della tv tradotto con la sensibilità di oggi. A me piacciono le simmetrie: l’idea di aver iniziato la mia carriera col “Rischiatutto” e chiuderla allo stesso modo, mi dà serenità».

Qualche altra chicca?
«Ci saranno in palio molti soldi, ma giustamente si farà fatica a vincerli. E si punterà sull’umanizzazione dei concorrenti, su domande che in qualche modo si intrecceranno spesso con la loro storia personale».

Ha firmato decine di quiz. Di quali va più fiero?
«“Test”, un gioco psicologico che fu il debutto di Emilio Fede in versione leggera, e poi la serie di “Bravo bravissimo” con Mike, antesignana di tutti i talent di bambini della tv di oggi».

Col passaggio da Rai a Mediaset sia lei che Mike avete guadagnato parecchio…
«Sì, ma credo che il motore della sua decisione fossero al 50% i soldi e al 50% la sfida, la scommessa di lanciare una rete».

Lei che cosa si è comprato con i primi guadagni seri?
«Mia moglie è francese. Una casa al mare in Bretagna. E poi un po’ di libri antichi, la nostra passione».

Fosse costretto a salvare un volto solo tra i padri della tv, tra Baudo, che l’ha scoperta, e Mike, al quale deve tutto il resto, chi sceglie?
«Le rispondo così. Mike aveva mille trofei e Telegatti, ma il premio del quale andava più fiero era una targa che gli diede il consorzio dei produttori di televisori, con la scritta: “A Mike Bongiorno, per aver venduto la televisione agli italiani”. Nel ’55 gli rinnovavano il contratto mensilmente a seconda di quanti televisori aveva fatto vendere. Il funzionario Rai chiamava, gli dicevano: “Altri 30.000”. E lui: “Rinnoviamo il contratto a Mike”».

È vero che una volta s’infuriò perché quelli di «Scherzi a parte», in montagna, gli avevano calato un orso sul tettuccio dell’auto?
«Sì, ma se la prese solo perché in auto c’era uno dei suoi figli piccoli, e il bambino si spaventò. Non ha mai firmato la liberatoria».

Aveva qualche amarezza?
«Negli ultimi anni, quella di essere stato messo un po’ in disparte, passato da Canale 5 a Retequattro».

E a lei, che cosa è mancato?
«Ho fatto persino Sanremo con Mike. Forse, avendo lavorato sempre in studio, immergermi tra il pubblico in un programma itinerante».

Quando si è sposato, non potendo dire «No», come ha risposto: «Non sono del tutto contrario»?
«Ero in Francia, ho detto “Oui”».

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