Domenica 8 aprile riparte con la seconda edizione il programma che ogni settimana scopre e racconta storie di «ordinaria ingiustizia»

Scoprire e raccontare ogni settimana storie di «ordinaria ingiustizia», come fa Alberto Matano con «Sono innocente» (che domenica 8 aprile riparte con la seconda edizione su Raitre alle ore 21.25), non può lasciare indifferenti. E infatti dice il giornalista: «Fare questo programma mi ha cambiato». In che modo? «Nel lavoro mi ha instillato un’abitudine al dubbio che prima non avevo. Quando conduco il Tg1 e parlo di delitti, indagini, arresti, sento che devo usare rispetto e misura, che non devo sbilanciarmi verso questa o quella interpretazione dei fatti, perché la verità potrebbe essere molto diversa dalle apparenze: a volte chi sembra colpevole è solo vittima di circostanze sfortunate. Sul piano umano mi sento più vicino a chi soffre. Perché storie come quelle che racconto potrebbero capitare a ognuno di noi».
Come le scegliete, queste storie?
«C’è un requisito indispensabile: l’innocenza dei protagonisti deve essere già stata dimostrata in tribunale al di là di ogni dubbio. Questo ci porta a fare una selezione a volte dolorosa. Dopo la prima stagione abbiamo ricevuto centinaia di lettere di persone che chiedevano di raccontare la loro storia e di essere difesi. Ma finché c’è un processo in corso, questo non è compito nostro, ma della giustizia».
Una giustizia che a volte fa cilecca. Come si può arrivare a incarcerare degli innocenti?
«A volte le indagini sono state condotte male, con errori grossolani. Quello che più mi ha colpito è scoprire il peso dei pregiudizi: per essere guardati con sospetto basta essere cresciuti in una zona malfamata o avere una certa nazionalità. Però vorrei anche ricordare che alla fine di tutte le storie che raccontiamo la verità ha trionfato. Lo stesso sistema che commette terribili errori si dimostra anche capace di ripararli».
Senza conseguenze per i malcapitati?
«Purtroppo una storia di malagiustizia lascia sempre un marchio indelebile. Alcuni riescono a tornare alla loro vita precedente, altri a “ricostruirsi”, perché nel frattempo hanno perso la moglie o il lavoro. Ma tutti si portano dentro un grande dolore».
Che storie racconterà nella prima puntata?
«La prima è quella di Elaine, una ballerina di origini brasiliane che si esibiva nei locali tra Rimini e Riccione: è stata accusata di traffico di droga. Nella stessa casa dove era ospite aveva dormito uno spacciatore e tanto è bastato a inguaiarla. Ma lei non lo conosceva neppure. Poi racconteremo di Lorena, che si è trovata coinvolta in uno dei più clamorosi errori giudiziari d’Italia: quando a Mirandola, tra il 1997 e il 1998, molte persone sono state accusate ingiustamente di aver coinvolto bambini in messe nere, riti satanici e addirittura sacrifici umani. E infine una novità di questa stagione: in ogni puntata dedicheremo uno spazio a casi di malagiustizia che hanno coinvolto personaggi famosi. Cominceremo con il più clamoroso: quello di Enzo Tortora».
Di tutte le storie raccolte quale l’ha commossa di più?
«È quasi impossibile scegliere. Però mi vengono in mente la dignità, il pudore e la sobrietà di Gaia Tortora, la figlia di Enzo, che era una bambina ai tempi del dramma vissuto da suo padre. Oppure la storia di Stefano Messore. Era andato a portare soccorso alle vittime del terremoto nelle Marche con un furgone pieno di aiuti ed è stato accusato di averli derubati, di essere uno “sciacallo”. Un equivoco che si sarebbe dovuto chiarire subito. E invece Messore si è fatto 50 giorni in un carcere di massima sicurezza e poi 10 mesi ai domiciliari. Questo ha avuto in cambio della sua generosità...».
Come si può superare un «incidente» del genere?
«Quello che accomuna tutte le storie è l’importanza degli affetti, di avere qualcuno vicino. Un amico, un familiare, un avvocato. Non solo per l’aiuto pratico che possono dare, ma ancora più per quello morale: sono gli unici che continuano a crederti in un mondo che ti considera un impostore».
Non è stato mai sfiorato dal dubbio che almeno uno degli intervistati non fosse davvero innocente? Che l’abbia semplicemente «fatta franca»?
«No. Il dolore e l’angoscia che ho letto nei loro occhi non si possono fingere. Non ho alcun dubbio: sono innocenti».
Gaia Tortora rivive la storia di papà Enzo

Sopra a sinistra, Enzo Tortora (1928-88) durante una puntata di «Portobello». Sopra a destra, sua figlia Gaia, che oggi è una giornalista del Tg La7: ricorderà il padre a «Sono innocente». Tortora fu arrestato nel 1983 con l’accusa di associazione camorristica e traffico di droga. Condannato inizialmente a 10 anni di carcere, fu completamente prosciolto solo nel 1986. Il suo caso è diventato l’emblema di ogni errore giudiziario.