“Non è l’Arena”, Massimo Giletti: «Io non dimentico mai da dove sono venuto»

Su La7 è sempre andato in onda con la sua trasmissione: «È importante raccontare l’emergenza da un altro punto di vista»

Massimo Giletti conduce “Non è l’Arena” su La7 dal novembre 2017. Tra il 2004 e il 2017 aveva condotto “L’arena” la domenica su Raiuno
21 Maggio 2020 alle 09:00

Massimo Giletti e il suo “Non è l’Arena” non si sono fermati nemmeno un giorno durante l’emergenza sanitaria esplosa per il coronavirus. «Con i miei quattro collaboratori ci siamo subito rimboccati le maniche» ci racconta. «Devo ringraziare i miei inviati in giro per l’Italia perché hanno rischiato molto andando nelle zone più colpite».

Massimo, lei andava in onda mentre tutto il mondo, anche quello dell’intrattenimento, si fermava. Non hai mai avuto un attimo di esitazione?
«No, perché l’informazione non può fermarsi. Parlare della pandemia era il nostro dovere. Sono convinto che questo virus si sia diffuso a causa della censura cinese che poi si è portata dietro l’incapacità occidentale di reagire».

Non ha mai avuto paura di contagiarsi uscendo di casa?
«A Roma non abbiamo vissuto quello che è accaduto in Lombardia. Se mi fossi trovato a Milano, avrei avuto una percezione diversa».

“Non è l’Arena” ha fatto ottimi ascolti in questo periodo. La sua “tribuna” è sempre infuocata...
«Noi siamo come gli ammutinati del Bounty. Non seguiamo la linea liturgica della televisione ma andiamo quasi contro, cercando spazi che mettano in luce altre realtà. Il tema delle scarcerazioni dei boss recentemente affrontato ne è la conferma. Poi ci sono altre cose che non mi sono piaciute…».

Quali, per esempio?
«In queste settimane ho sempre avuto una posizione critica nei confronti dell’atteggiamento da star televisive dei virologi. La scienza quando si confronta con un qualcosa che non conosce è in continuo divenire, lo capisco, ma nella vicenda legata al coronavirus abbiamo sentito dire tutto e il contrario di tutto. Vedere personaggi che diventano più famosi di Amadeus, per poi prendere delle cantonate, mi lascia perplesso. Certi virologi dovrebbero essere più umili e ammettere di avere sbagliato».

Lei tira in ballo i personaggi tv. Ormai si è diffusa l’idea che andrebbero strapagati i medici, non i calciatori o gli artisti…
«Sono stato contrario alla retorica dell’eroe perché ho sempre fatto vedere che la politica che chiamava eroi i medici è la stessa che ha fatto tagliare 37 di miliardi di euro di investimenti negli ultimi dieci anni. Quando poi ho scoperto che nella busta paga di uno di questi eroi ci sono 72 euro lordi come premio, allora c’è proprio qualcosa che non va. Ho grande stima dei medici e degli infermieri anche perché sono stato coinvolto in prima persona».

In che modo è stato coinvolto personalmente?
«Ho vissuto giornate intere in terapia intensiva per stare accanto a mio padre, scomparso a gennaio qualche settimana prima della pandemia. Papà Emilio è morto all’età di 90 anni per un malore improvviso. E io capisco la sofferenza dei familiari che non hanno potuto abbracciare i loro genitori. Io invece ho potuto accarezzare papà, stringergli le mani ed essergli accanto fino alla fine, come è giusto che sia».

Cosa le manca di suo padre?
«Era una roccia e aveva sempre una parola giusta ogni volta che lo sentivo. Alla sua età lavorava tutti i giorni per 12 ore. Era lui a mandare avanti, con i miei fratelli, l’attività di famiglia».

Dove lei, da giovane ha fatto anche l’operaio...
«Ho vissuto e lavorato d’estate indossando la tuta nella nostra azienda. Credo che molti governanti non abbiano mai svolto un minimo di lavoro normale, gestito un bar... ecco perché prendono decisioni fuori da ogni logica».

Lei ama definirsi il paladino di chi non ha voce…
«Non mi dimentico da dove sono partito. Forse qualcuno, con il successo, se lo scorda…».

Sua madre e i suoi fratelli vivono in Piemonte. Da quanto non li vede?
«Purtroppo dal 18 febbraio. Riesco a vedere mamma solo attraverso dei filmatini. Mi manca il suo abbraccio. Non vedo l’ora di rivedere il suo sorriso».

Tornando a “Non è l’Arena”, c’è un ospite che sta corteggiando?
«Mi piacerebbe avere Nicola Zingaretti (il segretario del Pd, ndr), perché è un personaggio che si concede poco alla televisione e, in genere, al “faccia a faccia”. Nelle prossime puntate affronteremo un’altra emergenza: quella economica».

La voce che la vorrebbe conduttore, nel prossimo autunno, di un programma su Raiuno, si fa sempre più insistente. Cosa può anticiparci?
«La verità è che faccio fatica a dimenticare quello che è successo. Avevo un programma che raccoglieva davanti allo schermo quattro milioni di persone e non si è esitato un attimo a mandarmi via perché davo fastidio. Ora il mio pensiero è solo di andare avanti fino alla fine dell’anno».

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