Carlo Conti: «I Migliori anni… secondo me!»

Il presentatore ripercorre la storia del suo show che Raiuno ripropone (in otto puntate) dal 10 luglio

Carlo Conti
10 Luglio 2020 alle 10:00

Molti dei suoi anni migliori Carlo Conti li ha passati a fare... “I migliori anni”. Poteva il programma sfuggire alla sua stessa logica, che è quella di farci rivivere le pagine più emozionanti della nostra storia? Certo che no. E allora ecco “I migliori dei Migliori anni”, un’antologia dei momenti più belli dello show, che Raiuno propone (in otto puntate) dal 10 luglio. Cambiano volti, canzoni, persino la formula della gara, ma al centro c’è sempre lui: Carlo Conti. È il momento giusto per chiedergli di svelarci tutto su un programma che era partito come “un esperimento” ed è diventato un caposaldo della televisione.

Carlo, come è nato “I migliori anni”?
«Era il 2007 e sentivo nell’aria una gran voglia di “dance” in stile Anni 70. Era di moda. Allora mi sono detto: perché non riproporre il meglio dello spettacolo che ci ha preceduto? È un programma di memoria e ha due tipi di pubblico: chi allora c’era già ritrova i suoi idoli e le canzoni preferite. I più giovani li scoprono».

Il titolo del programma è stato ispirato dalla canzone di Renato Zero o, viceversa, l’avete scelta come sigla proprio perché si adattava al titolo?
«È andata così. Stavo viaggiando in auto da Firenze a Roma e mi stavo scervellando per trovare un nome alla trasmissione quando, alla radio, è partita “I migliori anni della nostra vita” di Renato. E mi ha illuminato».

Il programma propone una gara tra i decenni 60, 70, 80 e 90. Qual è il suo decennio preferito e perché?
«Infrango le mie stesse regole e scelgo il decennio tra il 75 e l’85: 10 anni durante i quali quella che era la mia passione è diventata la mia professione con il debutto in Rai con “Discoring” (proprio nel 1985, ndr)».

Ma perché gli Anni 50 o 40 non partecipano alla gara?
«Perché il punto forte dello show è che non ripropone semplicemente canzoni e ricordi, ma li fa rivivere attraverso i protagonisti originali. E non ci sono abbastanza artisti degli Anni 50 ancora attivi da invitare».

A proposito degli ospiti. Lo so che ora dirà che è impossibile sceglierne solo uno ma lo faccia per Sorrisi... Chi l’ha resa più felice?
«Ma come faccio a dirne solo uno? Vabbè, facciamo due: Giancarlo Giannini e Mariangela Melato di nuovo insieme 40 anni dopo i film di Lina Wertmüller. Intelligenti, divertenti, un’emozione fortissima».

Il personaggio più simpatico?
«Sylvester Stallone si è presentato con un “Ciao Carlo” e poi si è messo a firmare autografi. Avevamo già fatto a braccio di ferro a Miss Italia. Non mi chieda chi ha vinto».

Il più commovente?
«Johnny Dorelli è venuto a trovarmi dopo una lunghissima assenza dai riflettori e ha cantato una “E penso a te” da brividi. Anche Tomas Milian fece un intervento davvero toccante».

Il più divertente?
«Paolo Villaggio si è presentato vestito di tutto punto da Fantozzi e ci ha fatto morire dalle risate».

Il più alla mano?
«Arnold Schwarzenegger mi ha sorpreso con la semplicità: rideva, scherzava e stringeva la mano a tutti. È proprio vero che più sono grandi e più sono disponibili».

La più bella?
«Kelly LeBrock, la signora in rosso. Insidiata da Carol Alt».

La più elegante?
«Virna Lisi: il suo fascino è intramontabile. Ecco, devo confessare che qualche spettatore più cattivello vede il programma anche per dire: “Guarda come è invecchiato quello... e quell’altro...”. Per loro, lei fu una delusione. Infatti per Virna il tempo sembrava non passare mai».

Il più trascinante?
«Nile Rodgers che suona “Good times” e “Le Freak” con gli Chic e le sue ragazze... un fiume di energia».

Il più “difficile”?
«Dionne Warwick, ma non per cattiveria: è una perfezionista, attenta a ogni dettaglio, e doveva sempre controllare tutto».

Il più amico?
«Quando viene Zucchero non mi sembra neanche di lavorare, tanto ci conosciamo bene. Era così anche con Lucio Dalla».

Il rimpianto più grande?
«Ho corteggiato a lungo Donna Summer ed ero quasi riuscito a convincerla a venire da me, “incastrando” l’ospitata con uno dei suoi rari viaggi in Europa... Ma poi non siamo riusciti a far coincidere le date ed è sfumato tutto».

Ci dice, secondo lei, il punto forte di ogni decennio che fa gareggiare?
«La musica leggera come la conosciamo oggi nasce nei 60 con i Beatles. I 70 sono stati il decennio più ricco di novità: dai cantautori alla discomusic! Gli 80 e i 90 si assomigliano di più, ma se i primi hanno visto il trionfo della musica inglese, i secondi sono più internazionali».

Uno spazio della trasmissione è affidato ai ricordi degli spettatori. Quello che l’ha colpito di più?
«Diceva: “Noi che se a scuola la maestra ti dava uno schiaffo, a casa la mamma te ne dava due”. Era proprio così».

I titoli dei “medley” di Anna Tatangelo chi li sceglieva?
«Io! Un’occasione imperdibile per far venir fuori il dj che è in me».

Alla regia, quasi sempre, Maurizio Pagnussat. Come in tanti altri suoi programmi. C’è un motivo?
«A parte che è bravissimo, la tv moderna richiede tempi sempre più veloci e quindi devi avere una squadra affiatata, gente con cui ti capisci con uno sguardo e non devi fermarti a discutere ogni volta i dettagli. Altrimenti sei nei guai».

Doveva esserci anche un’edizione con Fabrizio Frizzi...
«Quando ho incontrato Fabrizio e Antonella Clerici per una campagna dell’Airc (l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, ndr) dissi: “Ma non sarebbe bello fare un’edizione dei Migliori anni con solo tre decenni in gara e noi a presentarne uno a testa?”. È stato un piccolo sogno, purtroppo non è andato in porto».

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