Ninni Bruschetta: «Da “Boris” a “Quo vado?”, la mia vita da gregario»

Ha recitato in tante fiction e film di successo. Ma mai nel ruolo principale. Di questo (e di molto altro) parla nel libro «Manuale di sopravvivenza dell'attore non protagonista»

Ninni Bruschetta (54 anni)  Credit: © Foto Daniele Passaro
25 Febbraio 2016 alle 17:27

Ninni Bruschetta arriva al nostro appuntamento con un leggero ritardo, ma in gran forma. «Scusi, ho calcolato male i tempi. Non sono nemmeno riuscito a finire i miei 10 km di corsa giornalieri, nel residence si è rotta la caldaia e ho fatto la doccia fredda, ma eccomi qua!». Ninni chi? Direte voi. Poi guardando la foto dite: «Ah sì, quello di, di…». Decine di ruoli, in serie tv e al cinema (non ultimo, era il ministro del lavoro in «Quo vado?» di Checco Zalone: «Uno degli uomini più intelligenti con cui abbia lavorato»), ma mai quello del personaggio principale. Perché ci sono due pianeti nel mondo degli attori: quello dei protagonisti: «Che devono essere bravi, belli, raccomandati e anche molto fortunati». E quello dei non protagonisti, che devono essere ancora più ostinati e preparati. Come racconta l’attore e regista messinese nell’autobiografico «Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista» (Fazi Editore). Libro «pensato ma scritto di getto» in cui fa un’analisi severa, ironica e ferocemente realista del suo mondo.

Ninni, perché ha scritto questo libro?
«Me lo suggerì il regista Renato De Maria quando gli raccontai delle peripezie che dovetti fare per girare, allo stesso tempo e in tre città diverse: “Squadra antimafia”, “Boris” e “Fuoriclasse”. Considerato che oltre alle fiction faccio anche cinema e teatro diciamo che ho una vita movimentata!».

Leggendo il libro sembra orgoglioso di non aver mai fatto il protagonista.
«No, anzi, attraverso Sorrisi lancio un appello a produttori e registi: fatemi fare il protagonista!» .

Non c’è mai andato nemmeno vicino?

«Con “Boris” avevo fatto il provino per il ruolo principale (andato poi a Francesco Pannofino, ndr). Ogni tanto qualcuno mi chiama per dirmi che ha in mente me per il ruolo più importante, ma poi lo fanno fare ad altri. Anche perché credo esistano ancora protagonisti che hanno un contratto con la rete. Di recente avevo fatto il provino per il film su Boris Giuliano. Ci speravo, ma hanno preferito il mio amico Adriano Giannini».

A poposito di amici, nel libro cita il motto di Nino Frassica: «Non ho mai rifiutato niente».
«È vero. Non si può e non si deve rinunciare a nulla perché il lavoro va rispettato. Anche se posso permettermi di evitare di fare delle cose, ho difficoltà a rifiutarle. per fortuna esiste una quotazione per ogni attore, quindi certe poposte non te le fanno perché sanno che costi troppo».

Cosa vuol dire che siete quotati?
«È come se avessimo degli scatti di anzianità. Più ruoli fai, più sale la tua quotazione. Gli addetti ai lavori sanno  quanto costi a giornata».

Però non è detto che un bel ruolo sia anche quello meglio pagato.
«Infatti. Quando accettai di recitare in “Boris” rinunciai a un’altra serie Rai, dove avrei preso il doppio dei soldi e fatto la metà delle pose, proprio perché credevo nel ruolo di Duccio, il geniale direttore della fotografia della serie».

Nel libro racconta episodi esilaranti della sua carriera. Ma anche amari…

«Ricordo una delle mie prime fiction. Ogni puntata era girata da un regista diverso. Ce ne fu uno che non mi rivolse mai la parola durante la settimana in cui lavorammo assieme. Si confrontava soltanto con il protagonista, anche se io ero l’antagonista. È stata un’esperienza di vita, un po’ estrema. Ma mi ha insegnato a lavorare da solo».

Però un po’ famoso ormai lo è anche lei.

«È da dieci anni che la gente mi riconosce con una certa continuità. Ci sono i fan di “Boris”, che individuo subito dal modo in cui mi bloccano per strada (come dice Frassica: «Ti ridono nella faccia»). E quelli di “Squadra antimafia”, dove anche se Alfiere è morto si vedono ancora le sue foto in questura e a volte viene citato. Adesso poi dopo “Quo vado?” le persone che mi fermano sono aumentate del 300%. Ma ai miei figli dico sempre che, non sai quando, ma tutto questo finirà. Improvvisamente. La gente dimentica. O magari mi stancherò io di questo mestiere».

Vuol dire che rimpiange di non aver fatto l’avvocato, come suo padre?

«No, mai. Sono convinto di avere fatto la scelta giusta. Anche se a volte mi piacerebbe fare un lavoro manuale, come l’orafo o il falegname».

L’attore inglese Daniel Day-Lewis lo ha fatto. Ha mollato tutto per fare il calzolaio in Toscana.
«Si ma lui ha messo via qualche milioncino di dollari. In Italia sei vessato dalle tasse ed è impossibile mettere qualcosa da parte!». 

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