Duilio Giammaria, in battaglia con “Petrolio”

Il giornalista sceglie di puntare sulla lotta al Covid aggiungendo “Antivirus” al titolo del programma

Duilio Giammaria conduce “Petrolio“ dal 2013, prima su Raiuno e dallo scorso anno su Raidue
14 Maggio 2020 alle 09:50

Duilio Giammaria è uno che di guerre se ne intende. Come inviato del Tg1 ha seguito quelle in Iraq e in Afghanistan. Per questo l’arrivo del coronavirus non lo ha colto impreparato: «Mi è rimasto il fiuto dell’inviato. Ai primi segnali, quando in Italia non c’era ancora nemmeno una zona rossa, mi sono reso conto della gravità di quello che stava succedendo e mi ci sono buttato come in battaglia».

Così ha anche trasformato il titolo del suo programma (in onda ogni sabato in prima serata su Rai2): a “Petrolio” si è aggiunto “Antivirus”.
«Abbiamo deciso che l’unico tema da trattare, da quel momento in poi, sarebbe stato questo. Bisognava muoversi come chi affronta una cortina fumogena, capendo chi diceva la verità e chi faceva propaganda. Così abbiamo trovato quasi subito i bandoli della matassa e capito, per esempio, che i tamponi erano uno snodo cruciale. Abbiamo anche scelto con cura gli esperti: non ci siamo accontentati».

Molti sostengono che non abbia senso parlare della lotta al coronavirus come di una guerra.
«Invece trovo sia un’utile metafora. Forse lo dicono perché stiamo affrontando un nemico invisibile, ma in guerra accade spesso. Così come avviene quello che stiamo vivendo: molte regole sono sospese, le strade sono deserte, il cibo diventa importante e tutto è percepito in modo diverso. Io stesso sono in modalità “bellica”: tre computer, telefono e televisione accesi tutto il giorno, come a Kabul e a Baghdad».

Tutte le guerre hanno vincitori e vinti.
«Quella contro il coronavirus potremo vincerla solo tutti insieme, nessun Paese può salvarsi da solo».

Da gennaio è anche a capo della Direzione documentari della Rai, una struttura nata per valorizzare un genere spesso trascurato.
«Lo considero un riconoscimento. Il documentario non è un qualcosa di noioso e polveroso. Anzi, può essere avvincente come una fiction. E proprio di questo la Rai ora ha bisogno: i talk show, alla fine, lasciano il tempo che trovano. Per il consumo multipiattaforma servono serie e documentari».

Quindi i documentari che realizzerete andranno in onda su diverse reti?
«Certo: lavoreremo per Raiuno, Raidue e Raitre ma anche per Rai 5, Rai Storia e RaiPlay».

Ci può anticipare qualche futuro progetto?
«Stiamo producendo un documentario sulla vita ai piedi dei vulcani e un altro sulle elezioni americane. Poi abbiamo in cantiere approfondimenti su Dante Alighieri e sull’imperatore Costantino. Infine abbiamo un progetto sui giovani e i cellulari: non il classico documentario da prima serata, ma pillole di otto minuti per il day-time».

Seguici