È morto Alfredo Pigna, grande volto (e voce) del giornalismo sportivo. La sua ultima intervista a Sorrisi

A 94 anni ci lascia uno dei più amati commentatori sportivi dello sci. Accompagnò la vittoria di Alberto Tomba alle Olimpiadi

Alfredo Pigna nello studio della sua casa romana nel 2017  Credit: © Iwan Palombi
19 Novembre 2020 alle 19:06

È con grande dispiacere che vi diamo la notizia della scomparsa di Alfredo Pigna. Conduttore de "La Domenica Sportiva" dal 1970 fino al 1974 e dall'83 all'86, è stato un volto molto amato della Rai non solo di fronte alle telecamere, ma anche come commentatore sportivo.

La voce del celebre oro olimpico di Alberto Tomba nel 1986 non è mai stata dimenticata. Prima di dedicarsi alla sua più grande passione, la sua vita è stata un percorso di riscatto: di origini umili, è cresciuto lavorando anche come scaricatore di porto. Non si è fatto poi mancare nulla: dal lavoro per i più grandi quotidiani della carta stampata, all'attività di sceneggiatore e scrittore. Ci ha lasciati a Roma all'età di 94 anni.

La sua ultima intervista a Sorrisi nel settembre 2017

Il giornalista che ha legato il suo volto alla stagione d’oro de "La Domenica Sportiva" ci aveva raccontato la sua carriera.

di Andrea Di Quarto

L'enorme televisore di casa Pigna trasmette un vecchio film di Totò, "Signori si nasce". Visto il personaggio, una vita passata a raccontare lo sport in tv, dalla «Domenica Sportiva» alla Coppa del Mondo di sci, mi sarei aspettato di trovarlo intento a seguire imprese di campioni. Ma Alfredo Pigna, 91 anni, giornalista, conduttore televisivo, scrittore, sceneggiatore e... marinaio, è uno che ama sorprendere: «Ero amico di Totò» attacca lui, liberando un accento napoletano tenuto a freno nei composti anni di Rai.

Partiamo proprio da Totò, allora. Che rapporto aveva con lui?
«L’avevo conosciuto a una cena romana grazie a un’amica comune. Un giorno mi misi in testa di fargli incontrare Dino Buzzati, che era il mio capo alla “Domenica del Corriere” e con cui ho avuto una lunga amicizia».

Buzzati-Totò, accoppiata improbabile.
«Meno di quanto si possa pensare. I due si stimavano, ma l’uno pensava che l’intellettuale snobbasse il comico e viceversa. Invece a tavola, dopo un lungo studiarsi, trovarono tanti punti in comune e divennero amici. Erano due buoni. Due persone molto oneste».

Nell’immaginario nazionalpopolare, oltre che nella storia della tv, lei è «quello della Domenica Sportiva».
«Sì, però il programma a cui sono più legato è “San Vittore Show”».

Prego?
«Era una trasmissione irradiata a circuito chiuso da una delle celle del carcere milanese. Si basava sulle lettere dei detenuti che rivolgevano domande e richieste a personaggi noti. I miei assistenti erano “Il mostro della Val di Non” e uno dei capi della banda di via Osoppo. I detenuti mi chiedevano di far venire i cantanti e molti, come Johnny Dorelli e Tony Renis, accettarono. Ne vado molto fiero».

Torniamo alla «Domenica Sportiva».
«Vi arrivai a 44 anni. Ero già stato cronista a “Milano Sera”, al “Corriere della Sera”, alla “Domenica del Corriere” e direttore della “Tribuna Illustrata”. In Rai avevo vinto un concorso nel 1954 e collaborato nel 1968, ma in entrambe le occasioni avevo rifiutato l’assunzione perché mi offrivano la metà di quanto guadagnavo al “Corriere”».

Cosa faceva in Rai prima della «DS»?
«Avevo collaborato con il neonato telegiornale delle 13.30, accanto a Piero Angela, Mario Pastore e Andrea Barbato. Era la prima volta che i giorna- listi apparivano in tv al posto dei famosi “lettori”. L’idea fu di Biagio Agnes. Nel 1968 commentai le Olimpiadi invernali di Grenoble e quelle estive di Città del Messico».

Alla «DS» raccolse la pesante eredità di Enzo Tortora, cacciato per avere criticato i vertici Rai.
«Già, per sostituirlo si facevano i nomi di gente come Raimondo Vianello e Mike Bongiorno. Nell’attesa di una scelta fui mandato io. Avrei dovuto condurre quattro o cinque puntate. Vi rimasi dal 1970 al 1974. Non fu facile, sa?».

Immagino.
«C’era un team di autori. Mi dissero di non preoccuparmi, che avrebbero scritto tutto loro. Ma s’immagina? Io sono un giornalista e mi faccio scrivere i testi? Fu una guerra continua, mi bocciavano ogni idea. Dovetti lottare pure per portare in televisione la moviola. Prima di me, Sassi, Pizzul e Vitaletti trasmettevano da uno sgabuzzino del terzo piano».

Ricorda la prima puntata?
«Eccome! 27 settembre 1970. Per la prima e unica volta avevo bevuto un whisky per farmi coraggio. Gli ospiti della puntata erano Rivera e Mazzola, reduci dai Mondiali del Messico. Mi dissero: “Sei emozionato? Guarda che con due ali come noi hanno sempre fatto gol tutti”. Per una sera diventai il centravanti di Mazzola e Rivera. Quella “Domenica Sportiva” ebbe un ascolto di 6 milioni e 600 mila spettatori che salì a 9 milioni e 400 mila spettatori di media a puntata. Un record. Alla “DS” sono tornato poi dall’83 all’85 e, come curatore, dal 1991 al 1994».

Il migliore della «DS»?
«Beppe Viola».

E tra le conduttrici donne?
«Non so dirle la migliore, ma posso raccontarle un episodio curioso su una di loro, Maria Teresa Ruta. Al povero Ciotti, che era un... “provolone”, insomma uno che ci “provava” spesso con le donne, inflisse uno scherzo crudele: si fece dare un passaggio a casa e quando Ciotti fece delle avance sbucò la troupe di “Scherzi a parte”. Sandro, che non firmò mai la liberatoria, era furioso. Non si parlarono più».

Lei, napoletano, è stato anche colui che ha portato lo sci in tv.
«Anche quella fu un’idea di Agnes. Ho avuto la fortuna di raccontare l’incredibile Oro di Paoletta Magoni a Sarajevo nel 1984, i primi passi della valanga azzurra e quelli di Alberto Tomba, passando per le storiche imprese ai Giochi olimpici di Calgary del 1988. Quando cominciai, nel 1975, la Rai trasmetteva poche gare di sci all’anno. Gli ottimi ascolti e la nascita di Raitre favorirono la messa in onda di tutte le gare in calendario».

Oggi guarda lo sport in tv?
«Guardo tutto. La mia impressione è che, se dal punto di vista della quantità, non c’è paragone con i miei tempi, la qualità non è sempre adeguata. Vede, io in Rai vinsi un concorso fra diecimila aspiranti. Passai con Furio Colombo, Umberto Eco, Elio Sparano ed Ezio Zefferi. Oggi ho la sensazione che tanti ragazzi vengano buttati nella mischia senza alcuna base e allora ognuno s’inventa uno stile: c’è chi grida, chi esagera, insomma vale tutto».

A un certo punto lei mollò tutto e andò a vivere su un veliero.
«Mi presero per pazzo. Avevo una bella casa romana all’Eur con piscina e giardino. Vendetti tutto per trasformare in veliero un vecchio peschereccio. Così il vetusto “Padre Pio” si trasformò nell’“Intrepido” e vi andai a vivere con mia moglie e i miei due figli. Era dura, però. In barca si lavora 24 ore al giorno e presto il mio... equipaggio si “ammutinò”. Quando i figli sono cresciuti, hanno preso la loro strada e sono sbarcati. E anch’io sono tornato sulla terraferma».

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