Dal 2 dicembre, il lunedì sera di Raitre rinnova la sua vocazione al racconto dell’Italia più “complicata” ed estrema sia nei problemi che deve affrontare ogni giorno, sia nelle speranze che tuttavia riesce a far nascere
Il lunedì sera di Raitre rinnova la sua vocazione al racconto dell’Italia più “complicata” ed estrema sia nei problemi che deve affrontare ogni giorno, sia nelle speranze che tuttavia riesce a far nascere. Dal 2 dicembre torna infatti Domenico Iannacone con "Che ci faccio qui".
In questa stagione il programma si sviluppa in quattro puntate dedicate ai quartieri di Scampia a Napoli e San Basilio a Roma. Due periferie da tempo tormentate, come ricorda Iannacone: «Scampia è un luogo che ho già raccontato tante volte. Torno per vedere cosa succede con il passare del tempo.
Nella prima puntata rivivremo la sua storia di criminalità e morte attraverso l’esperienza di Davide Cerullo, che a 13 anni già spacciava e ha visto finire in carcere undici dei suoi 14 fratelli… Davide è sceso all’inferno, dunque, ma poi si è salvato. Da semianalfabeta che era, è diventato uno scrittore tradotto all’estero, e ha scelto di tornare a vivere nelle Vele (i palazzoni popolari presi a simbolo del degrado di Scampia, ndr). È una storia che va oltre quella raccontata in "Gomorra", insomma. A San Basilio mi accompagnerà Davide Proietti,che non ha fatto lo stesso percorso culturale di Cerullo, ma vedrete con quale nitidezza descriverà quell’ambiente».
Andrà in onda dopo "Report", sarà una serata impegnativa…
«C’è una differenza: "Report" può sembrare un “castigo”, mentre in "Che ci faccio qui" alla fine ci si riconosce tutti uomini. Io cerco di riconciliare le persone».
Ha mai avuto paura sul lavoro?
«È capitato, ma non mi sono mai sentito davvero aggredito. Se entri in un posto senza pregiudizi, con l’idea di non giudicare, la gente che incontri lo capisce, si apre e racconta… Io voglio essere solo un “mezzo” e parlo pochissimo, perché so che le storie vanno avanti da sole».