Gigi Marzullo: «Stavolta sono io che rispondo alle domande»

L’intervistatore per eccellenza si fa intervistare. Solo Sorrisi è riuscito a «torchiare» il giornalista utilizzando proprio i suoi «tormentoni» più famosi. Volete sapere il suo sogno ricorrente?

Luigi Marzullo, detto Gigi indica il mitico cavallo in bronzo di fronte alla sede romana della Rai in viale Mazzini  Credit: © Carlos Folgoso / Sestini
28 Luglio 2017 alle 17:15

Arrivo nella sede Rai di viale Mazzini per intervistare Gigi Marzullo, e comincia a intervistarmi lui. «Buongiorno, di dove è lei?». «Dove ha studiato?». «Cosa facevano i suoi genitori?». «Era un bambino felice?». Quando finalmente riesco a riprendere il timone dell’intervista, capisco il motivo dell’insolita accoglienza: «Io amo molto più fare domande che riceverne» spiega Gigi «perché sono curioso. Mi piace davvero tanto scoprire le vite degli altri».

Ma oggi vogliamo scoprire la sua.
«È giusto, mi tocca. Prego...».
È stato un bambino felice?
«Sì. Grazie a papà Gerardo e mamma Angela, che erano entrambi maestri elementari e quindi molto rispettati in una piccola città come Avellino. Ma una grande influenza l’ha avuta anche nonno Vincenzo».
Professione di nonno Vincenzo?
«Maestro elementare. È lui che mi ha insegnato a leggere e scrivere, così ho potuto fare l’esame della “primina” e cominciare le elementari direttamente dalla seconda. Sempre grazie a lui, in seconda media ho vinto anche il premio di alunno modello».
Anche lei voleva fare il maestro elementare?
«No, io volevo fare il medico. Ma anche l’attore. Mi iscrissi alla prova di ammissione per il Centro sperimentale di Roma, ma la fissarono nello stesso giorno dell’esame di anatomia. Dopo molti tormenti, scelsi l’anatomia e la laurea in medicina».
Che medico voleva diventare?
«Uno psichiatra. Mi piace ancora visitare i manicomi, parlare con i degenti».
E perché mai?
«Perché sono persone fragili che non hanno retto il peso della vita. Mi fanno tenerezza. E sono molto intelligenti».
Comunque alla fine ha fatto il giornalista.
«Al “Mattino” di Napoli. Ma ho cominciato con un contratto di un mese come annunciatore radio in Rai. Era il 6 agosto 1980».
Primo ricordo della Rai?
«Annamaria Greci, una bellissima annunciatrice di Ferrara che ogni giorno correggeva la mia pronuncia avellinese. Io in cambio le offrivo il gelato».
È in Rai da 37 anni. Mai pensato di mollarla?
«Io non lascerò mai la Rai. A volte mi illudo di essere io, la Rai».
Si considera una bandiera?
«Nooo, semmai il portiere notturno. Considerato a che ora vado in onda...».
«Sottovoce» è in palinsesto dal 1994. Come può un programma durare tanto?
«Perché ogni sera è nuovo. Con nuovi ospiti e nuove vite da scoprire».
Quanti ne ha intervistati ormai?
«Siamo tra le 5 e le 6 mila persone».
Il più sorprendente?
«Woody Allen. Gli dissi che mi piacevano i suoi occhiali e dopo due mesi me ne arrivarono a casa un paio. Me li aveva spediti da New York».
La più difficile?
«Giuliana De Sio. Ha la battuta tagliente e le piace tirarti in gioco. Non ti puoi mai rilassare».
Con chi è scattata l’intesa più grande?
«Con Richard Gere. La sera ci siamo pure rivisti a cena».
Lei va in onda tutti i giorni, o meglio tutte le notti. Come fa? Vive negli studi Rai?
«Quasi. Abito a 10 minuti a piedi dal mio ufficio in via Mazzini e a 15 dagli studi in via Teulada».
Però gli studi di «Che tempo che fa» stanno a Milano.
«L’ospitata da Fabio Fazio per me è il momento di trasgressione dopo una settimana di tranquillo lavoro. Vado e torno in treno perché ho paura dell’aereo».  
Com’è lavorare con Fazio?
«Bellissimo. Sa creare un’atmosfera di grande armonia».
E con la Littizzetto? Sembrate agli antipodi, il diavolo e l’acqua santa...
«E invece siamo molto amici. Molti non capiscono che la tv è come una grande tavola imbandita dove ognuno assaggia quello che preferisce. Più le pietanze sono diverse, meglio è».
Comunque c’è un dettaglio che non torna nell’immagine del Marzullo istituzionale: i capelli lunghi, quasi lunghissimi. Come mai?
«Sono la spia del Marzullo romantico, ribelle e “capellone” che si nasconde dentro di me».
Romantico anche in amore?
«Certo. La vita è un treno che corre su due binari: uno è il lavoro e l’altro l’amore».
E se i due binari si scontrano?
«Allora ci si ferma».
Ha avuto molte compagne di viaggio?
«Diciamo che ho fatto varie tappe con diverse compagne. L’ultima però è un “tappone”: con Antonella viaggiamo felicemente insieme da più di 16 anni».
Lei è diventato un modo di dire, si dice «Marzullata» o «alla Marzullo». Com’è un’intervista «alla Marzullo»?
«Mettiamola così: molti intervistatori vorrebbero scrivere non solo le domande ma anche le risposte. Nel senso che spingono l’ospite a dire quel che piace loro. Io faccio l’esatto contrario: a volte lascio fare all’ospite non solo le risposte, ma pure le domande. Non mi piace rubare le vite degli altri, voglio che si fidino tanto da raccontarmi la loro. È un grande regalo che mi fanno. A proposito, io le sto facendo un regalo».
È vero. Eppure molti si sentono in dovere di prenderla un po’ in giro, anche quelli che poi muoiono dalla voglia di farsi intervistare da lei. Come lo spiega? Invidia?  
«Forse è il prezzo dell’essere conosciuti. Ma a me non interessa. A me piace il lavoro, non l’apparire».
Come sono nate le sue domande-tormentone, quelle che sono diventate un po’ il suo marchio di fabbrica?
«Quelle sui sogni sono nate dal fatto che vado in onda a notte fonda: mi sembrava appropriato. Invece “Si faccia una domanda e si dia una risposta” è figlia della nostalgia per certi professori pietosi che, di fronte a uno studente in difficoltà, chiedevano l’argomento “a piacere”. Chissà se si usa ancora...».
Mi permette di appropriarmi delle sue domande e rivolgerle a lei?
«Prego».
Finalmente! Marzullo, la vita è sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?
«Scelgo la seconda ipotesi. Attenti, però, ai sogni irrealizzabili».
È più importante il sogno o il bisogno?
«Vorrei dire il sogno, ma c’è un  inghippo: il sogno non è reale, il bisogno sì».
Il suo sogno ricorrente?
«Di precipitare, ma per fortuna mi sveglio sempre un attimo prima di sfracellarmi. Oppure sogno mio padre e mio fratello che non ci sono più. Questo mi angoscia un po’: vuoi vedere che mi stanno chiamando?».
E per finire: si faccia una domanda e si dia una risposta.
«Mi chiedo spesso se sono sereno, contento di quello che ho avuto e costruito nella vita. La risposta è sì. Spero che duri il più a lungo possibile. Fisicamente sto bene».

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