C’era una volta “Diritto di replica”

Da non perdere su RaiPlay il ritorno di un programma bellissimo. Un geniale show con la simpatia di Sandro Paternostro, l’arguzia di Fabio Fazio e l’ironia di Stefano Magagnoli, un amico di Sorrisi che ci ha lasciato da poco

Fabio Fazio, Enrico Magrelli, Sandro Paternostro, Oreste De Fornari, Stefano Magagnoli
17 Settembre 2020 alle 08:27

Il mondo dell’editoria piange Stefano Magagnoli, professionista che ha lavorato in Mondadori e in Rizzoli e grande amico di Sorrisi: per tanti anni lo abbiamo visto nel nostro Palazzo a Segrate con un libro sotto braccio, pronto a condividere le sue scoperte. Fu lui, per citarne solo una, a portare in Italia “Il Codice da Vinci” di Dan Brown. Amava i gialli ed era stato responsabile delle collane di fantascienza “Urania” e di thriller “Segretissimo”. Ci ha lasciato il 6 settembre dopo una lunga malattia che aveva affrontato con coraggio. Aveva lavorato anche in tv e una delle cose più divertenti che aveva fatto, dal 1991 al 1995, è stata “Diritto di replica”, varietà geniale che andava in onda il sabato su Raitre poco prima di mezzanotte. Una chicca imperdibile: se non l’avete mai visto o non lo ricordate, ora trovate le puntate migliori su RaiPlay. E noi ne ripercorriamo qui alcuni momenti con i protagonisti di allora.

Tutto iniziò per gioco
«Fabio Fazio stava scrivendo la sua tesi di laurea sui cantautori italiani con Luigi Surdich, che aveva la cattedra di Letteratura italiana a Genova» racconta lo scrittore Felice Rossello, tra gli ideatori della trasmissione. «Una volta andai a trovare il professore e, chiacchierando del più e del meno tra amici, ci venne in mente: “Perché non diamo la possibilità di parlare a chi non ha diritto di replica in tv?”. Il primo esempio che ci balenò lì per lì era quello del paese di Masone (GE), famoso perché a detta di molti piove sempre. Sarebbe stato curioso invitare in televisione il sindaco a difendersi. Questo fu l’inizio. Fazio, da grande creativo, portò l’idea al capostruttura di Raitre, Bruno Voglino. E in quattro e quattr’otto si formò la squadra: con Fabio stesso, più Magagnoli l’affabulatore, Enrico Magrelli l’intellettuale, Oreste De Fornari l’aristocratico e Sandro Paternostro istrionico capobanda e showman». Fazio conferma: «È andata proprio così. Creammo una redazione formata da studenti universitari, tutti vestiti uguali come nei college inglesi: in divisa e cravatta regimental». Il clima da gita scolastica c’era già nelle prime puntate... «Le registrammo agli studi Videa, fuori Roma, praticamente in campagna» scherza il critico cinematografico Enrico Magrelli. Lo spirito era chiaro fin dalla sigla: «Cantavamo in coro il “Gaudeamus igitur”, l’inno internazionale della goliardia in latino medievale maccheronico» ricorda Fazio.

Tre minuti di fuoco
«Invitavamo personaggi anche marginali, inconsciamente caricaturali» spiega Bruno Voglino, capoautore di “Diritto di replica”. «Gli ospiti erano persone al centro di polemiche che tenevano banco soprattutto nella cronaca locale e si ritenevano ingiustamente offesi o sotto attacco. Da noi avevano la possibilità di raccontare la loro versione dei fatti. Li facevamo entrare di lato e seguivano un tortuoso cammino a ostacoli, coerente con l’intento scherzoso e parodistico dello show. Dopo tale percorso “penitenziale”, venivano interrogati dai quattro conduttori in una sorta di tribunale, dove Paternostro era il sommo giudice sollevato su un trespolo. E alla fine dava la sua sentenza scombiccherata». Cioè la “domanda dalle 100 pistole”, che rivolgeva ai malcapitati: politici, ballerine, critici d’arte... «O gente finita al centro di scandali come il finanziere Giancarlo Parretti, che comprò la casa di produzione cinematografica Metro Goldwyn Mayer e finì condannato per frode fiscale» nota Magrelli. «A me davano sempre i preti e le pornostar» osserva Oreste De Fornari. «Rammento un seminarista altoatesino che additava le turiste in topless. Vennero Milly D’Abbraccio, Moana Pozzi e un’altra con il nome d’arte da contessa polacca, Eva Orlowsky». In regia c’era Paolo Beldì, che oggi sorride: «Ogni ospite aveva a disposizione tre minuti per difendersi e io rubai l’idea di cronometrarli al basket, che misura il tempo effettivo di gioco. Sullo schermo si vedeva il conto alla rovescia. Intanto mi divertivo a inquadrare i dettagli: la scarpa bucata, la calza a rete, un po’ di forfora su una spalla. Mi torna alla memoria Enza Sampò che nascondeva le mani... forse temeva uno zoom sulle sue unghie non laccate».

Quattro complici e un matrimonio (mancato)
L’atmosfera in studio era gioiosa come a “Indietro tutta!”. «Non a caso chiamai Giovanni Licheri e Alida Cappellini, gli scenografi di tanti programmi di Renzo Arbore» riprende Beldì. Gran parte del merito era di Magagnoli: «Intelligente e burlone, malizioso al punto giusto» sottolinea Bruno Voglino. «Era anche un collezionista, un entusiasta, un uomo dolce» dice Fazio con nostalgia. «Mescolava alto e basso, era il Dottor Jekyll e Mister Hyde della cultura, con le sue battute fulminanti ridevamo tutti» aggiunge De Fornari. «Ed eravamo così amici che voleva farmi sposare sua sorella. La incontrai una sola volta, poi non la rividì più». Al posto di Fazio, che andò a condurre “Quelli che il calcio” dove Magagnoli faceva delle buffissime telepromozioni, e di Magrelli, che andò a fare l’autore a “Domenica in”, nelle ultime edizioni di “Diritto di replica”, assieme alla poetessa Alba Donati, subentrò Giovanna Zucconi. «Fu proprio Stefano a chiamare noi ragazze in trasmissione» nota la giornalista culturale e imprenditrice nel settore dei profumi. «Accogliente, generoso, parlava benissimo l’inglese e all’epoca non era affatto scontato. Aveva il dono dell’ironia, era un maestro dell’intrattenimento popolare. Con lui costruimmo un gioiellino, un programma dove chi parlava veniva sempre incalzato con garbo e rispetto. Sarebbe bello tornare, non solo in tv, a quella composta allegria».

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