Il comico affianca Veronica Gentili a "Le Iene". Qui racconta gli esordi fin da quando era studente e si travestì da mummia
L'intervista con Max Angioni è fissata per le 11 del mattino ma faccio una mossa azzardata. Decido di chiamarlo un quarto d’ora prima. Il telefono squilla e dall’altra parte una voce dice: «Ah, buongiorno, come mai ha chiamato 15 minuti in anticipo? Mi dispiace, non posso. Sono impegnato. Mi telefoni alle 11 precise». La frase mi lascia di sasso.
Per un attimo temo di aver compromesso l’intervista, fino a che una risata calorosa echeggia dall’altra parte. «Ci ha creduto? Con i comici è difficile non cadere nei loro scherzi, sa?». Sono sollevata. In effetti l’unico errore che ho commesso è quello di finire nella trappola di un grande artista della risata. Max, lanciato da “Italia’s Got Talent” e consacrato da “Zelig” e dalla seconda stagione di “LOL - Chi ride è fuori”, ha rapidamente conquistato il cuore del pubblico nelle puntate di “Le Iene” anche con la sua capacità di improvvisazione e la sua ironia. La 27a edizione del programma, oltre all’ingresso in conduzione di Veronica Gentili, ha visto infatti il ritorno dell’artista originario di Como.
Max, quando ci siamo sentiti prima del debutto della nuova edizione era preoccupato. Ora è più rilassato?
«All’inizio, devo ammetterlo, ero abbastanza teso. Poi mi sono sciolto. Con Veronica Gentili, con cui lavoro per la prima volta, mi sono trovato subito a mio agio. Andare in onda in diretta genera sempre una certa agitazione, ma il debutto è andato bene e sono contento di come il pubblico ci sta seguendo. Sono anche felice di far parte di questo programma storico perché è molto movimentato: si passa da argomenti seri a contenuti frivoli (ma solo perché ci sono io...). La mia speranza è di continuare a dare alla serietà dei servizi un’alternativa altrettanto alta in termini di comicità e di intrattenimento in modo da equilibrare i momenti».
Il programma racconta spesso storie difficili. Ci sono filmati e temi che la turbano?
«Le scene di violenza mi risultano difficili da guardare. Mi riferisco a quei servizi in cui le persone si fanno male tra loro o usano la forza sui più deboli. E poi ci sono argomenti sensibili. Avete certamente presente la pubblicità dei supermercati Esselunga con protagonista la bambina figlia di separati. Ecco, in quel caso, con un tema così delicato, non riesco a essere subito pronto con la mia vena comica».
Ci racconta un aneddoto successo di recente?
«Ce n’è uno proprio di quest’anno. Dal momento che la puntata dura tanto, a un certo punto per scherzare mi rivolgo ai tecnici e urlo: “Studio libero” per dire che è finita la puntata, quando invece dobbiamo andare ancora in onda per un bel po’».
Lei si sente più un conduttore che fa anche ridere o un comico che conduce?
«Sicuramente in generale mi sento a disagio (ride). Diciamo che sono un comico che conduce, anche se l’aggettivo “comico” non mi piace. E vi spiego perché: se fai l’ingegnere, lavori in un ambito preciso e hai delle competenze tecniche incontestabili. Io posso fare comicità e non far ridere, per cui il mestiere non mi viene riconosciuto per forza da tutti. Tagliamo la testa al toro: sono un artigiano dello spettacolo».
È più iena o agnellino?
«Da ragazzino ero sicuramente più agnellino, anche se ogni tanto mi facevo coinvolgere dai compagni di scuola nelle loro bravate. In realtà facevamo degli scherzi, proprio come succede a “Le Iene” quando si prendono in giro, sempre in maniera bonaria, i vari personaggi. Però devo dire che il mio stile dominante, quando ero un ragazzino, era genere... “Linea Verde”, ovvero ero molto mansueto e un po’ bucolico».
Sempre parlando di scherzi, è stata sempre una sua, chiamiamola così, passione? Li faceva anche a scuola, per esempio?
«Devo premettere che non avevo la giusta malizia per portare a termine uno scherzo e la tentazione era sempre quella di non andare fino in fondo, ma tanti amici del liceo ancora oggi ricordano quando, durante un’ora di supplenza, mi feci trovare dal professore in cattedra e avvolto dalla carta igienica come una mummia. Non pensavo che arrivasse, ed ero pietrificato. In un’altra occasione, io e alcuni compagni entrammo in una classe vicina con addosso i caschi della moto e improvvisammo un combattimento stile “Cavalieri dello Zodiaco”».
Vabbè, allora ho capito: lei in classe era una peste.
«No. Anzi. Ero in realtà considerato un bravo ragazzo che ogni tanto faceva delle “mattate”. Avevo sempre un buon voto in condotta».
Però si capiva che la stoffa del comico ce l’aveva già.
«Penso di sì. Al secondo anno ho rischiato di brutto la bocciatura perché facevo distrarre con le mie battute e i miei racconti un compagno di banco: quello rideva veramente tanto! Poi lui chiese di allontanarsi da me e di cambiare posto. Non ce la faceva a reggere quel ritmo».
Se a scuola faceva scherzi, a casa invece? Lì era più tranquillo?
«Mah, la verità è che se c’era qualcosa che turbava la mia tranquillità mi arrabbiavo di brutto. Una sera l’ho fatta grossa. Dormivo a casa di mio nonno che russava in modo pazzesco, al punto da non farmi chiudere non dico due, ma almeno un occhio. A un certo punto, esasperato dalla situazione, presi dei cerotti e gli coprii tutto il naso. Si svegliò di soprassalto quasi soffocando. Povero...».
Che bambino era?
«Un po’ permaloso, mi offendevo se non mi lodavano. Sa, sono figlio unico e non capivo perché dai miei genitori o a casa dei nonni ricevevo sempre i complimenti, tipo “sei bravo e bello”, e poi a scuola mi dicevano: “Stai sbagliando” oppure: “Sei basso!”. Io pensavo: “Come è possibile? Che si mettano d’accordo!”».
Quali sono stati i comici che l’hanno influenzata quando ha iniziato la sua carriera?
«Quelli che mi hanno fatto ridere di più sono Aldo Giovanni e Giacomo e Fabio De Luigi. Corrado Guzzanti, invece, che faceva programmi quando io avevo pochi anni di vita, l’ho conosciuto e apprezzato dopo. E subito mi sono visto “L’ottavo nano” e tutte le stagioni di “Avanzi”».