Nadia Toffa torna in onda dopo il malore dello scorso dicembre

L'inviata de «Le iene» torna in televisione «Ora sto bene e amo la vita più di prima. La tv di mi dà energia»

Nadia Toffa
8 Febbraio 2018 alle 15:45

Nadia Toffa è una donna minuta e determinata. I capelli dorati li ha avuti in dono dalla mamma, il fisico snello dal padre. Da bambina, sciando si buttava nei burroni e a ginnastica artistica volteggiava facendo i salti mortali. È cresciuta amando il rischio. Quasi dieci anni fa è approdata a «Le iene», è diventata inviata e quindi conduttrice. L’accento bresciano lo ha addolcito strada facendo. La vita da «iena» la trasporta in giro sette giorni su sette. Ma in uno dei suoi «giri», due mesi fa, Nadia si è sentita male. Era il 2 dicembre, si trovava a Trieste per delle interviste, è caduta a terra e si è risvegliata nel reparto di rianimazione dell’ospedale. Ora Nadia è di nuovo nelle stanze de «Le iene», vestita di nero da capo a piedi, dal cappellino calcato in testa ai jeans strappati. L’11 febbraio torna in onda.

Nadia, come ti senti?
«Meglio di prima».

In che senso?
«Si dice che eventi che sono in qualche maniera traumatici facciano bene. Io ora sorrido più di prima, rido più di prima, amo la vita più di prima. Sono la Nadia di sempre rinforzata da una prova di umanità estrema».

Quando Davide Parenti, il gran capo de «Le iene», ti ha detto: «Ora ti fermi», che cosa hai pensato?
«Lo ha detto perché i medici lo avevano obbligato a dire così, come farebbe un papà. Mi sono detta: “Diamo tempo al tempo, non succede nulla se “Le iene” le guardo da casa”».

Ora sei pronta a riprendere in mano la conduzione?
«Non vedo l’ora».

Cosa hai fatto in questo tempo?
«Mi sono riposata, ho studiato inglese, ho lavorato ai nuovi servizi, sono venuta in redazione. E mi sono goduta la mia famiglia, che normalmente vedo molto poco».

Ti avranno colmato di attenzioni e raccomandazioni.
«Sanno che non sono una da raccomandazioni. Se mi dicono: “Sii prudente”, mi arrabbio. A volte mio padre mi dice: “Parti prima, così arrivi con la luce”. Ma che significa?».

Cosa dirai quando la telecamera si accenderà?
«Le mie solite cose: “Buonasera!!!”, “Bentornati!!!”. Non ce la faccio a non gridare. Magari farò ancora un ringraziamento a quelli che mi hanno mandato messaggi di affetto. Poi, però, “the show must go on” (lo spettacolo deve andare avanti, ndr)».

A distanza di due mesi come racconti quel che ti è successo?
«Non lo racconto, non l’ho mai raccontato. Sì, certo, ho detto che non ero cosciente, che ero rallentata, ho dei ricordi a sprazzi, quello che mi hanno riferito anche gli altri».

Non lo racconterai mai?
«Non mi precludo mai niente».

Con «Le iene» negli anni hai affrontato tante situazioni pericolose...
«Due anni fa eravamo in Iraq sul fronte dei Peshmerga (le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno, ndr), avevamo le bandiere nere dell’Isis a 200 metri, un cecchino aveva appena ammazzato una persona. Era una situazione molto pericolosa».

La più grave che hai vissuto?
«In realtà non sai mai dove trovi il pericolo. Una volta in una autoconcessionaria dove falsificavano i chilometri delle auto usate mi hanno minacciato con un cacciavite e poi sequestrato».

Mai avuto paura?
«Mai. Non ho paura perché sono più spericolata che coraggiosa. Non penso alle conseguenze, penso che tutto quello che accade va bene, sono tutte lezioni di vita. Altrimenti sai che noia».

Cosa ti spinge a sfidare il pericolo?
«La curiosità, la voglia di imparare, di migliorarmi, di raccontare. Il mio obiettivo nella vita è imparare dagli eventi e dalle persone che incontro».

In otto anni hai fatto oltre 200 servizi.
«Ne voglio fare il doppio!».

Tieni il conto?
«No, se un servizio va in onda è consumato. Raramente mi soffermo a guardare indietro, sono abbastanza dura con me stessa. Sono una donna del fare, pragmatica e concreta come tutti i bresciani. Ci sono inchieste che lasciano il segno e altre meno».

L’inchiesta che ha lasciato il segno?
«Quella sul gioco d’azzardo. Ho conosciuto tanti giocatori rovinati con le loro famiglie. In Italia l’offerta del gioco è scandalosa, è una “tassa” sui poveri, sulla malattia, sulla dipendenza. Ho fatto 12 inchieste e, ahimè, non è cambiato molto».

Le prossime inchieste dove ti porteranno?
«Di certo  tornerò a occuparmi del tema della violenza sulle donne. Poi parlerò ancora di inquinamento, ambiente e sanità: sono queste le tematiche che mi stanno a cuore».

Più giornalista o più «iena»?
«Bella domanda... Direi un mix. Il piglio delle “iene” c’è sicuramente, siamo molto incalzanti. A volte, però, mi sento anche giornalista. Ho studiato tanti di quei documenti per fare inchieste approfondite!».

Pentita di qualche servizio?
«Migliorarli si può sempre. Abbiamo spesso poco tempo, su ogni servizio lavoriamo una, due settimane, di rado tre. Sono molto autocritica e pignola, quello sì, ma pentita no».

Il consiglio che ti è servito di più?
«Quando nel 2015 per la prima volta dovevo condurre il talk show “Open Space” il regista Roberto Cenci mi disse: “Il segreto è pensare e convincersi di averlo sempre fatto”. Era vero. Immaginare di averlo sempre fatto ti dà serenità». 

E quindi ti sei buttata.
«Mi butto sempre. Non ho paura di sbagliare. Non perché mi senta brava ma, male che vada, che può succedere?».

E il consiglio che dai tu?
«Ci sono tanti ragazzi che mi fermano e mi dicono: “Voglio fare tv”. Rispondo: “Partite dalle tv locali”. Io lì ho imparato a usare la telecamera, a montare i servizi. Poi capisci se la tv fa per te, se ti piace stare davanti alla telecamera. Magari non è il tuo mondo, non ti dà gioia».

A te la tv dà gioia?
«Sì. Mi piace, mi dà energia. E mi fa sentire a mio agio».

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