Fabio Fazio: «Io sono un artigiano dello show»

Abbiamo incontrato il conduttore di "Che tempo che fa". E lui ci ha spiegato tutto del “metodo” Fabio Fazio. «Curo ogni piccolo dettaglio» dice. «La mattina alla solita ora mi siedo alla scrivania e studio, studio, studio»

«Aiuto! Davvero sono già passati 38 anni dal mio debutto?» scherza con noi Fabio Fazio
20 Febbraio 2020 alle 11:38

Se in questo momento “Che tempo che fa” è il programma più visto di Raidue e supera i 2,2 milioni di spettatori in un giorno complicato e affollato per gli ascolti come la domenica, un motivo c’è: il “metodo Fabio Fazio”. «Un modo di fare tv artigianale» spiega il conduttore. «Dove conta l’estrema cura del dettaglio e dove ogni puntata viene costruita con un rigore riconoscibile. Ci lavoriamo tutta la settimana fino a pochi minuti prima della diretta, perché gli imprevisti sono dietro l’angolo e bisogna saperli gestire. Là dove altri varietà mantengono la qualità per un massimo di quattro, sei, otto serate, noi invece con un piccolo gruppo di lavoro e a costi contenuti, un terzo di una fiction, riusciamo a realizzarne 32».

Ci racconti come funziona in concreto il “metodo Fazio”. Il suo primo obiettivo qual è?
«Essere contemporanei. Che non vuol dire “moderni”: “moderno” lo dicono i vecchi che vogliono fare i giovani. Invece si può essere contemporanei pure a cent’anni, con un gesto, con l’ironia, con il pensiero».

In che modo decide gli ospiti di una puntata?
«Un po’ come voi a Sorrisi pensate gli argomenti del numero in edicola. Cerchiamo di vedere, anzi di pre-vedere ciò di cui si parlerà. Guardiamo tutti i film e i libri in uscita, sentiamo i dischi. Studiamo molto per avere un mix di “alto e basso”, di contenuti popolari e contenuti percepiti all’inizio come “difficili”, ma che noi portiamo in tv ormai da anni con naturalezza».

Quando studia per le interviste?
«Dal lunedì al venerdì, la mattina. Mi alzo presto e vado in camera di mio figlio Michele, la più tranquilla. Con 20 ospiti per volta, e una scheda di almeno 10 pagine a testa, studio un faldone che sembra un manuale di Diritto privato! Mi siedo lì, alla scrivania, come se fossi in ufficio. E ogni tanto guardo fuori dalla finestra e mi ispira la vista di un ginkgo biloba, un bellissimo albero alto 30-40 metri. Il mio amico Michele Serra (giornalista, scrittore e autore tv, ndr) dice che è una delle poche piante di origine preistorica rimaste».

E di pomeriggio?
«Arrivo in redazione e discutiamo in riunione la scaletta. Ogni tanto i ragazzi non capiscono i miei appunti sui fogli perché ho una grafia pessima e ridiamo molto».

Le domande sono frutto di un lavoro di squadra?
«Certo, ma capita che io le cambi o ne inverta l’ordine all’ultimo minuto».

Perché?
«Quando faccio il giro di saluti nei camerini, la domenica pomeriggio, magari vedo un attore abbronzatissimo. E se l’ultima domanda in scaletta era “Sei stato sulla neve a prendere il sole?”, magari la metto per prima, per rompere il ghiaccio».

Qual è la sua più grande paura?
«Dimenticare i nomi. A una certa età, capita. Io non ricordo più niente, ne parlavo al telefono l’altro giorno con Fiorello: “Ma pure tu? È una tragedia”».

Alcuni nomi sono facili: per esempio quello del vincitore di Sanremo 2020. Tra l’altro, è una sua creatura. Parafrasando una frase “pippobaudesca”, si può dire che Diodato l’ha inventato lei.
«L’ho conosciuto quando ho fatto Sanremo nel 2014 e lui portava “Babilonia” tra i Giovani. Poi l’ho voluto con me su Raitre, dove aveva lo spazio “Note al museo”, in cui cantava, in collegamento da vari luoghi d’Italia, capolavori dei nostri cantautori. Che bravo ragazzo, Antonio».

Lo chiama Antonio.
«Uso i nomi di battesimo, è vero. Mia figlia Caterina ogni volta si stupisce: “Papà! Hai chiamato Alessandro J-Ax!”. Vai a spiegarle che si chiama davvero così».

Con lui in studio si è lasciato andare a un momento di risate, imitando Al Bano.
«Io ho iniziato con le imitazioni. Anche Corrado mi viene benissimo, anzi il mio sogno è rifare in tv “Il pranzo è servito”, lo adoravo quando diceva: “Il pollo”».

Non si arrabbia mai?
«Succede di rado, due volte l’anno. Mi indispettiscono gli eccessi di superficialità e protagonismo. Ma è spaventoso perché mi metto a urlare. Una volta l’ho anche scritto su Instagram, postando un disegnino».

Farebbe una seconda edizione del suo “Rischiatutto”, che andò benissimo su Raiuno?
«Molto volentieri».

Maria De Filippi non entra in scena senza le mentine. Lei cosa ha con sé?
«Io le caramelle le rubo ai miei autori. E anche i chewing gum. Porto con me la mia penna, ma poi non la uso. È un omaggio alla televisione di una volta».

Il telefonino lo affida a un assistente di studio?
«No, lo lascio spento in camerino, dentro la tasca del cappotto».

E se dovesse chiamarla Fiorello in diretta?
«Lascia un messaggio nella segreteria, tanto non ce l’ho. Scherzo, chiamerebbe in produzione».

Trucchi anti-ansia?
«Cerco di arrivare in studio sempre più a ridosso dell’inizio. Siamo già a circa 10 secondi prima del via. Poi ho i miei soliti riti scaramantici, che non interessano a nessuno…».

A noi sì! Quali sono?
«Percorro sempre la stessa strada dai camerini allo studio, in scena devono entrare prima le signore, mi faccio microfonare sempre nello stesso identico posto e guai a nominare i colori innominabili».

Si confronta con gli autori solo durante la pubblicità o comunicate sempre tra voi in modo tecnologico?
«Ho un video davanti a me, che non guardo quasi mai, ma dove ogni tanto mi scrivono quanto tempo manca alla pubblicità o le “breaking news”, le notizie dell’ultim’ora».

Gli imprevisti la angosciano?
«No, mi caricano».

Per esempio, è capitato l’infortunio di Luciana Littizzetto. Ora che parlate a distanza in collegamento, sente la sua mancanza?
«La sua caduta è stata dolorosissima. Adesso che sta meglio ci si può anche scherzare su. Mi gusto il momento, la stuzzico da lontano. Ma Lucianina è caricata a molla, una tigre in gabbia, scalpita per rientrare e fare le capriole sulla scrivania. Speriamo che l’ortopedico glielo sconsigli» (ride).

Finita la puntata, che succede?
«Arriva sempre qualcuno a dirmi: “Senti, Fabio, pensavo che per domenica prossima potremmo…”. Si mette in moto la macchina per creare la puntata successiva e finiamo tardi».

In tempo per una cenetta al ristorante?
«Ma dove, che a Milano all’una di notte sono tutti chiusi? No, torno a casa. La situazione è triste come in un romanzo russo: mi scaldo il piatto che mia moglie mi ha lasciato pronto, accendo Rainews24 in sottofondo, mangio e vado a dormire».

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