Il re del preserale presto passerà da «Caduta libera» a «The Wall». E annuncia il ritorno di «Chi vuol essere milionario?»
Gerry Scotti è nel suo camerino tra una pausa e l’altra di una delle tante puntate di uno dei suoi tanti quiz. Se si fa un calcolo, le puntate hanno oltrepassato il numero di seimila. E si perdono nei palinsesti Mediaset degli ultimi decenni. Il camerino è addobbato con cuscini azzurri, un grande quadro con la foto di un faro, un divano e alcune poltroncine. C’è pure un televisore, ovviamente. «Siamo stati qui dentro con 42 gradi fuori e siamo stati qui dentro con zero gradi fuori» dice lui, lo stacanovista del quiz. Oggi piove e la temperatura autunnale è tollerabile, dentro e fuori.
Gerry Scotti, fra poco saranno vent’anni che va in onda senza interruzione con un quiz preserale. «Passaparola», infatti, debuttò l’11 gennaio 1999. Un bel record.
«Io faccio le cose senza pensare ai record, però poi vengono. È una mia conferma e una consacrazione».
E lei sempre lì, all’ora di cena.
«Ritengo che è il momento dove mi trovo meglio, mi sento meglio, e dove la gente mi vede meglio. A quell’ora si capisce se uno è un amico, è un parente, è uno a cui voler bene».
Pare che gli italiani le vogliano bene. Si siedono a cena e lei entra nel loro «menu».
«Un sapore in più, certo».
Se Gerry Scotti fosse una pietanza, cosa sarebbe?
«Sono tante, mamma mia, le pietanze che possono ricordarmi Gerry...».
Sicuramente non un semplice riso in bianco.
«Ah no! In questa stagione direi un bello spezzatino con le patate e con la “puccia”. Così quando hai finito di mangiare ci inzuppi anche un po’ di pane».
Per lei la cena cosa rappresenta?
«La cena è il momento della mia vita più vero, mi piace raccontare i fatti del giorno, sapere come sono andate le cose alla mia famiglia. Sono abbastanza fissato con gli orari. Io lavoro tanto, ma alle 20.30 pretendo di avere le gambe sotto il tavolo. Però sa cosa mi stupisce?».
Cosa la può stupire?
«Quando guardo gli ascolti di “Caduta libera” e di “The Wall”, ci sono quattro milioni di spettatori, con un finale che supera i cinque milioni. Pensare che ci sono tanti italiani lì a guardarti...».
Sono tanti in effetti.
«Per uno nato a Pavia e cresciuto alla periferia di Milano, essere amato da Torino a Bolzano e fino alla Sicilia, in questa Italia che passa tanto tempo a litigare, è un piacere ancora più grande».
Insomma, i litigi non le piacciono.
«Beh, quelli provocati e sopra le righe che riempiono un po’ tutti i programmi evidentemente non li amo».
Ha pure scelto un genere, il quiz, che non implica toni urlati.
«Probabilmente il quiz mi ha permesso di essere sopra le parti. Da tempo ho scelto quello che in inglese si chiama “understatement”. Non mi piace sentirmi superiore a nessuno, né ai concorrenti, né agli interlocutori, né tantomeno alla gente a casa».
Non da superiore ma da esperto, cosa deve avere un quiz nel 2018 per funzionare?
«Un meccanismo che si possa spiegare in una frase, in modo che il giorno dopo, al bar o in ufficio, la gente possa dire: “Hai visto il gioco di Gerry Scotti dove si aprono le botole?”. Ecco, allora hai fatto centro».
Perché ormai i quiz che funzionano sono tutti all’ora di cena?
«La tv ha scoperto l’importanza strategica della quantità di pubblico che torna a casa e si dispone davanti al televisore. Fatte salve le differenze di orario, perché in provincia di Pavia si mangia un’ora prima che a Roma e due ore prima che a Napoli. Ci sono passati tanti colleghi, anche quelli con la puzza sotto il naso che dicevano: “Un quiz? Un gioco? Io?”».
Sta dicendo che condurre un quiz non trova larghi consensi?
«In passato mi è capitato di sentire dei colleghi che alla proposta: “Faresti mai un quiz?” rispondevano: “No, no, io merito di fare ben altro!”».
Invece Gerry Scotti passa felicemente da un quiz all’altro. Dopo «Caduta libera», dal 19 novembre condurrà «The Wall».
«Già da qualche anno faccio questo passaggio, sia per non annoiare me stesso sia per non stressare molto un quiz».
Come si «stressano» i quiz?
«Quando le cose vanno bene ti farebbero fare trecento puntate all’anno, ma i quiz si logorano, si consumano, gli autori fanno fatica a trovare le domande e a trovare i concorrenti».
Morto un quiz se ne fa un altro.
«Certo, altrimenti sarei ancora a “Il gioco dei 9”. Con tutto il rispetto che devo a quel gioco che in alcuni Paesi ancora funziona benissimo. Anzi, l’avevano riproposto pure a me, ma ho detto: “Signori, una cosa alla volta!”. Comunque siamo noi i voraci, ci stanchiamo presto e vogliamo fare qualcosa di nuovo. In Spagna va ancora in onda “Passaparola” e in America “Ok, il prezzo è giusto!”».
Intanto pure lei sta sperimentando dei nuovi quiz.
«Ce ne sono un paio. Abbiamo fatto dei numeri zero. Uno, “Conto alla rovescia”, l’ho presentato io. Un altro l’abbiamo fatto in Inghilterra e ho fatto solo il curatore. C’è del buono, nell’uno e nell’altro. Potrebbero arrivare delle novità nel prossimo autunno».
Poi ci sono i grandi ritorni, vedi «Chi vuol essere milionario?».
«Sì, è vero. Stiamo ufficialmente preparando quattro prime serate esattamente come lo avete sempre visto, seguito e amato, con piccole novità. Festeggeremo con i nostri telespettatori i 20 anni dalla nascita del format originale “Who wants to be a millionaire?”».
Allora «lo riaccendiamo»?
«Lo riaccendiamo. Prima della fine dell’anno. E non è da poco. In questa tv che celebra i grandi ritorni, per me è una fortuna rievocare una cosa che ho fatto io. A quasi tutti gli altri conduttori è capitato di fare una cosa che prima ha fatto qualcuno che adesso non c’è più».
Si riferice a «Portobello»?
«A “Portobello”, a “Rischiatutto” con Fabio Fazio, a “La Corrida”. Anzi, nel passaggio dall’uno (Corrado, ndr) all’altro (Flavio Insinna, ndr) si sono dimenticati che “La Corrida” io l’ho condotta per otto edizioni (dal 2002 al 2009, ndr) e che facevo 10 milioni di spettatori».
Nel 2016 ha firmato un contratto triennale con Mediaset. E poi?
«Io sono in tv nei prossimi mesi e, se mi rimane la salute, ci sarò per i prossimi anni. Il mio contratto è già stato prolungato fino al 2022».
È vero che quando Mediaset chiama lei risponde sempre: «Sono pronto»?
«Nel mercato tu devi decidere dall’inizio se fare quello che cambia tante maglie, lo fanno anche i calciatori e i piloti, o se restare in un’azienda. Io ho preso questa decisione 30 anni fa e ho tuttora un ottimo rapporto con il mio editore. Ammetto, con grande stupore, che non ho mai avuto proposte serie dall’altra parte, ossia dalla Rai».
Ci sono dei quiz che le piacciono «dall’altra parte»?
«Rendo l’onore della armi al mio più grande avversario. Penso che “L’eredità” abbia nel Dna qualcosa di eccezionale visto che dura da tanti anni ed è passata attraverso così tanti conduttori».