Gabriele Corsi: «Vediamo chi si ricorda le parole delle canzoni»

Conduce un nuovo gioco sul Nove per i patiti di musica

7 Febbraio 2022 alle 08:34

Da lunedì 7 febbraio Gabriele Corsi non comparirà più dopo cena sul Nove alle prese con gli scherzi e le candid camera di “Deal with it - Stai al gioco”, ma in un vero studio con tanto di orchestra, musica e concorrenti il cui compito è azzeccare le parole mancanti di canzoni più o meno famose. Si canta, si ride, ci si esibisce e il pubblico a casa può intonare i brani seguendo i testi che scorrono sullo schermo. S’intitola “Don’t forget the Lyrics - Stai sul pezzo” ed è il nuovo adattamento, 20 puntate prodotte da Banijay Italia, di un noto format americano.

Gabriele, in sintesi di cosa si tratta?
«È un gioco, uno show musicale. L’atmosfera è quella del party, del karaoke, una serata fra amici dove si canta».

Come si svolge il gioco?
«In ogni puntata ci sono tre concorrenti e tre giochi. Nel primo scelgono fra sei categorie con punteggi diversi a seconda del numero di parole mancanti in una canzone. I due cantanti della band iniziano a interpretare il pezzo e quando si interrompono il concorrente deve proseguire. Anche a casa lo spettatore non vede più il testo sullo schermo».

Per esemplificare Corsi attacca a cantare: «Inseguendo una libellula in un prato/...lalala lalala lala».

Chi non sa le parole e resta al “lalala”?
«Fa meno punti e viene eliminato. Gli altri due concorrenti passano al “duello”: il testo si interrompe, la musica va avanti e devono cantare più parole possibile. Chi dei due passa in finale affronta “la scalata” di cinque livelli, se gioca fino in fondo può vincere 5 mila euro».

Come deve essere il concorrente ideale?
«Deve essere qualcuno che canta per diletto e sa a memoria i testi delle canzoni. In una puntata ci sarà un tassista che nelle lunghe attese ascolta la radio, il che gli sarà di grande aiuto».

L’intonazione conta o serve solo la memoria?
«L’intonazione è solo per la gradevolezza televisiva, è decisamente più importante il resto. Certo, se trovassi qualcuno che canta male ci sguazzerei».

C’è un po’ di vergogna a cantare?
«Il karaoke è il classico gioco dove all’inizio dici: “No, vabbè”, poi sali sul palco e non vuoi più scendere. Noi veniamo da un momento difficile, c’è voglia di leggerezza».

Anche i cantanti dimenticano i propri testi...
«Tutti ci scordiamo cose quotidiane. A Sanremo, per esempio, i cantanti hanno il testo dei loro brani su uno schermo enorme attaccato sotto la galleria, può capitare un momento di défaillance e in diretta è bruttissimo».

Il tuo corrispettivo americano è Wayne Alphonso Brady, attore, cantante e protagonista di musical.
«Il musical resta un mio sogno, mi piacerebbe fare i “Blues Brothers” con Pupo. Gliel’ho già detto, ma i diritti delle musiche sono molto cari e dovrei fermarmi e dedicarmi solo al teatro».

A musica e canto come sei messo?
«Suono la chitarra e ho scritto delle canzoni. All’inizio degli Anni 90 ero in un gruppo, gli Ergo sum, dove suonavamo cover dei Police e dei Beatles, studiavo all’università e suonavo fino alle tre di notte nei locali a Trastevere. Era ingestibile».

Quando ascolti un brano sei più attento al testo o alla musica?
«Dipende, ci sono brani con testi clamorosi, altri orribili. Se sono in inglese e hanno un bel ritmo ti accontenti, ma per quelli italiani il testo è fondamentale. Una canzone funziona quando dici: “Ma sta parlando di me!”».

La prima canzone che hai imparato a memoria?
«Un brano di Lucio Dalla, “Futura”, mio papà era un patito. Tant’è che mia figlia Margherita la volevamo chiamare “Futura”, ma con il cognome Corsi, un passato remoto, non suonava bene: Futura Corsi».

Quella che declami da una vita? Qui Corsi inizia a cantare un pezzo dei Police: «“Every breath you take/ and every move you make/... Oh, can’t you seeee” (continua a cantare tutto il brano, ndr)».

Questa la sai senz’altro. Completa il verso: “Troppe notti stavo chiuso fuori”...
«Dai, nel programma diamo almeno il titolo del pezzo!».

“Zitti e buoni” dei Måneskin.
«“Troppe notti stavo chiuso fuori / mo li prendo a calci ‘sti portoni”. La so!».

Infatti lo scorso anno hai commentato per Raiuno l’Eurovision Song Contest. Replicherai?
«Il mantra era: non succede ma se succede... E ora con Cristiano Malgioglio succederà di nuovo!».

Se qualcuno dice: «Con le bandiere al vento...»?
«E io che cosa dovrei rispondere?».

È l’inno della Lazio, la tua squadra del cuore.
«Aspetta (e qui lo canta tutto). Ma c’è n’è pure un altro (lo canta tutto). C’è una diatriba sugli inni e poi alla fine della partita si canta “I giardini di marzo” di Lucio Battisti perché dicono che fosse tifoso della Lazio (canta pure questo). Ma ci sarebbe anche un altro pezzo che si canta tra tifosi...».

Okay, sei competente. Si memorizza meglio se si canta con attenzione o con il cuore?
«Se si canta con leggerezza. Se ci pensi troppo e sei sotto stress per ricordare il testo, magari commetti un errore. Se invece lo fai sovrappensiero, per me, è molto più facile ricordarselo».

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