Amadeus alla guida di «Reazione a catena» fa il pieno di ascolti. E rivela…

«Nel 1978 uscì in sala La febbre del sabato sera: andai a vederlo dieci volte. E decisi che sarei diventato un uomo di spettacolo»

Un giovane veterano. Amadeus (vero nome Amedeo Sebastiani). Ha debuttato in tv nel 1983.
15 Giugno 2017 alle 10:15

È il suo quarto anno alla conduzione di «Reazione a catena» e il pubblico continua a seguirlo con enorme affetto. E questo è solo l’ultimo di una serie di programmi di successo che negli ultimi anni Amadeus ha inanellato senza sbagliare un colpo.

«Reazione a catena», i giochi, le novità e come partecipare

Amadeus, ma come fa?
«“Reazione a catena” è una macchina che funziona bene, ormai collaudata, che sono felice di condurre alla mia maniera».
E qual è esattamente «la sua maniera» di condurre?
«È difficile definirla. È naturale, mai costruita a tavolino. E soprattutto abbino a ogni programma una conduzione diversa».
È questo il suo segreto?
«Per me funziona così. Ogni trasmissione è come un film: io sono sempre il conduttore, ma il ruolo lo interpreto in maniera diversa, mi lascio guidare dall’istinto. Conduco “Soliti ignoti” in modo diverso da “Reazione a catena”: quest’ultimo è un gioco con la lingua italiana, ha un ritmo più incalzante rispetto a “Soliti ignoti” che è più diluito e “raccontato”. Certo, poi in qualunque programma io mi trovi non mi lascio scappare il momento per la battuta e la risata. C’è una sola cosa in comune nella conduzione di tutte le mie trasmissioni: la leggerezza. Io mi occupo di intrattenimento e il mio modo di condurre deve essere scanzonato».
Le va di giocare a una versione personalizzata di «Reazione a catena»?
«Certo! Ma l’avverto: come concorrente non valgo granché».
Innanzitutto chi sceglierebbe come compagni di squadra?
«Di sicuro gente più brava di me. Giovanna (Civitillo, la moglie, ndr) per esempio è bravissima a fare le catene (il gioco dei collegamenti che è alla base del programma, ndr), mentre io sono scarso. E poi direi Fiorello. Almeno tutto quello che non so viene trasformato in una risata».
Come vi chiamereste?
«Gli “Scossoni”. Tutto parte dalla “scossa” di Giovanna, che mi ha stregato (quando Amadeus conduceva “L’eredità” la Civitillo era una delle “ereditiere” del programma e introduceva il gioco della scossa con una mossa sensuale, diventata famosa, ndr). Mentre Fiorello è uno che quando è in scena dà la scossa al pubblico, suscitando inevitabili risate con la sua bravura e la sua simpatia».
In cosa lei si sentirebbe il più bravo?
«In niente. Nei giochi sono scarso: mi piace condurre i quiz ma non mi piace giocare».
Da dj con lunghissima esperienza invece sarebbe forte nel riconoscere le canzoni alle prime note...
«Forse sì. Ma credo che sarei forte soprattutto nel divertirmi».
Cominciamo allora con i giochi del programma: «Caccia alla parola». Qual è la parola più importante della sua vita?
«Sembrerò romantico ma è “amore”. In tutte le sue declinazioni. È fondamentale nella vita trovare l’amore vero e io sono fortunato con Giovanna e con i miei figli. Ma c’è anche l’amore per il proprio lavoro, quello che mi ha fatto andare avanti quando agli inizi in tanti mi dicevano: “Ma chi te lo fa fare?”. Lo dico sempre ai miei figli: la differenza la fa il sacrificio, ma il sacrificio lo fai se hai l’amore per qualcosa».
Siamo a «La catena musicale». Quali sono le quattro canzoni più importanti della sua vita? Una per ogni decennio, dagli Anni 80 a oggi.
«Negli Anni 80 “Run to me” di Tracy Spencer. Tra l’altro il mio primo monolocale in affitto a Milano nel 1985 era l’ex appartamento di Tracy Spencer! Per gli Anni 90 la canzone è legata alla nascita di mia figlia Alice. Ogni sera la addormentavo facendole ascoltare “High” dei Lighthouse Family. Per gli Anni 2000... nel 2003 io e Giovanna eravamo agli inizi della nostra storia e io  facevo parte della giuria di Sanremo. Mentre Sergio Cammariere cantava “Tutto quello che un uomo” io le mandavo i messaggi con le frasi del testo di questa meravigliosa canzone. Quando poi nel 2008 uscì “A te” di Jovanotti Giovanna era incinta di nostro figlio e nel 2009, quando nacque José, gli abbiamo dedicato questo brano che è una poesia bellissima. Ma ne ho una anche per gli Anni 70...».
Prego.
«L’intero album de “La febbre del sabato sera”. Ho visto quel film dieci volte nello stesso cinema di Verona, una volta alla settimana. E mi ha cambiato la vita».
Che cosa intende?
«È stato ammirando John Travolta su quella pista da ballo che mi sono detto: “Anche io voglio fare spettacolo”. Ero un ragazzino impacciato, dovevo combattere con la timidezza. Ma mi accorgevo che quando organizzavo una festa tra amici e mettevo i dischi o parlavo al microfono quella timidezza spariva. Appena accendevo il microfono mi sentivo un supereroe, quando lo spegnevo, l’insicurezza ritornava. Guardando le immagini di John Travolta al centro della pista in discoteca  mi dicevo: anche io vorrei fare qualcosa che mi porti al centro della pista».
Prossimo gioco: «Una tira l’altra». Quali sono le trasmissioni più importanti della sua vita? Quelle che, una dopo l’altra, l’hanno portata al successo di oggi?
«Sono tante. Ma se devo fare una selezione direi “1, 2, 3 Jovanotti” nel 1988 e poi “Deejay television”. Le cinque edizioni del “Festivalbar” che ho condotto negli Anni 90. “L’eredità” dal 2002 al 2006. Poi è stato importante “Mezzogiorno in famiglia”, perché ha segnato il mio ritorno in Rai. E, ancora, “Reazione a catena” e “Soliti ignoti”, il mio primo programma nella fascia dopo il tg della sera, con ascolti al di là di ogni più rosea previsione».
Prossimo gioco: «L’intesa vincente». Con quali colleghi ha un’intesa vincente, diventata poi un rapporto di amicizia?
«Raramente frequento colleghi fuori dal lavoro, e i miei amici non c’entrano niente con il mondo della televisione. Quando si spegne la telecamera ritorno a essere timido, non mi piace parlare sempre di lavoro. Ho un rapporto leale con tutti. Non conosco invidia, non spero mai che un collega non vada bene in un programma. Certo, con i colleghi della mia generazione come Gerry Scotti, Carlo Conti e Fabrizio Frizzi se c’è l’occasione si va volentieri a cena insieme. Per non parlare di Fiorello e di Claudio Cecchetto: sono cresciuto con loro e c’è il rapporto forte che si ha con i compagni di classe. Ma non è necessario frequentarsi spesso per capire che ci unisce un’affinità».  
Tornando a «Reazione a catena», è tornata la squadra dei Tre di denari ed è sempre fenomenale.
«Sono straordinari. Tre ragazzi timidi ma svegli e simpatici, che hanno macinato puntate su puntate. Nei miei quattro anni di conduzione sono finora la squadra più forte, insieme con quella delle ragazze sarde, le “Intese a distanza”».
Quando finisce la puntata lei familiarizza con i concorrenti?
«No, perché magari succede con qualche squadra di più e con altre meno e non mi sembra giusto. I concorrenti li incontro sempre solo in studio. Mi piace che si crei un rapporto confidenziale, ma durante il gioco. Infatti do del “tu” a tutti mentre qualche volta è capitato che qualcuno mi abbia incrociato fuori e mi abbia dato del lei. Però poi la cosa bella è che tutti mi chiamano con affetto semplicemente “Ama”».

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