Bruno Vespa: da 22 anni guida «Porta a porta» e racconta i momenti cruciali della politica

«Bisogna essere pronti a cambiare tutto all’ultimo minuto, dagli ospiti ai servizi» spiega il giornalista. «Ma è il bello del nostro mestiere!»

Bruno Vespa nello studio di «Porta a porta»
8 Giugno 2018 alle 12:33

In questi giorni il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha avuto delle belle gatte da pelare. Tra l’avvicendarsi di presidenti del Consiglio incaricati, toto-ministri, contratti stretti e patti stracciati, dirette lampo dal Quirinale a caccia di certezze sul futuro governo, gli italiani sono stati incollati davanti alla tv col fiato sospeso per capire come sarebbe andata a finire. Ne parliamo con Bruno Vespa, che dal 1996 conduce il talk show di approfondimento politico «Porta a porta» su Raiuno. Da sempre considerato, come da definizione di Giulio Andreotti, «la terza camera del Parlamento».

Come si gestisce un quadro politico così complesso in tv?
«Si vive alla giornata! Bisogna essere pronti a cambiare tutto all’ultimo minuto: dagli ospiti ai servizi. Ora per esempio (mercoledì 30 maggio alle 10.45, ndr) non ho la più pallida idea di cosa andrà in onda stasera. Ma è il bello di questo mestiere, no?».

La sua squadra in caso di emergenza cambia?
«No, siamo sempre noi».

Quanti siete nello staff?
«In tutto, tra autori del gruppo di testa e inviati, siamo una ventina».

Come vi coordinate con i telegiornali della Rai?
«Quando è necessario, facciamo spesso delle collaborazioni con il Tg1».

Quanto tempo ci vuole per mettere a punto la scaletta del programma?
«Niente. Niente. Niente (ride)».

Significa che sta lavorando 24 ore su 24?
«Ma no... In tanti anni abbiamo avuto diverse emergenze, non è che questa ci spaventi più di altre. La bravura e la singolarità della squadra di “Porta a porta” è proprio la capacità di far fronte alle emergenze».

Come si fa ad avere ospiti in studio i politici protagonisti?
«Beh, questo lo decidono loro. Sanno che hanno gli inviti sempre aperti da parte nostra, ma ricordiamoci che i leader politici vanno in televisione solo quando hanno interesse ad andarci, non fanno certo un favore ai conduttori. Quando le situazioni non sono chiare, spariscono per un paio di giorni o per lunghi periodi, altre volte vanno nello stesso giorno in tre trasmissioni diverse, proprio come è capitato ultimamente a Matteo Salvini della Lega e a Luigi di Maio del Movimento 5 Stelle. Una cosa eccezionale e direi anche irripetibile».

E in questi casi come ci si regola con gli altri «salotti» televisivi?
«Gli staff delle trasmissioni e quelli dei politici si sentono per verificare le compatibilità reciproche».

Chiama direttamente lei o delega le telefonate alla redazione?
«Dipende. Conosco tutti molto bene e ogni tanto ci sono contatti diretti, sì».

Ha una rubrica elettronica su tablet o computer?
«Uso un’agenda cartacea da oltre 20 anni e la conservo. Così so dirle esattamente dov’ero e che facevo in un giorno X».

Con i colleghi della concorrenza vi scambiate opinioni sul clima politico?
«In genere no, ma abbiamo ottimi rapporti. Capita di sentirsi, ma almeno per me non è un’abitudine».

C’è un inviato o un commentatore delle altre reti che corteggerebbe?
«Onestamente no, siamo a posto così e non abbiamo bisogno di rinforzi».

Prossimamente, visto il momento cruciale, andrà in onda in diretta?
«Quando serve e secondo le ore in cui accadono le cose, ma direi di sì».

Se un leader politico chiama e chiede di intervenire durante il programma, come si reagisce?
«Si prende la telefonata, in ogni caso!».

Segue metodi, diete o riti speciali quando si prospettano puntate più faticose del solito?
«Per carità, non cambio mai abitudini: vado in onda dopo aver cenato e bevuto un bicchiere di vino».

Bianco o rosso?
«Io stesso produco vino e ho una passione enologica da più di 40 anni. Quindi bevo un vino diverso ogni giorno e a ogni pasto».

Anche l’abito che indossa ha un significato politico?
«No, no. Ricordo che l’ultima volta in cui ho scelto un certo abito e una certa cravatta è stato per la morte di papa Giovanni Paolo II. Ma è chiaro che in una serata in cui si parla di una strage si deve mettere un abito scuro».

Quali sono le domande da fare (o non fare) per non sembrare di parte?
«Guardi, il ruolo del conduttore è fare emergere le posizioni dell’intervistato. Nei momenti di grande confusione, la gente ha diritto di capire come la pensano i leader politici. Soprattutto adesso che, come si vede, dimostrano di cambiare idea con una certa frequenza. Il nostro compito è quello di far venire fuori le loro idee».

Ma non c’è mai il rischio di fare da megafono agli interessi dei partiti?
«Nel nostro caso no».

Quando si profila un conflitto tra istituzioni, il conduttore deve farsi garante delle regole?
«Deve essere garante della chiarezza».

Una curiosità: perché in 22 edizioni di «Porta a porta» non ha mai cambiato le poltrone?
«È una vecchia tradizione: alla mia sinistra siede la maggioranza e alla mia destra l’opposizione».

Perché sono bianche?
«È la nostra forza, ce le hanno copiate tutti. Come le luci: sono fatte così bene che i migliori ritratti in circolazione dei politici sono stati scattati dai fotografi venuti da noi in studio».

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