Cesare Bocci: «Fino a 20 anni ho avuto paura, e poi…»

Si scatena a Ballando, sta per girare il nuovo Montalbano e a Sorrisi racconta la sua incredibile vita

Cesare Bocci  Credit: © Pigi Cipelli
20 Aprile 2018 alle 11:23

Sono le 7 di sera. All'Auditorium del Foro Italico di Roma Cesare Bocci, jeans, felpa e piedi nudi, si abbandona su un divanetto: «Sono distrutto» dice ridendo. Ha terminato da poco le prove di «Ballando con le stelle». «Un'esperienza tanto coinvolgente quanto faticosa. La mattina saluto Daniela e Mia (la compagna e la figlia, ndr), esco di casa con il sorriso e arrivo qui felice di esserci. Poi certo, mi fa male qualunque cosa e ogni giorno la fisioterapia è obbligatoria».

Non si direbbe. A 61 anni su quella pista fa volteggiare la sua maestra Alessandra Tripoli come un fuscello.
«Quando ho iniziato questo programma la prima preoccupazione è stata la vergogna. La seconda, la schiena. Finora, facendo gli scongiuri, ho il tendine di Achille infiammato, una spalla che mi fa vedere le stelle, i polsi che mi fanno male ma non ho mai avuto mal di schiena (ride). Prima raccoglievo un coriandolo da terra e mi bloccavo... Sicuramente l'allenamento fa bene. Non smetterei mai di ballare».

A casa ha insegnato qualche passo di danza alla sua compagna Daniela?
«Non esattamente. Però ieri sera l'ho coinvolta in una piccola coreografia acrobatica e siamo ruzzolati sul letto, ridendo come matti».

E ora è pronto a ripartire per girare due nuovi episodi di «Il commissario Montalbano».
«Sì. Sarò sul set fino ai primi di luglio. Un episodio è tratto dal romanzo ?L'altro capo del filo? e gireremo per la prima volta fuori dalla Sicilia, in Friuli. L'altro episodio è tratto dai racconti e si intitola ?Un diario del '43?».

Che clima si respira sul set, dopo tanto tempo?
«Meraviglioso. È sempre bello ritrovarsi. Sul set e? a tavola. La sera organizziamo delle super cene tutti insieme. E io sono sempre ai fornelli».

Sa cucinare?
«Sì, mi piace tanto. Mi sto specializzando in piatti siciliani come la ?pasta ca' muddica?. Ma per le nostre cene di set in genere vado sugli spaghetti con le vongole. L'ultima volta eravamo 28 persone: ho buttato giù tre chili di pasta?».

Cesare, questa è la sua prima copertina da solo su Sorrisi?
«È emozionante. Da bambino lo trovavo sempre a casa di mia zia. Con mia cugina Stefania lo leggevamo e sognavamo il mondo scintillante della televisione. Ora rientrerò in quella casa, ma stavolta sulla copertina!».

Lei è nato in un piccolo paese in provincia di Macerata.
«Sì. Camporotondo di Fiastrone, 450 abitanti circa».

Cosa le è rimasto di quella realtà?
«Tutto. Papà era veterinario, avevamo un podere e allevavamo vitelli. Mamma era la maestra elementare del paese. Quella vita mi ha dato la cultura del lavoro come un dovere e come un piacere. In campagna tutti danno una mano, dal bambino al nonno».

Che ricordi ha?
«Quando avevo cinque anni la nostra casa venne danneggiata da una frana e ci trasferimmo nell'appartamento sopra alla scuola. Quando avevo la febbre, ero a casa e sentivo le lezioni della maestra nella classe sotto alla mia stanza».

Ha parlato di cultura del lavoro.
«Certo. Di soldi non ce n'erano tanti, noi eravamo tre figli e io ho cominciato prestissimo a fare dei lavoretti».

Quali?
«D'estate in campagna dopo la mietitura non c'è moltissimo da fare, l'aratura è più avanti, e io andavo a lavorare da ?Vince' de lu mancì? che era il fabbro e aveva pure la pompa di benzina».

Un nome curioso?
«Non credo di averne mai saputo il significato (ride). Comunque, quando lui si assentava io restavo al distributore, ma passava una macchina ogni morte di papa. E intanto facevo i gabbioni per i conigli: tagliavo i pezzi, la rete e poi li saldavo. Con Primetto e poi con Jack, i due autotrasportatori del paese, andavo in giro per l'Italia a fare il facchino: si partiva col camion e si tornava dopo qualche giorno. Poi con il mio amico Alverio ho attaccato i numeri civici di Tolentino, dove avevano cambiato la toponomastica: tutto il giorno con il trapano in mano. Con Remo ho fatto l'imbianchino. Poi il cameriere per anni».

Insomma, si è sempre dato da fare.
«È questo che mi porto dentro. E venire a ?Ballando?, lavorare, provare e faticare non mi spaventa».

Ma sono anni che Milly la corteggia, qualcosa che la spaventava ci doveva pur essere?
«Fino a 20 anni ho avuto una paura folle del buio, di quello che c'è dietro l'angolo, delle novità. Io sono il più piccolo della famiglia e da bambino mia sorella e mio fratello si nascondevano per casa, poi all'improvviso spuntavano fuori urlando e mi terrorizzavano. Questa paura me la sono portata dietro».

Non l'ha superata?
«In parte sì. Una sera, a 20 anni, mi sono inoltrato nel bosco, mi sono seduto al buio, da solo, ascoltando i rumori della natura, finché piano piano mi sono convinto: al buio ci sono le stesse cose che c'erano prima. Allora ho cominciato a vincere quella paura. E con ?Ballando? mi sono detto: non ho scuse».

La passione per la recitazione come è nata?
«In paese, con le commedie dialettali, tutti eravamo passati sul palco del teatrino parrocchiale. Anni dopo Saverio Marconi aprì una scuola di teatro a Tolentino: andai a una lezione e fu amore totale per la recitazione. In quel periodo studiavo Geologia a Camerino e due volte alla settimana, dopo l'università, partivo in autostop per andare a lezione a Tolentino. All'andata i passaggi li trovavo, ma al ritorno, alle 11 di sera, era più difficile. E mentre aspettavo con il pollice alzato, ripetevo lo scioglilingua per imparare il suono della ?gl? che noi nelle Marche non abbiamo: ?Sul tagliere gli agli taglia, non tagliare la tovaglia. La tovaglia non è un aglio, se la tagli fai uno sbaglio?».

Lei è stato, con Saverio Marconi, uno dei fondatori della Compagnia della Rancia. Perché questo nome?
«Perché a Tolentino c'è il Castello della Rancia. Eravamo in sei e all'inizio facevamo tutto da soli. Io sapevo lavorare con le mani e costruivo, montavo, allestivo le scene. Mi cambiavo, recitavo e poi smontavo, caricavo, guidavo? In otto anni è diventata la compagnia dei musical, è arrivato il successo e a quel punto io l'ho lasciata, sono venuto a Roma e ho ricominciato da capo. Cameriere in pizzeria, noleggiatore di auto, pony express, sceneggiatore per fotoromanzi con lo pseudonimo Eugenio Nelli, da Eugene O'Neill».

E con Mimì di «Il commissario Montalbano» come è andata?
«Circa 20 anni fa Daniela leggeva un libro e sentivo che rideva. Mi disse: ?Te lo passo, è troppo divertente!?. Era ?Il cane di terracotta? ed era la prima volta che leggevo Camilleri. Ho pensato: una versione televisiva sarebbe meravigliosa. Pochi giorni dopo la mia agente mi dice: ?Ti hanno proposto un ruolo per un poliziesco: il commissario Montalbano?».

Era destino.
«Già. E da 20 anni sono Mimì?»

Lei ha conosciuto la popolarità già ai tempi di «Elisa di Rivombrosa». In «Montalbano» è un irresistibile sciupafemmine e ora c'è «Ballando», dove riscuote un grande successo soprattutto tra il pubblico femminile?
«Sono un attore: se mi dai la telecamera la uso e gioco sullo sguardo o sull'aspetto fisico. Ma ho fatto sempre questo lavoro tenendo i piedi per terra. La popolarità, l'essere riconosciuto per la strada mi fa piacere ma non è quello che nutre la mia autostima. Quando si spegne la telecamera sono Cesare e basta».

Lei si piace?
«Oggi più di allora. Sono più tranquillo, riesco a dare il giusto valore alle cose. Per carità, continuo a fare errori, ma non mi cambierei mai di testa con il Cesare di 30 anni fa. Qualche articolazione forse sì, ma non il modo di vedere la vita».

Il «Cesare e basta» è innamorato da 25 anni di Daniela.
«Oddio, litighiamo anche a volte, eh? Lei mi chiama il suo ?Principe Mononeuron? (ride). Dice che sono distratto. Che poi è anche vero? Ci siamo conosciuti nel 1993 a una festa per la partenza di una coppia che faceva la traversata dell'oceano in barca a vela. L'ho vista e mi è piaciuto subito il suo sorriso dolce e il suo modo di guardarmi da sotto i capelli ricci... Non ci siamo più lasciati».

Avete affrontato una prova difficile, superandola con grande forza.
«A una settimana dalla nascita di nostra figlia Mia, nel 2000, Daniela ha avuto un ictus ed è rimasta in coma per quasi un mese. Abbiamo raccontato la nostra storia di rinascita nel libro ?Pesce d'aprile? che ora diventerà un testo teatrale: lo sto preparando con Tiziana Foschi e a dicembre lo porteremo in scena».

Seguici