Da venerdì 9 novembre conduce lo storico show di Canale 5: «Vedrete dei piccoli kolossal: un video ha richiesto tre mesi di tempo»
«Che è, un interrogatorio?» chiede scherzando Paolo Bonolis al fotografo di Sorrisi che gli punta la luce in faccia per scattare le foto del servizio. «Fanne una in cui entra solo il mio naso, una copertina con un naso: pensa che bello scherzo!» ride mettendosi in posa di profilo (come potete vedere qui a sinistra). In effetti è proprio di scherzi che stiamo per parlare. In particolare di «Scherzi a parte», il programma che Bonolis conduce dal 9 novembre su Canale 5. Pur non essendo, per sua stessa ammissione, uno scherzoso di natura. «Sono allegro di indole, ma non troppo portato a fare scherzi» precisa.
Però si diverte, a condurre questo programma…
«Mi diverto a farlo come mi diverto a fare gli altri, “Ciao Darwin” o “Avanti un altro!”. Il divertimento non sta nella giostra, ma in chi va al luna park. Se hai voglia di divertirti, ti diverti. Che sia con le palline nel vasetto del pesce rosso o sul Tagadà, cambia poco».
«Scherzi a parte» è arrivato alla 14a edizione. Come si fa a dare freschezza a un programma così collaudato?
«Cambiandolo. A differenza di quello che era prima, adesso ci sono più scherzi (saranno cinque per ogni puntata, ndr) e la gestione è differente. Gli scherzi hanno una cura registica molto originale, con le grafiche e con una elaborazione filmica della sceneggiatura. Come fossero cortometraggi, all’interno degli scherzi il pubblico troverà colonne sonore, effetti speciali, citazioni da film e serie tv internazionali, il tutto studiato appositamente per il genere di storia narrata nello scherzo: sentimentale, grottesco, fantasy, d’azione, giallo, black comedy. E mostreremo tutte le fasi, anche quella della preparazione, in alcuni casi molto lunga. Uno degli scherzi è durato tre mesi. Un modo per renderli più appetitosi anche all’occhio, oltre che nel contenuto».
Lei sarà da solo in studio?
«Beh, ci saranno anche i cameraman e un po’ di pubblico…» (ride).
Ospiterà le «vittime»?
«Sì, le intervisterò e ci racconteranno come hanno vissuto e “patito” lo scherzo».
Reagiscono male?
«Alcuni hanno imprecato tanto».
Addirittura?
«Sì, sono persone che non vorrebbero che la gente li vedesse come realmente sono: preferiscono mantenere quella cosmesi comportamentale con la quale si sono accaparrati una fetta di pubblico».
Ci sono degli scherzi che non sono riusciti?
«Sì, ce ne sono. A livello imprenditoriale fare uno scherzo è un grosso rischio economico: metti in piedi un bel marchingegno ma c’è sempre da considerare l’alea che non riesca bene. Basta una stupidaggine, uno che dica una cosa al momento sbagliato e salta tutto quanto. Non è facile. Sono scherzi complessi, mai banali».
Possibile che dopo tante edizioni del programma ci caschino ancora?
«Gli scherzi si avvitano su faccende di vita consuetudinaria, non è che atterra un’astronave sul terrazzo, succedono cose che sono plausibili nel momento in cui avvengono. Poi prendono pian piano un corpo deformato nel corso della vicenda. Ma le vittime non si trovano mai di fronte a qualcosa di completamente improbabile. Magari la situazione diventa marcata, ma una volta che sei in ballo ti ritrovi a ballare».
Cosa ci vuole per essere bravo a fare gli scherzi?
«La faccia di tolla, il mantenere il punto perché allo “scherzato” viene sempre il sospetto che ci sia qualcosa che non quadra. E in quel momento devi riuscire a trovare quei due o tre argomenti che riportino tutto a un’apparente normalità. Non devi caricare troppo, sennò disveli l’arcano. La bravura di chi fa gli scherzi è nel trovare la misura: è la dose che fa il veleno».
Lei li sa fare gli scherzi?
«Se capita li faccio. Ma già viviamo in un Paese dove ce ne fanno tanti…».
Eppure sembra uno che ama la burla.
«Mi piace scherzare con la parola. Con gli amici o con la famiglia amo giocare con gli atteggiamenti del linguaggio, lasciando intendere che la penso in un modo mentre la penso in un altro, questo sì».
E da ragazzino?
«Mi ricordo gli scherzi al telefono. “Pronto casa Beethoven? No-no-no-noooo” (intona la Quinta sinfonia del compositore, ndr). Ma era un’altra epoca. Quella del “tuffatore spagnolo Casco De Panza”. Gli scherzi tra ragazzi si sono sempre fatti ma non c’era una dedizione in stile “Amici miei”».
Lo scherzo più bello che ha subito?
«Proprio a “Scherzi a parte”, a un torneo di tennis. Era una partita contro Umberto Smaila e avevano organizzato con un arbitro che era un attore. Mi chiamava fuori ogni palla, anche quelle dentro di un metro, mi chiamava il fallo di piede quando servivo… un incubo. Io sullo sport mi arrabbio tanto. Ero nervosissimo e a un certo punto l’arbitro mi disse: “La smetta, non faccia il bambino”. E io gli risposi: “Io faccio il bambino? Te c’hai 70 anni e stai ancora sul seggiolone” (l’arbitro di tennis è collocato su una sedia sopraelevata di oltre due metri, ndr)».
E quando ha scoperto che era uno scherzo?
«Mi feci una risata e finì lì. Però mi dispiaceva aver sprecato una semifinale del torneo».
Al di fuori di «Scherzi a parte» è mai successo che le facessero uno scherzo?
«Ho avuto cinque figli...» (ride).
E quello più bello che lei ha fatto nella vita?
«Tanto tempo fa io e il mio agente Lucio Presta abbiamo fatto credere ad alcuni dirigenti tv che Danilo Aielli, che era il direttore musicale di una mia trasmissione, fosse stato colui che realmente aveva scritto “Yesterday” dei Beatles».
E ci hanno creduto?
«Abbiamo raccontato una storia strana, confezionata in maniera incredibile e loro ci hanno creduto, sono pure andati da Aielli per prenderlo in giro. Lui, che teneva il gioco, aveva il volto tra il sofferente e l’arrabbiato, come se fosse stato derubato dai Beatles» (ride).
In famiglia chi è il più incline agli scherzi?
«Io mi diverto soprattutto con i bambini a casa, cerco di mantenere un ambiente di disincanto nei confronti delle cose. Li prendo in giro, mi prendono in giro. Il maschio, Davide, è tremendo, è un martello, è scherzoso, ribatte, usa la bugia iperreale per creare difficoltà a chi gli sta davanti, prende per i fondelli la sorella più piccola. Insomma, non siamo una famiglia di matti, però ci divertiamo a non prenderci sul serio vicendevolmente. Anche io e mia moglie Sonia scherziamo molto. La prendo in giro quando la sera, esausti dalla giornata, ci vediamo un film per rilassarci. In realtà il film lo guardo io perché Sonia si addormenta secca già sui titoli di testa, dopo avere scelto lei il film, mediamente non del genere che piace a me. E io, che purtroppo per natura se inizio una cosa la devo finire, me lo sorbisco fino alla fine».
Che cosa guarda in tv?
«Tutte le cose che cominciano, poi “Blob”, le serie di Netflix e di Sky. Ma soprattutto lo sport. Il calcio, specialmente: sono un appassionato e un tifoso (dell’Inter, ndr). E ora anche patron di una squadra di calcio».
È uno scherzo?
«No. A giugno ho fondato una società sportiva dilettantistica. Ha la “genitorialità” dell’Inter (siamo Igp Inter, “Inter Grassroots Program”) ed è una squadra di giovanissimi, Under 15. Stiamo facendo il campionato provinciale. Finora due partite disputate, una contro il Zagarolo e una contro il Sant’Angelo Romano, due vittorie, zero reti subite. Niente male, eh?».
Come è nata questa idea?
«Nella mia vita ho avuto la fortuna di guadagnare bene e invece di andare al casinò, che è una cosa che non mi piace, mi diverto a far crescere bene i ragazzi nello sport. E in uno sport di squadra, perché mi piace provare a trasferire loro l’idea della cooperazione: nella squadra tu aiuti gli altri e gli altri aiutano te. Se questa idea di cooperazione, crescendo, riuscissero a trasferirla anche nella società civile, credo che vivremmo tutti un po’ meglio».
Li segue in trasferta?
«Ma certo! Ho comprato pure un pulmino per quelli che vengono da fuori Roma, da Fiumicino, da Fiano Romano… Solitamente nelle scuole calcio si paga, da me per questa stagione non si paga niente, hanno tutto gratuitamente: tute, borse, allenatori, fisioterapisti».
La divisa di che colore è?
«Una maglia bianca bordata di rosso con tre strisce rosse nel petto. La squadra si chiama “Azzurri 2010”, perché azzurro è il sogno di ogni bambino che gioca a calcio: vestire la maglia della Nazionale. E 2010 è l’anno del “triplete” dell’Inter (vinse Campionato, Coppa Italia e Champions League, ndr), da questo derivano le tre strisce. La maglia bianca e rossa è un omaggio ad Alberto Sordi, “Il presidente del Borgorosso Football Club” (cita un passo del film facendo la voce di Alberto Sordi, ndr)».
I ragazzi li ha scelti lei?
«Sì, selezionandoli con gli allenatori Fabio e Angelo Panichi. Sono una ventina in tutto. È bello vederli crescere. Mi diverto. Non penserà mica che passerò il resto della mia vita in televisione?».