Max Angioni: «Se sono arrivato qui è solo grazie al figlio del Re Leone»

Il comico è nella squadra di "Le Iene" e intanto porta in tour il suo spettacolo: «E pensare che un tempo facevo il tecnico delle luci»

21 Marzo 2023 alle 08:31

Max per tutti, o qualcuno la chiama Massimiliano?
«Mio papà quando si arrabbia. Per mia mamma sono Massi, per tutti gli altri sono Max oppure Angioni o anche Maxangioni, nome e cognome tutto attaccato».

Nato e cresciuto a Como con il sogno di...
«Diventare attore. Credo derivi, essendo figlio unico, da un bisogno di attenzioni, da alcune insicurezze: non ne ho ancora parlato con la psicologa (ride). Un periodo volevo fare la tartaruga Ninja, ma è durato solo due mesi».

La fatidica “svolta comica” quando è arrivata?
«La prima volta che ho fatto uno spettacolo. Avevo 12 anni, in una recita all’oratorio dovevo fare Simba, il figlio del re Leone. Dicevo: “Papà, papà!”. Recito la battuta e tutti scoppiano a ridere: l’avevo detta non in modo comico, ma in maniera simpatica. Ho capito lì che mi piaceva far ridere».

Esordio a “Le Iene” a 31 anni, era il febbraio dello scorso anno.
«Uno degli autori mi disse che avevano l’idea di inserire una parte comica nel programma. Siamo stati presi io ed Eleazaro Rossi: dovevamo fare piccoli monologhi comici in studio».

Il primo monologo fu: “I ragazzi che si ribellano ai genitori”.
«Funziona così, gli autori mi dicono per esempio: “Ci sarà un servizio che parla di giovani che si ribellano, ci serve un monologo”. E così ogni settimana ci inventiamo delle battute da zero su quel tema».

Le battute le prova a casa?
«Prima le provavo con la mia fidanzata. Ma lei è molto severa e quindi ora preferisco farlo durante lo spettacolo, dato che sono in tour».

Reazioni?
«In studio il pubblico è in piedi, con la mascherina, magari distratto da quello che succede intorno: gli spettatori non sono tranquilli come a teatro, dove sono seduti. In tv vai dritto, lo fai per il pubblico a casa».

Come reagisce se nessuno ride?
«È un rischio che si corre quando non hai il tempo di provare un pezzo nuovo. In quel caso dico: “Ok, questa era una frase, non una battuta”. Oppure prometto: “Ok, questa la butto”».

All’inizio era soprannominato: “Il giovane comico”, ma “Il giovane” è sparito subito.
«Per colpa di come vivo: mangio male, mi muovo poco e qualche capello bianco non è così adatto al termine “giovane”. Comunque a me non piace la definizione “comico”».

Che cosa non va in “comico”?
«In Italia c’è questo atteggiamento: “Ah, è un comico? Vediamo allora cosa sa fare”. Io preferisco “performer teatrale” o “presentatore”, “co-presentatore”, “folletto”, “coso peloso”...».

Piccoli cenni di carriera: nel 2018 esordio sul palco di “Zelig Time”.
«È stato un piccolo sogno, vedevo “Zelig Off” con mio padre e ridevamo. Esibirmi lì fu una cosa bellissima. A mia madre, la prima volta che venne a vedermi, chiesi: “Ti sono piaciuto?”. Facevo un personaggio a petto nudo e lei rispose: “Amore mio, come sei ingrassato!”».

Tre anni dopo a “Italia’s Got Talent” si è classificato secondo dopo il mago Stefano Bronzato.
«Quando faccio spettacoli chiedo: “Chi mi ha visto a ‘Italia’s Got Talent’?” e segue un applauso grosso. “Vi sono piaciuto?” segue altro applauso grosso. “Chi mi ha votato?” e qui l’applauso è più debole. Per me la finale resta una bellissima serata, non una gara. Certo c’era pure il premio...».

Aveva portato un monologo sul Vangelo e i miracoli di Gesù.
«L’idea di parlare di Gesù mi faceva molto ridere, pensavo a Massimo Troisi e al suo sketch dell’Annunciazione con “La Smorfia”. Io ho tutti i sacramenti, andavo a messa e a catechismo, ero ferrato sull’argomento. Mi domandavo: “Qual è stato il primo miracolo di Gesù?” e mi immaginavo la resurrezione di Lazzaro, una cosa enorme. Invece è stata la trasformazione dell’acqua in vino. Parte tutto da questa piccola “delusione”».

All’epoca si presentava come “libero professionista”.
«Facevo l’attore, il tecnico luci per la mia compagnia teatrale, tenevo corsi di teatro per i bambini, guidavo il furgone, ero magazziniere: insomma un tuttofare. Avevo la Partita Iva: ero proprio un “libero professionista”».

Il suo spettacolo teatrale s’intitola “Miracolato”. La religione è rimasta un pallino.
«Devo tanto a questa parola, c’è stato un periodo in cui in pochi mesi ho fatto “Zelig”, “LOL”, “Le Iene”: va bene avere fortuna, ma qui è quasi un miracolo».

Ci vogliono miracoli per avere successo?
«A me oltre alla parola “comico” sta antipatica anche la parola “successo”, preferisco pensare che per fare bene uno spettacolo devi metterti lì e lavorare».

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