Massimo Giletti: «Io sono sempre stato uno spirito libero»

Chiude una stagione d’oro a «Non è l’Arena» su La7, dopo il clamoroso strappo con la Rai «Credo nella passione ma anche nel rigore» dice il giornalista, che qui ripercorre le tappe più importanti in 30 anni di carriera

Massimo Giletti nella stanza dove organizza le riunioni con i suoi collaboratori. «Vedete lì, sullo scaffale e sulla scrivania? Abbiamo conservato le bottiglie dei brindisi agli ottimi ascolti» dice il conduttore  Credit: © Pigi Cipelli
21 Giugno 2018 alle 14:18

«Giletti, a lei piace essere intervistato?». Il nostro incontro con il conduttore di «Non è l’Arena» si apre così. E per capire com’è andata con Massimo Giletti basterebbe questa risposta: «Dipende. Sono anarchico, mi annoio se le domande non mi sorprendono». Quindi, cari lettori, questa intervista inizia con un po’ d’ansia da prestazione.

In attesa di vedere le puntate di «Non è l’Arena Best» con «il meglio di», qual è stato il momento più alto di tutta la stagione?»
«Quello in cui per la prima volta dopo tanti anni sono entrato in uno studio che non era della Rai. Fare quei passi è stato emotivamente faticoso. Anche una piccola lacrima avrebbe potuto essere interpretata in modo sbagliato. Ma sono stato ripagato dal 9% di share dell’esordio: un dato storico. Neanche nel suo libro dei sogni Cairo (Urbano, l’editore di La7, ndr) avrebbe poi pensato di battere la domenica sera di Raiuno».

Vincere la battaglia degli ascolti che cosa ha significato per lei?
«Al di là della mia tempesta emotiva, ha significato che la tv di servizio pubblico non è più in Rai: nella notte politicamente più drammatica degli ultimi anni, gli italiani per capire cosa stesse succedendo hanno cercato La7, non la Rai. Quindi la domanda ora è: il canone serve per fare nani e ballerine? Successo di Giletti o no, è una questione di fondo».

Ha sentito la responsabilità di dover fare servizio pubblico?
«L’ho sempre fatto. Ho sempre voluto fare un certo tipo di informazione, senza padroni e senza essere servo».

Lei non è mai di parte?
«Una volta un direttore generale della Rai mi convocò al settimo piano di Viale Mazzini dopo l’ennesima telefonata di protesta dei partiti e mi chiese: “Massimo, ma tu sei di destra o di sinistra? Non si capisce”. Evidentemente sto nella zona ibrida, quella della libertà».

Ripercorrendo le puntate, qual è stata la più grande soddisfazione?
«Avere Paolo Bonolis gratis, in amicizia, senza compenso. Un gesto che non dimenticherò. Altri non l’hanno fatto, per non inimicarsi i Palazzi. Io non condanno nessuno, ma non dimentico. Ho subito un ostracismo pesante, tanto che l’unica diva che è venuta è stata Catherine Deneuve, perché vive in Francia: non sa cosa ha vissuto Giletti».

Quando le ha detto, sbuffando, «Non sono una diva», che cosa ha pensato?
«Che mentiva».

Passando dagli ospiti alle trovate sceniche, da dove nasce l’idea del Cubo di Rubik in apertura?
«Dal fatto che io non sono mai riuscito a completarne le facce. Una sera a casa di un’autrice ho visto un Cubo originale degli Anni 80. Da lì l’idea di usarlo per rendere più teatrale il racconto».

Quante persone lavorano con lei?
«Una ventina».

E la stimano tutti?
«Mi sopportano: chiedo loro tanto. Io sono passione, ma anche durezza. Per stare a certi livelli è necessario: insomma vuoi giocare nella Juventus o nel Crotone? Ma credo di aver dato molto a chi è cresciuto con me. E questo è figlio del fatto che io sono cresciuto con Giovanni Minoli, che 30 anni fa a “Mixer” mi ha insegnato l’Abc della tv».

L’intervista della sua vita?
«Quella che farò domani».

Nei suoi ricordi c’è stato un incontro più carismatico di altri?
«Negli Anni 90, quelli di “Mattina in famiglia” e “I fatti vostri” con Michele Guardì, ho il ricordo di un istante speciale. Ero vicino a Giovanni Paolo II (1920-2005), nella spianata di Loreto e il Papa parlava ai giovani. Non capivo se potevo avvicinarmi o no. Il suo sguardo diceva: “Che fai, aspetti? Vieni”. Una cosa fortissima».

Lei è credente. Si narra di tre noccioline miracolose in suo possesso, appartenute a don Bosco.
«Sono in un sacchetto di velluto da tanti anni. Inspiegabilmente, dentro non sono mai seccate: agitandole si sente ancora il rumore. La mia bisnonna Biancamaria le custodiva nella sua vetrinetta e poi me le ha donate. A casa ho anche un tavolo su cui don Bosco diceva Messa».

Le mancano le sue radici piemontesi, l’azienda di famiglia che produce filati e maglieria nel biellese?
«Tanto. L’azienda la fondò il mio bisnonno Pier Anselmo nel 1884 e la lasciò a nonno Oreste. Mio padre Emilio è ancora lì da solo, con coraggio, alla soglia dei 90 anni. Per qualche anno da giovane ci ho lavorato anch’io, ma come i miei due fratelli avevo altre aspirazioni».

È rimasto un «operaio» della tv?
«Operaio no: un artigiano. L’operaio fa il suo pezzettino, l’artigiano è responsabile del confezionamento di tutto il lavoro. E poi io sono un “anti-format”, sono contrario alla globalizzazione delle menti. I programmi uguali in tutti i Paesi non mi piacciono».

Chi le piace in tv?
«Mi piaceva Emilio Fede, perché non sapevi mai dove andava a parare. Mi piace Piero Chiambretti, che ha saputo anticipare e rinnovarsi».

Nella Roma dei palazzi del potere c’è un angolo che sente suo?
«Il buco della serratura nel portone della Villa del Priorato di Malta, sul colle Aventino. Nessuno ci riflette, ma attraversa tre Stati: l’ordine di Malta, che ha una sua forza diplomatica, l’Italia di Roma e il Vaticano, perché da lì si vede il Cupolone. Io sono il quarto stato».

Il dipinto «Il quarto stato» di Pellizza da Volpedo è il simbolo dei lavoratori. Lei sta con il popolo?
«Siamo cauti. Pilato chiese al popolo e il popolo scelse Barabba. Oggi va di moda chiamarsi cittadini, ma ai tempi di Robespierre la ghigliottina andava forte. La democrazia diretta ha molti limiti. Io sono per la mediazione della politica».

I partiti la corteggiano?
«Più d’uno mi ha proposto un seggio. Ho sempre detto di no e diffido ancora».

Tra i protagonisti dell’attuale classe politica c’è qualcuno «creato televisivamente» da lei?
«Beh. Per esempio, di Tommaso Cerno ho intuito le doti giornalistiche. E lui ha bruciato la tappe: è diventato direttore de “L’Espresso” e ora è nel Pd. Anche Alessandra Moretti l’abbiamo lanciata molto, al di là dei gossip... (anni fa si parlò di un flirt tra il conduttore e la consigliera regionale del Veneto, ndr)».

Al di là dei gossip, lei è sempre scapolo?
«Sì, piaccio alle signore di 80 anni. Mia mamma Giuliana dice che se aspetto ancora un po’ finirò per fidanzarmi con la badante».

Con il ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato amore a prima vista?
«Nei miei programmi io l’ho sempre voluto e invitato. Era l’unico che non mi chiedeva le domande in anticipo. E neanche diceva: “Quell’ospite sì, quell’ospite no”».

Ha dato la caccia a Fabrizio Corona, tallonandolo in palestra.
«L’ho studiato a fondo».

Con chi farebbe jogging al parco?
«Con Gabriella Giammanco, senatrice di Forza Italia».

Al ristorante con Lilli Gruber o Enrico Mentana?
«Lilli Gruber: è interessante. Preferisco andare a cena con una donna e poi Enrico lo vedo sempre».

In barca con Maria De Filippi o con Barbara d’Urso?
«La convivenza in barca è difficile, bisogna essere davvero molto affiatati e io non voglio rovinare amicizie».

Tornerà in Rai o resterà a La7?
«Solo Dio lo sa. “Del doman non c’è certezza”. Parlerò con Cairo a fine mese, ma la mia decisione l’ho già presa».

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