Gerry Scotti: «La mia vita a Varsavia a caccia di milionari»

Il presentatore ci fa visitare la capitale polacca dove gira le puntate del suo quiz: «Qui posso andare a zonzo senza essere riconosciuto!»

Gerry Scotti posa nella piazza del Castello Reale. Al centro si intravede la Colonna di Sigismondo, eretta in onore del re nel 1644. Alta 22 metri, fu disegnata da due architetti italiani  Credit: © Massimo Villa
28 Febbraio 2019 alle 12:00

«Ce l’ha un cappellino di lana? Non si lasci ingannare dal sole che c’è oggi a Varsavia, nel giro di un’ora la temperatura può crollare». Sarà, ma i 12 gradi di questa mattina di fine febbraio fanno ben sperare. Forse Gerry Scotti esagera. Invece no, ha ragione lui, come al solito.

Nel giro di un’ora si arriva a sette gradi, con un vento gelido che taglia la faccia. «La prima volta che ho preparato i bagagli per venire in Polonia e registrare le prime quattro puntate, quelle per celebrare i 20 anni di “Chi vuol essere milionario?”, sono andato in cantina e ho preso l’abbigliamento che uso durante la settimana bianca. Ha presente l’arrivo a Milano nel film “Totò, Peppino e la… malafemmina”? Ecco, uguale. Invece neanche qui ci sono più le stagioni di una volta, in realtà nemmeno il freddo polacco è più lo stesso» dice ridendo.

Ormai Gerry conosce bene questa città, dove esigenze produttive consigliano di emigrare per registrare il quiz: lo studio è tra i più moderni d’Europa. «Ora in valigia metto le stesse cose che porto quando vado a Roma. Oltre al berretto che, come vede, è indispensabile» dice il conduttore mentre si mette in posa nella piazza del Castello Reale, nel centro città.

Gerry, non è strano stare in mezzo alla gente senza che qualcuno si avvicini per chiederle una foto?
«In realtà anche qui seguono i nostri programmi e un po’ mi riconoscono, ma il 95% in meno rispetto all’Italia. Mi mancava poter passeggiare in centro tranquillamente o sedermi su una panchina a leggere un giornale. Ha visto com’è pulita la città? In giro non vedi una cartaccia, un mozzicone e nemmeno una scritta sui muri. Dovessi tornare in primavera mi piacerebbe prendere una bicicletta elettrica e girare senza una meta. Andare a zonzo è la cosa che mi manca di più quando sono in Italia. Qui invece posso permettermelo».

Quando i fan polacchi la riconoscono come pronunciano il suo nome?
«Mi chiamano Gerry Scotti, forse con una “erre” in meno. Storpiano di più il mio nome in Italia! Invece quando entro in studio vestito con il panciotto, qualcuno scherzando mi dice: “È arrivato il padrino” (ride). Anche noi italiani siamo vittime dei luoghi comuni...».

Uno di questi vuole che in Italia si mangi meglio che in qualunque altro Paese.
«Qui hanno poche cose e tanti prodotti che derivano dal maiale. Sono bravi a cucinare l’anatra, hanno ottime carni e i pesci del mar Baltico. Non sono specialisti nei primi, hanno molte salutari zuppe vegetali calde e i tipici “pieroghi”: grandi ravioli ripieni di verdura, formaggio o carne. Li ho mangiati un paio di volte ma il problema è che li condiscono con un sacco di burro. Hanno una birra meravigliosa che scorre a litri, ma pochi vini e non di grande qualità».

Potrebbe importare i suoi.
«In effetti ho preso dei contatti con dei ristoratori per portare i vini che produco io: già sono buoni di loro, ma qui farebbero un figurone!».

La sera quando finisce di lavorare si gode un po’ la vita notturna della capitale?
«Andiamo a cena tutti assieme, ma siamo una quarantina di persone ed è complicato spostarsi, sembra che si vada a un matrimonio! Così ci dividiamo in due tavolate. La città di sera pullula di localini e la gente è molto conviviale: ha i suoi riti e le trattorie sono sempre piene. Anche i polacchi amano mangiare bene».

Dopo cena torna in albergo e accende la tv per vedere come sono i loro programmi?
«Sì, solo che mentre una volta capivi dove ti trovavi dal tipo di tv che vedevi in onda, ora la grafica e la struttura dei programmi di sport e dei tg è tutta molto simile. Non sai mai se sei su un canale polacco o russo. Anche l’abbigliamento dei presentatori e dei giornalisti è omologato».

A proposito di calcio, da quando il suo Milan ha preso l’attaccante polacco Krzysztof Piatek sembra andare meglio.
«Non vorrei sembrare egocentrico ma lo ritengo un segno del destino. Io sono venuto in Polonia e poco dopo un grande polacco è arrivato a giocare nella mia squadra. Non è merito mio, ma sono tante le battute che mi fanno su di lui: “Ti sei preso Piatek, eh? Bravo!”. Comunque anche qui grazie alla tecnologia riesco a seguire il calcio come in Italia».

Vuole dire che non le pesa fare il... “pendolare” tra Italia e Polonia?
«Per come vanno le cose oggi le dirò che uscire la mattina per andare a Barcellona, Londra, Parigi, Varsavia o Roma per lavoro è diventata la normalità. Il tempo che si impiega è lo stesso. In realtà la distanza geografica, sociale e culturale non è così tanta. Tanti polacchi sono venuti in Italia a studiare e a lavorare fin dai tempi di papa Wojtyła. È un Paese che ci vuole bene. Nei negozi ci sono le specialità italiane, per non parlare della moda: nel centro di Varsavia sembra di essere in via Montenapoleone a Milano o in via Condotti a Roma! La stranezza di andare a lavorare in Polonia l’ho metabolizzata fin dalla prima volta che sono arrivato qui».

Quindi come si lavora qui?
«Mi trovo bene, i tecnici sono molto disponibili, sono dei grandi lavoratori, molto fieri, forse proprio per i loro trascorsi storici. E se parliamo di studi televisivi, fino a 20 anni fa qui non avevano niente, quindi la tecnologia che hanno comprato è modernissima. Gli investimenti sono freschi: scenografie, macchine, luci, regie e telecamere sono tutti nuovi!»

Problemi con la lingua?
«Nessuno: parliamo, male, un misto di italiano, inglese e polacco. Ma ci capiamo perfettamente e ci prendiamo pure in giro, senza alcun disagio».

Com’è la sua settimana a Varsavia?
«Parto il lunedì alle 10.30 e arrivo per l’ora di pranzo. Raggiungo il mio albergo, faccio una riunione con gli autori sui concorrenti scelti, a cui abbiamo prenotato albergo e aereo, visto che vengono dall’Italia insieme con gli accompagnatori che si vedono in puntata. Il martedì, dopo una ricca colazione e la riunione del mattino, ho un’ora di decompressione: leggo i giornali oppure mi faccio un giro in città se il tempo lo permette. Poi mi preparo e vado negli studi. Si pranza in mensa, dove io mangio sempre riso in bianco per restare leggero. Iniziamo a registrare alle 14 e non ci fermiamo fino alle 17.30, salvo pause tecniche. Nella puntata non ripetiamo né tagliamo nulla. Quello che accade, si vede. Registriamo una puntata al giorno. Finiamo venerdì intorno alle 18 e il sabato riparto».

Esaurite le puntate di queste settimane quando tornerà per le prossime?
«In autunno o in inverno, credo. In primavera ricomincio infatti con “Caduta libera”, poi parte “Conto alla rovescia”, una novità assoluta, e “Striscia” con Michelle Hunziker per un ciclo di 40 puntate. Mi sa che ci dovremo fermare per un po’. La macchina organizzativa invece va avanti: continueremo a fare i casting, che sono la cosa più difficile perché i concorrenti non sempre partono volentieri. Quindi, cari lettori di Sorrisi, se volete venire a Varsavia con me, mandate le vostre candidature via mail a casting.milionario@mediaset.it».

E chissà che anche voi non vi innamoriate di questa città.

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